Anno IX numero 11 - novembre 2000
CINEMA
Grazie per la cioccolata
Nelle sale l'ultimo capolavoro
di Claude Chabrol
di Nicola D'Ugo
La storia raccontata da Claude Chabrol nel suo ultimo film, Grazie
per la cioccolata (Merci Pour le Chocolat) affronta il tema della procreazione
e degli scenari mentali che gli individui si fanno a partire dalla propria idea di
genitore e figlio.
Mika Muller, magistralmente interpretata da Isabelle Huppert, è unindustriale della
cioccolata che ha appena perso il padre,
fondatore dellazienda. Otto anni prima aveva ucciso la sua migliore amica, Lisbeth,
e ora ne risposa il marito, André Polonski (Jacques Dutronc), un celebre pianista.
Chabrol, in sintonia con la sua secchezza espositiva, non perde tempo nel farci entrare
nel meccanismo delle relazioni fra i personaggi, tenendoci volutamente un po fuori,
senza coinvolgimento, come se partecipassimo da estranei a una festa di matrimonio,
obbligandoci ad apprendere dai discorsi degli invitati chi sono gli sposi. Ogni battuta ha
una sua finalità, senza orpelli. Una sola battuta ci dice che Mika e André sono famosi
al punto da interessare la stampa (André chiama per nome la giornalista). Si erano già
sposati ventanni prima. Lui ha un figlio diciottenne, Guillaume (Rodolphe Pauly),
avuto da Lisbeth. Già qui emerge la figura della moglie morta: una donna attiva,
creativa, frizzante, piena di energia, amata da tutti. Mika la venera e ne tiene vivo il
ricordo. Per tutti, Lisbeth è morta in seguito a uno strano incidente stradale: andata a
comprare il sonnifero di cui André ha sempre bisogno, si era addormentata alla guida
dellauto sulla panoramica; lautopsia aveva riscontrato nel suo corpo tracce di
alcool e barbiturici, nonostante lei non ne facesse uso.
Ogni sera Mika prepara la sua cioccolata a Guillaume, un ragazzo inebetito, dai riflessi
lenti, irrisoluto, depresso. Una famiglia famosa, ricca, stimata e piuttosto deprimente:
Mika sembra una mammina; André ha sempre la testa sul pianoforte a cercare di raffinare i
passaggi dei grandi compositori; Guillaume armeggia giochini elettronici, senza una
prospettiva: in nessun senso.
Ma Jeanne Pollet (Anna Mouglalis) è una ragazza piena di vitalità. Anche lei ha
diciottanni ed è fidanzata con il figlio di unamica della madre, che lo ha
anche assunto nella sua clinica di medicina legale. Di ritorno da una partita a tennis,
Jeanne e il ragazzo raggiungono le madri che parlano del pianista, dopo aver letto sul
giornale del suo matrimonio. Lo chiamano luomo della clinica. Jeanne si incuriosisce
al punto che la madre del fidanzato le rivela che André Polonski laveva scambiata per la
figlia il giorno in cui era nata. Poi il padre di Jeanne aveva riparato allerrore
commesso dallinfermiera nel mostrare il neonato, e del resto la moglie del pianista
aveva avuto un maschietto anziché una femminuccia: tutto a posto quindi, secondo la
madre. Jeanne resta male del fatto che la madre non glielabbia mai detto, la madre
resta male che lamica lo abbia fatto, nonostante dica che si trattava di un episodio
di tanti anni prima, privo di importanza. Per Jeanne, che studia pianoforte ed è
appassionata di Polonski, la rivelazione occupa tutti i suoi pensieri.
Fa visita a casa di André Polonski e mette in crisi le due famiglie: si presenta come sua
figlia, scopre che Mika somministra del sonnifero nel cioccolato di Guillaume, accende la
curiosità e lentusiasmo assopito di André che la trova simile a Lisbeth,
incuriosisce Mika che pensa la stessa cosa, mette in apprensione Guillaume. Non ci
troviamo in un film di Pedro Almodóvar, ma di Claude Chabrol, e non ci troviamo in
Francia ma in Svizzera, paese neutrale, sociale, finanziario e industriale, in cui tutto
è regolato e pacifico, in cui i ritmi sono scanditi, più che con lorologio, con il
contagocce, in cui la blandizie borghese acquieta tutto. I rituali sociali sono
sinteticamente descritti dal regista, approfittando della giusta ambientazione per far
svolgere i dialoghi: un matrimonio senza passione, una mostra di fotografia commemorativa
di Lisbeth sovvenzionata da Mika, lattesa delle due madri in carriera che aspettano
i figli a un bar; vita domestica più monotona che tranquilla, con colleghi che vengono a
cena; giornate lavorative in ufficio o in clinica. Né larte, né la natura, né la
passione amorosa scuotono il torpore dei personaggi. La preoccupazione viene assorbita,
piuttosto che sfogata.
