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Sommario anno X numero 12 - dicembre 2001

ARTE - pag. 22

Antonio Ligabue. Gioco e magia

di Luca Ceccarelli

Antonio Ligabue - AutoritrattoOgni anno il comune di Gualtieri, nella Bassa reggiana, indice manifestazioni a ricordo di un suo grande cittadino d’adozione, Antonio Ligabue. Eppure, come qualcuno saprà, egli ha vissuto una vita romanzesca e piena di traversie, solo in età matura ripagata da qualche riconoscimento e gratificazione. I primi anni della vita di Ligabue si svolsero all’insegna dell’instabilità familiare e affettiva. Era nato nel 1899 a Zurigo, figlio naturale di un’immigrata friulana, Elisabetta Costa, di cui assunse il cognome. Dopo alcuni mesi tuttavia venne dato in adozione ad una famiglia svizzera, in cui il piccolo si legò alla matrigna con un rapporto di odio-amore che condizionò pesantemente la sua vita. Nel 1913 venne mandato in un istituto “per ragazzi difficili” a Marbach, dove rimase due anni. Espulso dall’istituto, andò a vivere con la famiglia adottiva a Staad, in parte lavorando in campagna, in parte facendo vita randagia, e nel gennaio del 1917, dopo l’ennesima sfuriata alla madre fu ricoverato nel manicomio di Pfafers, dove rimase fino ad aprile. Due anni più tardi la matrigna, senza rendersi conto delle conseguenze del suo gesto, andò a lamentarsi di lui presso l’autorità pubblica che, in quanto cittadino italiano indesiderato non esitò a rimpatriarlo.
Il giovane Antonio fu scortato dai carabinieri fino a Gualtieri, paese d’origine di Bonfiglio Laccabue, con cui la vera madre si era nel frattempo sposata, e che ne aveva assunto la patria potestà (lui però muterà il  cognome in Ligabue). Da allora in poi comincia una vita errabonda, vivacchiando con un sussidio del comune, con qualcosa che gli invia la matrigna, spesso grazie alla carità di qualche compaesano, e lavorando a giornata sugli argini del Po, non smettendo mai, nel frattempo, di disegnare, e dipingendo anche qualche quinta e fondale per circhi equestri. Antonio Ligabue - Leopardo con serpenteChi ricorda lo sceneggiato sulla vita del pittore del 1977, con Ligabue interpretato da un bravissimo Flavio Bucci, ricorderà le beffe e gli scherzi crudeli che quest’uomo fondamentalmente buono, dovette talvolta subire in quegli anni. Finché, durante l’inverno 1928-1929, vivendo tra i boschi e le golene del Po, avviene l’incontro con il pittore e scultore Marino Renato Mazzacurati, che segnerà il corso della sua vita. Mazzacurati gli insegnerà infatti l’uso dei colori ad olio, e da quel momento Ligabue non si dedicherà che alla pittura, girando tra stalle, baracche sul Po e case di amici ospitali.In un documentario degli anni Sessanta lo si può vedere, tra l’altro, sulla sponda del Po, magro e allampanato, che imita i versi degli uccelli e degli insetti che gli stanno intorno. Il coinvolgimento nella natura circostante, l’aspirazione ad essere uccello, insetto, ogni cosa in un vortice mutevole, era una caratteristica costante delle sue aspirazioni, e non aveva niente di affettato, perché era prima praticata nella vita quotidiana che espressa nella pittura. Tuttavia, anche dopo la “scoperta” da parte del Mazzacurati e l’inizio dell’attività artistica propriamente detta, non finirono le sue traversie. Ancora afflitto da violente crisi depressive e psicotiche, nel luglio del 1937 viene ricoverato nel manicomio San Lazzaro di Reggio Emilia, dove rimane cinque mesi. Vi tornerà una seconda volta nel marzo del 1941, e stavolta per più di un anno: ne esce solo perché il pittore e scultore Andra Mozzali si assumerà la responsabilità di garantire per lui e di ospitarlo nella sua casa di Guastalla. Una terza volta vi tornerà nel febbraio del 1945, per aver rotto una bottiglia in testa ad un ufficiale tedesco a seguito di una lite di cui non si conoscono i motivi (secondo una ricostruzione, quest’ultimo aveva strappato un ritratto poco gradito che Ligabue ne aveva eseguito su sua richiesta). Stavolta resterà in manicomio per tre anni, ma l’internamento lo salverà da pericolose conseguenze. Negli anni successivi Toni (così lo chiamavano gli amici e i conoscenti), pur continuando la sua vita in gran parte errabonda, comincerà a vedere riconosciuta la sua arte, e a togliersi alcune soddisfazioni. Non riuscirà mai a convincere la Cesarina (la figlia dell’oste di cui era da anni innamorato) a sposarlo, ma si comprerà vestiti