Sommario anno XI numero 2 - febbraio 2002
ENRICO
FERMI E LA PILA ATOMICA -
pag. 23
5 - Eventi scientifici e venti
di guerra
Siamo arrivati alla quinta parte di questa rubrica curata da Nicola
Pacilio e dedicata ad Enrico Fermi e la Pila Atomica. La rubrica
impegnerà l’autore e Controluce, a partire da ottobre 2001, in
coincidenza con il centenario della nascita (29 settembre 2001), via via
per un intero anno fino al 2 dicembre 2002 quando sarà commemorato il
60mo anniversario del primo esperimento, con la pila atomica, della
produzione di energia nucleare.
Nicola Pacilio si occupa di Storia e Filosofia della
Scienza ed è libero docente in fisica del reattore nucleare in Italia
(Roma) e negli Stati Uniti (Università di California - Berkeley).
La
sfida contro la Germania. "Sono Arthur H. Compton (AC).
Suppongo di essere stato il sergente di ferro (nell’originale, "the
strong boy") di questo progetto. Il mio compito era quello di trovare
un posto dove riunire e sistemare gli scienziati che sapevano che cosa
fare con una reazione atomica a catena. Nel sottoscala delle tribune dello
stadio di football di Stagg Field, inaugurammo in proposito una succursale
del laboratorio di metallurgia dell’Università di Chicago. Era soltanto
l’inizio: tuttavia da quel giorno il programma atomico prese a marciare
come doveva. Andammo a visitare alcuni dei personaggi che oggi vedete qui:
Enrico Fermi, Eugene P. Wigner, Ernest O. Lawrence, Harold C. Urey e molti
altri".
Radioattività naturale e radioattività artificiale.
Lo studio dei fenomeni radioattivi ebbe origine circa 40 anni or sono con
la scoperta di Becquerel delle radiazioni emesse dai sali di uranio.
Subito dopo la prima scoperta fu un succedersi di fondamentali ricerche
sulla natura delle nuove radiazioni e sulle proprietà chimiche degli
elementi che le emettono. Queste ricerche sono legate principalmente ai
nomi dei coniugi Pierre e Maria Curie, scopritori del radio, e di Ernest
Rutherford. Per opera di questi pionieri degli studi radioattivi fu
precisata la natura fisica dei raggi a,
b e
g e
fu riconosciuta l’esistenza di vere e proprie famiglie di elementi
radioattivi che vengono generati uno dall’altro per successive
disintegrazioni.
Le
nuove radiazioni scoperte dovevano ben presto dimostrarsi di eccezionale
interesse scientifico non solo quale oggetto di studio in sé, ma anche
come metodo potentissimo per investigare la struttura dell’atomo.
Nel 1913 Rutherford riassumeva i risultati delle sue classiche ricerche
condotte con questo metodo nel modello di atomo a sistema planetario che
da lui porta il nome. Il nucleo carico di elettricità positiva occupa in
questo modello una posizione centrale analoga a quella del sole nel
sistema planetario, mentre gli elettroni negativi corrispondono ai pianeti
e si avvolgono in orbite più o meno complesse attorno al nucleo. Nello
stesso anno Bohr dava i criteri fondamentali per la descrizione dei
movimenti e delle proprietà di questo infinitesimo sistema planetario
originando così quella teoria dell’atomo che, attraverso una
elaborazione durata circa un ventennio, permette oggi di intendere fin nei
dettagli le proprietà dei sistemi atomici e molecolari arrestandosi solo
dove la complessità dei problemi matematici rende troppo complicata la
discussione quantitativa dei fenomeni.
I fenomeni radioattivi sono la forma più appariscente dei fenomeni
nucleari; si è riconosciuto infatti da tempo che le radiazioni a
e b
vengono originate da specie di esplosioni durante le quali i nuclei degli
elementi più pesanti perdono alcune delle loro particelle trasmutandosi
in nuclei meno complessi.
L’intensificarsi degli studi di fisica nucleare al quale abbiamo ora
accennato, fu facilitato poi dagli enormi progressi che, dal tempo della
prima scoperta, erano stati frattanto compiuti dalla tecnica per l’osservazione
delle radiazioni radioattive. Si pensi che i primi studi sulle proprietà
dei raggi a
erano in gran parte eseguiti con lo spintariscopio e cioè con un
piccolo schermo fluorescente sul quale lo sperimentatore osservava al
microscopio le minutissime scintilline prodotte dall’urto di una
particella a
contro lo schermo. Le osservazioni erano eseguite talvolta per lunghe ore
nella più assoluta oscurità, richiedendo un’attenzione continua e
faticosissima da parte dell’osservatore. Oggi possiamo invece osservare
e rendere percettibile all’uditorio e contare automaticamente l’arrivo
di una sola particella a
o b,
mediante un apparecchio semplicissimo, il contatore. Esso è costituito da
un tubetto di alluminio, lungo pochi centimetri e grosso come il coperchio
di una penna stilografica, chiuso ermeticamente; lungo l’asse vi è un
filo metallico teso fra due tappi isolanti: il tubetto è portato, per
mezzo di una batteria di pile, ad un potenziale di un migliaio di volt
rispetto a terra; il filo è in comunicazione con un amplificatore ed è
connesso con la terra attraverso una resistenza estremamente elevata.