Così, anziché scenate e accese proteste, lospite inattesa viene ricevuta con
cordialità, mentre tutto un meccanismo della perdita viene messo in moto: Mika vede la
possibilità di perdere la famiglia; Guillaume il padre; la madre di Jeanne (Brigitte
Catillon) la propria figlia. Chi non si vede perdere niente sono André, Jeanne e il suo
fidanzato, che ha un ruolo marginale solo in apparenza, essendo fondamentale
nelleconomia espressiva di Chabrol: come dimostra la sua regia sempre essenziale,
per cui nessun dettaglio è messo lì per caso, non si indulge in alcun modo
allerotismo. Non è una questione damore sensuale quello messo in scena, ma
unaltra questione, e per questo Chabrol, nella sequenza in cui Jeanne è a letto con
il fidanzato e gira per la stanza, non esibisce il corpo dellattrice, né inserisce
battute o sguardi di gelosia da parte del ragazzo. La macchina da presa che si introduce
nelle camere da letto già ci avverte che il desiderio dei personaggi e il loro dramma non
è in nessun modo amoroso: André Polonski che mette il braccio sulla spalla della ragazza
può anche sentire ravvivarsi il passato del perduto amore per Lisbeth, ma tratta e guarda
Jeanne essenzialmente come la figlia che avrebbe voluto avere e che non ha mai avuto.
Nonostante levidente sensualità di Jeanne, Mika non la vede come antagonista
erotica (Chabrol lo segnale inquadrando Mika di spalle che tesse senza mai voltarsi verso
Jeanne e André, poiché non è interessata alla relazione dei corpi). Nel rapporto
matrimoniale fra Mika e André il sesso non ha alcuna importanza.
Cosè allora il sesso, così fondamentale nel film? Jeanne va a letto con il
fidanzato, che laiuta quando le occorre: non cè alcuna crisi fra i due dopo
la visita a Polonski (le manca di più perché lei è più impegnata, ma i due se la
intendono bene). Non cè alcuna crisi fra Mika e André dopo la visita di Jeanne.
Guillaume non è interessato sessualmente alla sua bella coetanea. La madre di Jeanne non
ha storie passionali (con lamica non parlano di uomini, ma dei figli). In nulla il
sesso è avvertito come passione dai personaggi in crisi. In apparenza è invece
fondamentale la procreazione, lessere padre, madre, figlio o figlia di uno anziché
di un altro personaggio. Di fatto, Mika va a conoscere la signora Pollet per sapere se
Jeanne può essere la figlia del marito. Lappuntamento è annunciato dal nervosismo
della madre di Jeanne. Già qui si sarebbe portati a credere che Mika voglia saperlo per
eliminarla, ma Chabrol non dice questo. Il regista francese sta descrivendo
la messa in crisi della famiglia: il dramma non è solo quello dellassassina, che
egli predilige come personaggio principale dei suoi lungometraggi, ma della madre di
Jeanne e del figlio di André. E se la vita non è fatta solo di genitori genetici, non è
fatta neppure solo di genitori adottivi. Rispetto alla questione dellesser figli
genetici o adottivi, di derivazione naturale o di derivazione ambientale, Chabrol indica
un terzo modo: essere figli e genitori elettivi, scegliersi la famiglia e le persone con
cui condividere qualcosa che sorge da dentro, che si è fatto cultura individuale
attraverso dei percorsi che i figli non condividono con i genitori. Di fronte alla
possibilità di perdere la figlia, la madre di Jeanne arriverà a farle perdere il padre:
le dichiarerà che neppure il padre che aveva avuto era il suo vero padre, ma che la
ragazza è stata concepita con il seme di un donatore anonimo. La madre esperta di chimica
che dice a Mika di non aver mai avuto la curiosità di verificare che la figlia fosse sua,
di fronte alla figura di un nuovo possibile padre cancella totalmente la possibilità di
verificare se il suo sangue coincida con quello di un padre che non si saprà chi sia
stato. Inventare un padre in questo modo, è togliere la possibilità di ogni verifica, ma
anzitutto mettere da parte lipotesi che il suo sangue non coincida con quello del
padre morto, poiché se lui non fosse il padre, lei non sarebbe la madre. Non comprende
però che Jeanne non cerca un papà, ma una figura che è già in linea con la sua
passione per la musica. Ed è questa vitalità che più di ogni altra cosa preoccupa Mika
Muller.
