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Sommario anno X numero 5 - maggio 2001

 DIRITTI UMANI - pag. 16-17


La protezione dei beni culturali nei conflitti armati
di Isidoro Palumbo

Solamente nel 1907 con la 2a Conferenza Internazionale di Pace dell’Aja si addiviene ad un primo tentativo di uniformare il concetto di "saccheggio" e dettarne alle Nazioni contraenti il divieto per il futuro. La 4a e 9a Convenzione stipulate in quella sede dettano norme sulle leggi e gli usi della guerra terrestre e sul bombardamento di obiettivi terrestri da parte di forze navali, escludendo per la prima volta il diritto di fare bottino delle cose appartenenti al nemico. Tralasciando le pur rilevanti iniziative di governi, enti internazionali e associazioni private nel periodo tra le due guerre mondiali al fine di predisporre testi normativi internazionali dall’approccio più incisivo - quali in particolare il progetto della Società Olandese di Archeologia di creare "santuari dell’arte" per proteggere un patrimonio che appartiene a tutti gli uomini civili nel 1918, e soprattutto il progetto di convenzione per la protezione dei monumenti e delle opere d’arte nel corso di conflitti armati dell’Office International des Musees del 1938 - è opportuno prendere in considerazione più da vicino gli sviluppi della prassi successiva alla fine della 2a Guerra Mondiale. Durante il conflitto mondiale, la Germania si è distinta nell’attuazione di una politica di sistematico saccheggio e confisca di opere d’arte in palese violazione delle norme ormai generalmente accettate del diritto internazionale bellico e, in particolare, degli artt. 46 e 56 della 4a Convenzione dell’Aja del 1907. Tali violazioni sono stigmatizzate espressamente nella Carta di Londra dell’8 agosto 1945 istitutiva del Tribunale militare internazionale di Norimberga, in base alla quale (Cap. II, art. 6 dello Statuto della Corte) costituiscono crimini di guerra, fra gli altri, "il saccheggio di proprietà pubbliche e private, gratuite distruzioni di città, paesi e villaggi, o la devastazione non giustificata dalla necessità militare". Un richiamo esplicito alle norme in questione ricorre sia nel giudicato dello stesso Tribunale di Norimberga che condannava il gerarca Rosemberg capo dell’Einsatzstab sia in alcuni giudicati interni relativi ad alcune azioni di rivendicazione di opere d’arte asportate durante la guerra. È agevole constatare come i trattati di pace conclusi al termine della guerra contengano delle disposizioni confermative degli obblighi internazionali in tema di restituzione di opere d’arte asportate durante la guerra. Non solo i trattati di pace conclusi alla fine della 2a Guerra Mondiale confermano l’esistenza di norme internazionali generali specificatamente rivolte alla protezione dei beni culturali mobili, ma contribuiscono a rafforzare decisamente l’idea che anche sul piano del diritto interno a detti beni in quanto oggetto di spoliazione o confisca non possano essere applicabili le norme ordinarie in tema di trasferimento e circolazione dei beni mobili. Su questo background il 14 maggio 1954 viene firmata all’Aja la Convenzione sulla protezione dei beni culturali in caso di conflitto armato, che costituisce il primo strumento internazionale interamente ed esclusivamente dedicato ai beni culturali e il primo ad utilizzare tale terminologia. La Convenzione si occupa principalmente della sorte dei beni in questione pendente bello mediante la configurazione di un sistema di preservazione e conservazione fisica in senso stretto. Infatti, l’art. 4 impone, tra gli altri, l’obbligo di impedire e far cessare qualsiasi atto di furto, saccheggio o sottrazione di beni culturali sotto qualsiasi forma. La questione relativa alla sorte dei beni una volta terminato il conflitto è invece regolata da un Protocollo alla Convenzione, sottoscritto lo stesso giorno, che riafferma peraltro all’art. 3 l’obbligo di restituzione escludendo che i beni culturali esportati dal territorio occupato, in contrasto con l’art. 1, possano essere poi trattenuti a titolo di riparazione alla fine delle ostilità. L’art. 4 prevede poi a carico della Parte contraente che aveva l’obbligo di impedire l’esportazione dei beni culturali dal territorio occupato, l’obbligo di indennizzare i possessori di buona fede dei beni da restituire. La Convenzione dell’Aja del 1954 sulla protezione dei beni culturali in caso di conflitto armato è composta da: la Convenzione, il Regolamento di esecuzione, il Protocollo. L’importanza della Convenzione risiede anche nel fatto che essa ha concentrato tutte le disposizioni riguardanti la protezione dei beni culturali in un solo strumento, mentre in passato queste norme erano sparpagliate in vari testi giuridici, costituendo così un vero e proprio Codice dei beni culturali, i cui principi fondamentali fanno ormai parte del diritto internazionale consuetudinario. Dopo le devastazioni e gli orrori della 2a Guerra Mondiale, in seguito ad una proposta del Governo Olandese, nel 1949 l’UNESCO iniziò una serie di studi e di consultazioni che condussero ad un progetto presentato agli Stati nel febbraio 1953 e posto alla base delle discussioni della conferenza intergovernativa tenutasi all’Aja dal 21 aprile al 14 maggio, ove furono presenti 56 Stati. Al termine dei lavori, 37 Stati firmarono l’Atto finale della Conferenza e la Convenzione per la protezione dei beni culturali in tempo di guerra. Insieme ad essa furono approvati il Regolamento di esecuzione ed il Protocollo.

