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Sommario anno X numero 3 - marzo 2001

L'ANGOLO DELLA POESIA - pag. - 19


L’avrei potuto spaventa, per le necessità che son rimaste a male.
A lato.
Ho perduto un quanto della mia allegria,
Bisogna velarsi la testa, stare in silenzio, non parlare.
Niente che si possa fare se non disporsi,
al fato.
E non poter più alzare gli occhi su di te,
tanto è mite la vergogna,
delusione.
Mi ha,
credo,
segnato un crepuscolo nell’ombra.
Ora,
per aver cercato con ogni mezzo il buono che c’è in te,
la disistima.
E per le necessità che ancora si possono trattare,
L’avrei potuto disanima
le mani.
Alessandra Greco


Passeggiando senza volto

Passeggiando senza volto
due arcobaleni in un solo colpo
e un menestrello in un borgo
col suo cappello a terra rivolto
una mano senza corpo di colpo
un tintinnio in un allegro ingorgo
     Passeggiando senza volto
     lo sguardo proteso in avanti
     gode distratto dalle ruote sull’asfalto
     delle vie pubblicitarie nascoste dai mercanti
     flash di immagini ingozzano il loro acquirente
     spiagge incontaminate e formose amanti
Steso al suolo riverente gli appare
l’Europa senza alcuna frontiera
che al casello autostradale
paga una farfalla per volare
     La giovane gatta ridicolizza
     laggiù verso i nuovi quadrati
     gli asini fustigati
     per la stupida e dolce furbizia
Passeggiando senza volto
solo una pillola al giorno
ed è cosi che in un attimo capovolto
l’animale si rigenera con un suono
ed ecco un uomo mansueto come stolto
sta immobile nell’impetuosità d’uragano
     Passeggiando senza volto
     sotto la luce di una stella
     a volte lo specchio modella
     un lotto incolto
     anche un contadino
     si guarda inarcato
     ma nel primo raggio del mattino
     riparte rasserenato
Mauro Leva


Alla stazione

Partono le persone come sempre,
quasi avessero degli appuntamenti.
Partono con modi rassegnati e
nelle loro vite insipide inutile
diventa il sudare in terra.
     Partiamo tutti?
     Anche questo treno è partito!
Vedo aeroplani in cielo e
tra le nuvole un gabbiano con
il cuore tra le ali.
Mario Ceccani


Accidia

Sono solo (ironico) su un treno
ad alta frequentazione. E il pomeriggio
stinge; ora ingoio
               a fatica: lacrime miste a immagini
di te con chi è punito a fingere
(vi pagano da attori). Ed io desidero
che l’ultimo dei viaggiatori
abbia lasciato il mondo un quarto d’ora fa:
non ho un gettone per dirtelo
ma a te bastava un portatile (altra ironia)
per un dialogo che non va
più in nessun luogo; non posso mai
                                   parlarti,
gli altri ci riescono infelicemente: servono
frasi libere (terza ironia) e chi vive
per l’elemosina di un’attenzione:
debole, una trama resta –
                    la percorre
il buio che viene da binari imprecisati,
una vena di luce da una nube
                                            a me,
una linea di attese da me a te, lo scisma
da te verso la vita –
                    ed io riesco a dirtelo da un fuoco
in cui non ho difesa perché
l’incandescenza non si può costringere e sembrarti
vero
mi ha carbonizzato.
Costantino Belmonte


Volesse il tempo dargli più ragione
ne uscirebbe un po’ più sorridente
invece si ritrova in prostrazione
genuflettendosi col corpo e con la mente.
Nicola D’Ugo


 Apri le tue ali

Aquila o Pegaso che tu sia,
apri le tue ali.
Non temere il sole,
tu non sei Icaro.
L’universo che non ha confini
ti sembrerà poco,
ma, a non aver paura
si resta soli,
e il vento delle parole
confonde voci
di uomini e intriganti.
Diomedea,
da quella rupe di scogliera
e il mare mosso,
il tuo non è un canto d’amore,
ma resto qui ad ascoltarti,
e ad aspettare
quello che il tempo
ancora non mi ha dato.
Nunzio Gambuti


Tormento notturno

Come è triste la notte!
Il buio silente la mente tortura
Offuscato è il pensar
Che a ritroso rifugge
I mille sentieri percorsi.
     Le tappe confuse e lontane
     Ritornano in noi
     E paura esse fanno
     Se l’ire funesto esso fu
     Perché amore non ebbe al fratello
     Sconfitto e straziato
     Da sorte infeconda
Si, lui che la mano tendeva
E di speranza ricolmo
In te confidò,
Ma tu non badasti
Ne pietà ti colse per esso
Ne dolore ti diè la sua amara sventura.
…Perché già sventurato eri tu.
Meditando or lo sai
Che il bene soltanto germoglia
E concede la pace interiore
Che tanto aneliamo…
La sola che allieta e conforta
Nel trittico amaro
Della nostra meschina esistenza
Marvin


Sommario anno X numero 3 - marzo 2001