Lassassina fa di tutto perché Jeanne le stia dentro casa e allinterno della
famiglia. Il sonnifero che amministra di nascosto a Guillaume, mettendoglielo nella
cioccolata, non siamo autorizzati, fino a questo punto, a ritenerlo un tentativo di
omicidio, nonostante sia evidentemente nocivo al ragazzo. Di fatto, non si avverte alcun
movente: il fatto che sia ormai diciottenne non è neppure un movente, visto il suo
completo assoggettamento a Mika: la conosce da sempre e non la considera una
"matrigna", ma piuttosto una mamma dadozione. Così, Guillaume è
inebetito dai sonniferi che non sa di ingerire, mentre André non può farne a meno. Mika
sta tenendo tutti in un torpore, nel timore di perdere qualcosa che poco a poco emergerà
nella storia, ma che i suoi comportamenti già ci anticipano, prima che sia lei a
rivelarlo a Jeanne: limprenditrice non è figlia dei suoi genitori, fu presa da un
orfanotrofio. Ragazza senza qualità, non si sentiva amata dalla madre, non si sentiva
accettata e amata nella famiglia. Morto il padre, si risposa. La donna che seguiamo nel
film, e di cui si avverte sempre una cattiveria di fondo, larvale, uninsidia
mortale, viene fatta emergere poco a poco nelle sue ragioni. Chabrol la scruta con la sua
macchina da presa, la cerca continuamente per farci osservare le sue reazioni a tutto. Se
da un lato è una donna pericolosa, unassassina, dallaltro il pericolo mortale
viene via via circoscritto a un ambiente ristretto: la famiglia. Lassassina è,
ancora una volta, la vittima della propria condizione interiore, del sentimento della propria mediocrità, in
questo caso agganciato al proprio passato familiare. Secondo il suo modo di procedere, il
sonnifero può avere due effetti diversi su persone caratterialmente diverse, a seconda se
si è dipendenti e strettamente legati alla casa, se si accetta la propria lentezza, la
propria blandizie, oppure se non lo si è e si cercano cose eccezionali, come andare a
cento allora sulla panoramica (limmagine del lago che pare un mare, sembra
strettamente in relazione con il doppio senso della fuga, del viaggio,
dellavventura, e quello della chiusura, della quiete, del radicamento ambientale:
Lisbeth muore non in un qualsiasi punto, ma sulla panoramica a strapiombo sul lago). Tutto
deve restare così comè, lagitazione deve rappacificarsi, poiché Mika soffre
linquietudine della perdita affettiva, è buona con tutti, accetta tutti, ed è
completamente irrigidita a ogni passione, come confesserà lei stessa al marito.
La messa in scena dellordine è resa per tutto il film attraverso una serie di
coreografie degli attori, che si dispongono nellinquadratura e si muovono secondo
disposizioni prestabilite: per es., in una sequenza di nessun rilievo narrativo, Mika, la
signora Pollet e la segretaria sono disposte su un solo piano che copre tutta
linquadratura, e appena una si muove da destra a sinistra lo spazio vuoto viene
momentaneamente riempito dal passaggio di un infermiere con il vassoio). Anche il gioco di
spalle e specchi è più complicato di quanto pensi Jeanne: lei crede di aver sorpreso,
attraverso lo specchio, Mika versare apposta la cioccolata per terra, ma come poteva
sapere Mika che Jeanne le dava le spalle se erano entrambe voltate? Il dare le spalle a
Mika, anziché guardarsi le proprie, è un elemento ricorrente del film. Più probabile
che, conoscendo la casa, volesse mettere alla "prova" labilità di Jeanne,
come lei stessa si è espressa con il marito dopo che Jeanne è andata via.
Mika, secondo la sua ottica, non uccide in senso proprio, ma lascia morire. Che Jeanne
stia lì dentro casa con il marito, anche con la porta chiusa, non le mette inquietudine.