CAMPO DI APPLICAZIONE

La Convenzione dell’Aja per la verità non prevede, per espressa disposizione dell’art. 33, la sua applicazione a fatti anteriori alla sua entrata in vigore (7 agosto 1956, con 70 Stati finora ratificanti tra i quali l’Italia), ma questa limitazione del campo di applicazione ratione temporis non assume un significato particolare, al pari della circostanza che l’obbligo di restituzione è contenuto in un Protocollo facoltativo anziché far parte a pieno titolo del resto della Convenzione. E infatti sta di fatto che il protocollo è stato ratificato dalla stragrande maggioranza degli Stati contraenti la Convenzione. Del resto per espressa statuizione del preambolo e dell’art. 36 la Convenzione dell’Aja si pone come strumento "supplementare" e non alternativo rispetto alle Convenzioni di codificazione dell’Aja del 1899 e del 1907 alle quali si affianca. La Convenzione è applicabile ai conflitti armati internazionali, che sorgano tra due o più Parti Contraenti, anche se lo stato di guerra non sia riconosciuto da una o più di esse. Nel caso di conflitto armato non internazionale, sorto nel territorio di una delle Parti, ognuna delle Parti in conflitto sarà tenuta ad applicare almeno quelle fra le disposizioni della Convenzione che si riferiscono al rispetto dei beni culturali. Si deve aggiungere che sono prese in considerazione solo le situazioni in cui vengono utilizzate le armi convenzionali classiche. Come per le altre Convenzioni del diritto umanitario, la questione delle armi di distruzione di massa e di quelle nucleari fu lasciata da parte.

PREAMBOLO

Il Preambolo, pur non avendo forza di legge, è molto chiaro circa il motivo della sua adozione e i principi che ne sono alla base ed inizia con la constatazione da parte della Alte Parti Contraenti dei gravi danni che i beni culturali hanno subito nel corso degli ultimi conflitti e con la preoccupazione, rivelatasi esatta, delle sempre maggiori distruzioni in conseguenza dello sviluppo della tecnica bellica. Il principio cardine della Convenzione è enunciato al secondo capoverso del Preambolo, secondo il quale la conservazione del patrimonio culturale non è affare soltanto dello Stato sul cui territorio si trova il bene, ma dell’umanità intera, in quanto ogni popolo contribuisce alla cultura mondiale. Ciò comporta la necessità di assicurare a questo patrimonio una protezione universale. La nozione di patrimoni culturale dell’umanità, che ritroviamo nel Preambolo, non è facile da definire, essa comprende non solo beni mobili ed immobili, come le opere d’arte ed i monumenti, ma anche le espressioni artistiche quali la musica, la danza, il teatro, nonché quel patrimonio culturale intangibile che sono il folklore, i riti, le tradizioni, etc. Questa nozione è stata ripresa da vari documenti dell’UNESCO e anche nella convenzione del 1972 riguardante la protezione del patrimonio mondiale culturale e naturale. Sempre nel Preambolo si ricorda che la protezione dei beni deve essere organizzata già in tempo di pace, con provvedimenti sia a livello nazionale che internazionale. Si sottolinea, inoltre, l’impegno delle Parti Contraenti a prendere tutte le disposizioni possibili per proteggere i beni culturali. Nel testo originario figurava l’aggettivo "appropriate" poi sostituito con "possibili", modificando naturalmente in senso restrittivo la frase e rendendola più soggettiva. Troviamo, infine, il richiamo ai principi su cui si fonda la protezione dei beni culturali in caso di conflitto armato, stabiliti nelle Convenzioni dell’Aja del 1899 e del 1907 e nel Patto di Washington del 15 aprile 1935. Nonostante il fatto che non siano richiamate le Convenzioni di Ginevra del 1949, esse hanno largamente influenzato la presente Convenzione come confermano i suoi lavori preparatori e lo stesso testo. Il tempo a nostra disposizione non ci consente di analizzare in modo approfondito i 40 articoli, divisi in 7 capitoli, che formano la Convenzione, ma richiameremo le disposizioni generali, alcune disposizioni generali che descrivono la protezione accordata ai beni culturali.