nuovi, e una macchina, con cui andava in giro per ore scarrozzato da un fedele autista, spesso per il solo gusto di girare. E in più, le motociclette, anche di seconda mano, con cui baratta i quadri: ne andava pazzo, e arrivò a collezionarne ben sedici, spesso semplicemente barattando i suoi quadri, e tra esse la sua preferita era una Guzzi rossa, con cui, una volta finito un dipinto se lo legava alle spalle e andava in giro per cercare di venderlo. Nel frattempo, anche grazie ai suoi amici pittori e scultori, la sua fama si diffonde: i critici imparano a conoscerlo, e in particolare Anatole Jakovsky lo fa conoscere anche fuori dall’Italia. L’esposizione che tenne a Roma nel 1961 ne segna la definitiva consacrazione, seguita l’anno successivo da una mostra antologica a Guastalla. Ma nel novembre del 1962 viene colpito da paresi, proprio al braccio che usava per dipingere: dopo aver girato vari istituti, tre anni dopo morirà da povero all’ospizio di Gualtieri.
Antonio Ligabue è stato avvicinato a Van Gogh, ed è un parallelo fin troppo facile: entrambi rientrerebbero nella dubbia categoria del “pittore pazzo”. Antonio Ligabue - Testa di tigreMa di là dalle etichette, vediamo quali sono gli elementi di affinità e quali le differenze: nell’olandese vi è certamente un attenzione devota alla natura e alla vita agreste, visibile in quadri come la Notte stellata, i Rami di mandorlo in fiore, Il mietitore, Campo di grano con corvi ed altri ancora, ma questi sono inframmezzati da scorci di vita urbana, in lavori come Il caffè di notte e la Terrazza del caffè sulla piazza del Forum, e da ritratti, frequenti presenze umane, oltre che autoritratti. La presenza umana nei quadri di Ligabue è ridotta ai minimi termini, in lui, a differenza che in Vincent Van Gogh, l’uomo è una piccola cosa tra le cose all’interno della Natura.
Come ha messo in luce Martin Heidegger in Van Gogh il colore, il movimento, la rappresentazione della forma, diventano funzione di una rappresentazione che sveli l’intima verità delle cose, potremmo dire, come in certe favole zen, e questo vale tanto per i ritratti quanto per i soggetti di natura. Ebbene, ancorché Ligabue non avesse la solida formazione del suo collega, fatta di secoli di grande pittura olandese e fiamminga, e dei grandi maestri del Realismo e dell’Impressionismo francese, il risultato è una pittura che è stata definita di “realismo magico”, e non a caso: uno Scoiattolo appollaiato su un albero sembra talmente vero da far impressione, una Vedova nera che esce dall’erba diventa una sorta di chimera, un Leopardo maculato sembra uscire dal verde e dal quadro stesso con la preda che ha afferrato per assalire lo spettatore. La Mucca al pascolo emerge invece nelle sue sembianze di animale mite e buono. Ma tutto, sembra dirci l’artista, è buono nella natura ed è buono ed è sacro.
Ma c’è un altro elemento che caratterizza in modo peculiare la pittura di Ligabue, e non è significativamente presente nei quadri di Van Gogh, uomo lacerato che, com’è noto, concluse la sua vita tragicamente: il gioco, l’elemento ludico.
Nel manicomio San Lazzaro era consentito ad Antonio Ligabue di dipingere, cosa che giovava al suo stato di salute psichica. Al secondo, o al terzo ricovero risale il disegno a matita su carta del Treciclo volante, illustrazione che da lontano può evocare i disegni di Leonardo da Vinci, da vicino ne è quasi una messa in burla: un essere anfibio, per metà insetto e per l’altra metà macchina, derivante certamente dall’appassionata osservazione degli insetti da parte del pittore e dall’altra sua grande passione, i motori e la loro meccanica. Ad essi l’autore aggiunge un tocco in più: il triciclo, primo mezzo di locomozione dell’infanzia, che vola. E viene da pensare al detto evangelico: se non sarete come bambini, non entrerete nel regno dei cieli. Questo disegno è in fondo anch’esso una cifra per comprendere l’opera di Ligabue, per cui l’epiteto di naïf è accettabile ma non esaustivo: se si guarda un olio come la Testa di tigre, o la Natura morta, o l’Animale feroce si ha l’impressione che la natura e il mondo animale dessero a Ligabue grande entusiasmo e gioia di vivere. E se ancor oggi i suoi quadri e le sue sculture, per lo più modellate dall’argilla che prendeva sulla riva del Po, sono tanto ammirati in tutto il mondo, forse è perché è riuscito a trasmettere un po’ del suo entusiasmo ed amore anche agli altri. 
 