Basta che ci resti. Quello che non le piace sono le iniziative, come il vecchio
consigliere damministrazione che vuole apportare modifiche nei bilanci
dellazienda proponendo produzioni innovative. La mediocrità che avverte dentro di
sé vorrebbe fosse estesa agli altri, che ci fosse una pacificazione di tutto, nella
blandizie. Quello che desidera è poter dare per ridare: non poter dare una volta
soltanto. E quando Jeanne la sostituisce per prendere i sonniferi che Mika non aveva
acquistato, levento è, appunto, una sostituzione, un rimpiazzare, un annullare
lunicità del proprio ruolo familiare, un cominciare a scalzare: poco prima le aveva
lasciato lavare i piatti, occupazione però più tipica della domestica. E il dramma si
compie in poco tempo, liniziativa tradisce Jeanne, così sicura di sé: la ragazza,
ripiegando sul caffè per evitare la cioccolata, non ha evitato di ingerire il sonnifero e
si va a schiantare ad alta velocità contro un muro insieme a Guillaume, che Mika aveva
cercato di risparmiare ferendogli un piede con lacqua bollente.
Ad André, che pare svegliarsi dal torpore solo quando gli manca il sonnifero, la sera in
cui Jeanne è uscita in auto
richiama alla mente quellaltra sera in cui morì Lisbeth e in cui Mika, come in
questa, lavava le tazzine sporche. Finalmente si agita, chiama la madre di Jeanne perché
telefoni alla figlia sul cellulare, ma è troppo tardi. Lauto si è già schiantata.
Mika gli confessa il primo omicidio, e André è dispiaciuto, ma non la biasima. Poco
dopo, arriverà la telefonata che lo avverte che i ragazzi e la madre sono in questura,
completamente illesi.
Ma André torna a suonare: ora di nuovo quieto, come se nulla fosse successo. A Chabrol
qui non interessa chiudere, come in altri film, con larresto dellomicida. Gli
elementi oggettivi, per incastrarla, hanno evidentemente bisogno della testimonianza di
Guillaume e André, che non pare neppure tenerci: entrambi, dopotutto, hanno bisogno di
Mika, le tazzine sono lavate, la situazione, in questi termini, resta piuttosto vaga per
gli inquirenti. Chabrol, così puntuale, lascia un dubbio, poiché è interessato a
raccontarci altro.
Mai come in questo film Chabrol racconta la pietà per lassassina. Lo fa in una
maniera del tutto particolare, con la sequenza più bella di tutto il film, un lunghissimo
silenzioso pianto in cui Isabelle Huppert dimostra le sue straordinarie doti di
interpretative. Questa scena, senza tagli e montaggio, ci dice che lomicida è
abbandonata a se stessa e nessuno si cura di lei, è relegata, nella chiusura dei titoli
di coda, allessere fuori della storia che ci interessa, e che quindi allo spettatore
non interessa granché, ma interessa al regista; forse Mika sentiva la propria infelicità
anche nel matrimonio, era stanca e si dava un tempo perché tutto finisse (da qui il
dubbio se linterruzione della somministrazione del sonnifero al figliastro fosse
uninterruzione di omicidio o meno, di qui lidea che essere vista da Jeanne
mentre versava apposta la cioccolata per terra fosse unennesima "prova"
come lei stessa diceva dellabilità della ragazza, e della possibilità
che fosse la figlia dellamica); che ci sono persone, come Mika, che non desiderano
altro che di poter rinascere, incapaci come sono di essere felici uscendo dai meccanismi
caratteriali formatisi nellinfanzia e nelladolescenza.
Infatti, la descrizione finale del dolore dellassassina assume quattro forme: da un
lato dello schermo scendono i titoli di coda sulla storia finita, dallaltro
lHuppert continua a recitare; Mika depone la sciarpa che come Penelope ha finito ora
di tessere; piange un pianto delicato, lento, con lunghi fiotti di lacrime che le venano a
intermittenza il viso; si accovaccia sul divano e resta lì, fino a chiudersi
completamente come un feto (emblema massimo dellinnocenza).
Lisbeth, la "donna vera" (come dice a Jeanne), che ha ucciso e che ammira, non
desiderava che morisse. Lei stessa ne ha subito la perdita e continua incessantemente a
pensarla. E si sente cattiva, tremendamente cattiva. E non sa che farci. Lei stessa
vorrebbe rinascere, in un altro grembo, in unaltra famiglia. Ma non sa che significa
essere figlia elettiva.
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