PROTEZIONE GENERALE

Innanzitutto, la definizione di bene culturale, data dall’art. 1, ricomprende i beni mobili ed immobili di grande importanza per il patrimonio culturale dei popoli e fa seguito ad un elenco esemplificativo (monumenti siti archeologici, opere d’arte, etc.). Ad essi si aggiungono gli edifici la cui destinazione principale ed effettiva è di conservare ed esporre i beni culturali mobili già definiti ed i centri comprendenti un numero considerevole di beni culturali, detti centri monumentali. Nella definizione i beni sono considerati culturali a prescindere dalla loro origine o dal loro proprietario. La qualificazione è data dalla grande importanza e non dal valore del bene. La protezione dei beni culturali si concretizza nella salvaguardia e nel rispetto di tali beni. La salvaguardia è costituita da quell’insieme di misura positive che cercano di assicurare al meglio le condizioni materiali per la protezione dei beni culturali. L’UNESCO ha fornito qualche esempio di queste misure: protezioni speciali contro il pericolo di incendio e di crollo di immobili di grande valore (musei, archivi, etc.9; imballaggi e stoccaggi speciali per i beni mobili; l’approntamento di rifugi e l’organizzazione dei trasporti in caso di necessità; la creazione di un servizio civile per mettere in pratica i piani di protezione in caso di conflitto. Il secondo elemento della protezione dei beni culturali è quello del rispetto. Secondo l’art. 4, le Parti si impegnano a rispettare i beni culturali situati tanto sul proprio territorio che su quello delle altre Parti Contraenti, spezzando così la nozione di territorialità e ribadendo di nuovo il principio che i beni culturali devono essere rispettati da tutti gli Stati a prescindere dal territorio su cui si trovino. Le Parti si impegnano inoltre ad astenersi da qualsiasi utilizzazione di tali beni per scopi che potrebbero esporli a distruzione o deterioramento in caso di conflitto armato, nonché da qualsiasi atto di ostilità nei loro riguardi. Il secondo comma dell’art. 4 prevede l’eccezione della necessità militare, che offre alle Parti di derogare agli obblighi del primo paragrafo quando la necessità militare lo esiga in modo imperativo. La storia del diritto e della codificazione delle regole umanitarie dimostra che il diritto umanitario è il risultato di un compromesso tra la necessità militare e i principi di umanità. Il punto di equilibrio tra queste due esigenze è molto spesso difficile da realizzare. Durante la conferenza intergovernativa numerose delegazioni si espressero a favore del mantenimento dell’eccezione della necessità militare, sia per facilitare l’adozione della Convenzione ma anche per ragioni umanitarie: si fece infatti notare che nel corso di un combattimento la necessità militare potrebbe imporre di distruggere un bene culturale se da ciò dipende la vita di migliaia di soldati; in tal caso nessun comandante esiterebbe a salvare la vita dei propri soldati. Contrariamente a quanto previsto dall’art. 8 per la protezione speciale, la valutazione concreta della necessità militare è lasciata ai militari senza richiedere alcuna condizione specifica. E ciò potrebbe condurre ad un impiego arbitrario. La nozione di rispetto dei beni culturali comprende anche l’impegno a proibire, prevenire e all’occorrenza far cessare qualsiasi atto di furto, di saccheggio o di sottrazione di beni culturali sotto qualsiasi forma, nonché qualsiasi atto di vandalismo. L’art. 7 prevede l’impegno per le Alti Parti Contraenti di introdurre, fin dal tempo di pace, nei regolamenti o istruzioni ad uso delle truppe, disposizioni atte ad assicurare l’osservanza della presente Convenzione e ad inculcare, fin dal tempo di pace, nel personale delle proprie Forze Armate, uno spirito di rispetto verso la cultura ed i beni culturali di tutti i popoli. Nel Manuale del combattente - pubblicazione 1000/A/2 del 1988 dello SMD - nel capitolo riguardante il comportamento del militare in guerra viene citato l’obbligo del rispetto per i beni artistici e culturali in generale; e vengono riportati i segni distintivi di protezione sia generale che speciale; infine, sono elencati tra i crimini di guerra gli attacchi indiscriminati contro i beni culturali.