Fotoesordio 2001

di Francesca Vannucchi

I
l 28 novembre 2001 a Palazzo delle Esposizioni di Roma è stata inaugurata la IX edizione della mostra fotografica Fotoesordio, organizzata dal MIFAV (Museo dell’immagine fotografica e delle arti visuali) dell’Università di Roma Tor Vergata, a cura di Carlo Giovanella, Simona Sansonetti, Franco Soda e Francesca Vannucchi. A quasi dieci anni dall’inizio di questa manifestazione, Fotoesordio è ormai un appuntamento tradizionale, che mantiene il suo obiettivo principale, quello di dare un’opportunità di visibilità a giovani artisti provenienti da tutta Europa.
Le opere esposte in questa edizione sono il risultato di una ricerca condotta dagli autori, che li ha portati a sperimentare nuove tecniche o a riprendere rinnovandole metodologie apprese durante il percorso scolastico. Molti degli autori provengono da accademie, università, istituti di istruzione superiore italiani e stranieri, altri giungono a Fotoesordio attraverso un percorso di formazione autonomo. La manifestazione è suddivisa in tre sezioni, dedicate ai giovani delle scuole italiane, delle scuole straniere e agli under 35. Ad essi  viene offerto uno spazio espositivo e l’opportunità di comunicare attraverso le immagini. Molti degli autori che negli anni passati hanno partecipato a Fotoesordio sono oggi nuovi talenti, che espongono le loro opere con successo, a seguito dell’opportunità di esordire che questa manifestazione ha offerto loro.Anche quest’anno l’appuntamento di Fotoesordio è stato caratterizzato dall’entusiasmo degli artisti che hanno aderito all’iniziativa e dei docenti delle scuole che hanno stimolato ed incoraggiato gli studenti a mettersi in gioco. I partecipanti sono giovani alla ricerca di un proprio linguaggio espressivo, di uno stile originale, di un’identità artistica, che mostrano tuttavia maturità e coraggio nella scelta dei soggetti e nelle tecniche utilizzate. Le loro opere, oltre ad essere visibili in rete sul sito del MIFAV, sono state pubblicate in un catalogo, che quest’anno accoglie inoltre l’intervento a favore di tale iniziativa del Sindaco di Roma Walter Veltroni.
Raccolta in rete delle opere degli artisti che hanno preso parte alla manifestazione in questi anni:
www.mifav.uniroma2.it


Sommario anno X numero 12 - dicembre 2001