PROTEZIONE SPECIALE

Accanto alla protezione generale, la Convenzione prevede una protezione speciale da accordare ad un numero limitato di rifugi destinati a proteggere i beni culturali mobili, ai centri monumentali e ad altri beni immobili di altissima importanza. Secondo l’art. 8, la protezione speciale è accordata a due condizioni: che detti beni si trovino ad una distanza sufficiente da un grande centro industriale e da qualsiasi obiettivo che costituisca un punto di interesse bellico; che essi non siano usati per fini militari. La "distanza sufficiente" da un obiettivo militare è un criterio generale da vedere caso per caso e che può indubbiamente dare adito ad incertezze ed errori. Uno dei motivi per cui il sistema della protezione speciale ha avuto poca applicazione da parte degli Stati è forse la difficoltà pratica di attuazione. Il comma 5 dell’art. 8 prevede l’eccezione secondo la quale un bene situato vicino ad un obiettivo militare può rientrare nella protezione speciale qualora la Parte che la richiede si impegni ad non utilizzare in caso di conflitto tale obiettivo militare e ad organizzarne già dal tempo di pace un uso alternativo. La protezione speciale è accordata ai beni mediante la loro iscrizione nel "registro internazionale dei beni culturali sotto protezione speciale" ed è disciplinata in modo dettagliato nel Regolamento di esecuzione. L’immunità di un bene culturale posto sotto protezione speciale non può essere sospesa che in casi eccezionali di necessità militare ineluttabile, e soltanto per il periodo in cui questa necessità sussista. Inoltre, essa può essere constatata soltanto dal comandante di una formazione di importanza pari o superiore a quella di una divisione.

I SEGNI DI PROTEZIONE

Uno scudo appuntito in basso, inquadrato in una croce di sant’Andrea in blu e bianco. Il segno è impiegato da solo per la protezione generale, ovvero ripetuto tre volte in formazione triangolare per i beni culturali immobili posti sotto protezione speciale.

PROCESSO DI REVISIONE

Nel 1991 la Conferenza Generale dell’UNESCO ha adottato una risoluzione (26C/PLEN/DR.3 Rev.) finalizzata a migliorare gli strumenti esistenti per la protezione del patrimonio culturale e naturale del mondo. Da allora molti sforzi sono stati fatti per migliorare la protezione dei beni culturali prevista dalla Convenzione del 1954. Il 13 novembre del 1997 il Rapporto finale del 3 Incontro tra gli Stati Parti ha fissato i punti principali del lavoro di revisione:

1. il desiderio di adottare un nuovo strumento che possa integrare le norme della Convenzione dell’Aja: al fine di colmare i vuoti della Convenzione dell’Aja e di rinforzare la protezione del patrimonio culturale;
2. la necessità militare: rafforzare il concetto che necessità militare non significa convenienza militare;
3. le misure di precauzione: l’adozione di misure di salvaguardia sarà inclusa nel nuovo strumento;
4. la responsabilità penale individuale: si rinvia alla giurisdizione della Corte Penale Internazionale (poi approvata con il Trattato di Roma del 1998);
5. le questioni istituzionali: la necessità di istituire un organismo di supervisione al fine di monitorare le implementazioni della Convenzione;
6. i conflitti di carattere non internazionale: si rinvia alle norme previste dal 2 Protocollo Aggiuntivo del 1977 alle Convenzioni di Ginevra del 1949;
7. la forma del nuovo strumento: il progetto del nuovo strumento prevede l’aggiunta di un 2° Protocollo, invece di una nuova Convenzione.

Su invito del Governo austriaco un incontro di esperti, tenutosi a Vienna dall’11 al 13 maggio 1998, ha discusso numerosi punti cruciali da includere nella nuova Convenzione, in particolare la forma del nuovo strumento internazionale, la protezione speciale, la necessità militare, la giurisdizione e la responsabilità oltre a questioni istituzionali. Nel novembre 1998 un primo progetto di lavoro del nuovo strumento internazionale ha iniziato a circolare tra gli Stati Parti alla Convenzione dell’Aja del 1954, gli Stati Membri dell’UNESCO e gli stati membri delle Nazioni Unite. Gli Stati sono stati invitati a inviare propri commenti e considerazioni al Segretariato dell’UNESCO. La conferenza diplomatica dell’Aja per la firma del 2 Protocollo alla Convenzione, che si aprirà domani 15 marzo e durerà fino al 26 marzo, sarà la conclusione di questo processo. La firma del nuovo strumento internazionale è in agenda per il maggio di quest’anno, come parte delle celebrazioni della Prima Conferenza Internazionale di Pace.

Isidoro Palumbo


Sommario anno X numero 5 - maggio 2001