Se un raggio b,
ad esempio, attraversa questo apparecchio, gli ioni che esso produce nel
suo passaggio innescano una microscopica scarica sul filo; la scarica si
spegne subito ma l’amplificatore riceve da essa un impulso che viene
fortemente amplificato; tanto che un numeratore, del genere di quelli
usati per contare le conversazioni telefoniche, lo registra facendo
scattare un numero. Contemporaneamente il fenomeno è reso visibile all’uditorio
dall’accensione di una lampada al neon che manda un lampo di luce
rossastra.
Se io avvicino al contatore una sostanza radioattiva, anche assai debole,
si sentono subito i battiti del numeratore, accompagnati dai lampi della
lampada al neon.
Si pensi che ciascun impulso corrisponde in questo caso al passaggio di un
solo elettrone attraverso il contatore. Quando io tolgo la sostanza
radioattiva, i colpi frequenti cessano, ma ogni tanto si sente tuttavia un
impulso: esso è dovuto alle radiazioni cosmiche, che non è possibile
schermare efficacemente dato il loro alto potere penetrante e che
costituiscono una specie di fondo rispetto al quale non è difficile
distinguere quello che è dovuto alle radiazioni delle sostanze in studio.
Un altro potente mezzo di indagine è stata la camera di Wilson, nella
quale -sfruttando il fatto che gli ioni presenti in una massa di aria
satura di vapor d’acqua diventano centri di condensazione del vapore -
si possono vedere e fotografare le scie di particelle a
e b
che l’attraversano.
I nuclei delle sostanze radioattive si disintegrano spontaneamente per
modo che dall’esame di questo fenomeno si possono trarre indirettamente
alcune conclusioni sulla loro struttura interna. È ben noto però che gli
agenti fisici e chimici ordinari non hanno alcuna influenza sulle
modalità della disintegrazione radioattiva; di modo che il fisico deve
limitarsi ad osservare ciò che accade senza poter produrre o variare i
fenomeni a seconda della necessità della sua ricerca. Di qui numerosi
tentativi diretti a trovare procedimenti per produrre artificialmente
fenomeni nucleari con la possibilità-di poterne cambiare le condizioni in
modo da facilitare lo studio. Il primo ad ottenere risultati concreti in
questo campo fu ancora il Rutherford che nel 1919 inaugurò la tecnica dei
cosiddetti "bombardamenti nucleari". Essa consiste nel lanciare
contro un nucleo un proiettile dotato di una energia relativamente enorme
quale ci è dato da quelle stesse particelle a che vengono emesse
spontaneamente con velocità grandissime nelle disintegrazioni
radioattive. Se una di queste particelle colpisce il nucleo di un elemento
leggero essa arriva a modificarne la struttura provocando una
"reazione nucleare".
Il caso che una particella a
colpisca un nucleo in questi bombardamenti è tuttavia estremamente raro;
e ciò non solo per la estrema piccolezza del bersaglio, ma anche perché
il nucleo da colpire è carico di elettricità positiva al pari della
particella a
che costituisce il proiettile; e quindi il bersaglio respinge il
proiettile. Per queste ragioni nei primi esperimenti gli effetti del
bombardamento poterono essere constatati soltanto in pochi casi e
attraverso difficoltà sperimentali grandissime.
Ma già queste prime osservazioni permisero di constatare che in seguito
al bombardamento avvenivano delle vere e proprie catastrofi nucleari tali
da trasformare il nucleo colpito nel nucleo di un elemento diverso da
quello originario.
In molti casi il nuovo nucleo prodotto per effetto della disintegrazione
è identico ad uno dei nuclei di qualcuno degli elementi chimici esistenti
in natura; per molti anni anzi si ritenne che ciò accadesse di regola. La
dimostrazione che talvolta le cose vanno in modo differente fu portata
soltanto nel 1933 grazie al lavori di Frederic Joliot e di sua moglie
Irene Curie. Essi scoprirono che nel bombardamento con particelle a
di alcuni elementi leggeri venivano a prodursi elementi dotati di
proprietà radioattive analoghe a quelle degli elementi radioattivi
naturali: i nuovi elementi radioattivi così prodotti però non
coincidevano con nessuno degli elementi radioattivi naturali dai quali
differiscono sia per le proprietà chimiche, poiché si tratta di solito
di elementi leggeri (alluminio, azoto, silicio), mentre le sostanze
radioattive naturali sono tutte rappresentate da elementi pesanti, sia
anche per la natura delle particelle emesse e per i periodi di
disintegrazione. (Enrico Fermi in data gennaio 1934)
Ancora Compton. Come risultato di molte discussioni,
arrivammo alla conclusione di spedire un rapporto strettamente
confidenziale a Vannevar Bush, direttore dell’Ufficio di Ricerca e
Sviluppo Scientifico. Il documento diceva in sostanza: "Probabilmente
si può realizzare una bomba atomica e questa sarà altamente distruttiva.
Talmente distruttiva che la nazione che la realizzerà per prima sarà in
grado di vincere la guerra. La nostra é una sfida con la Germania
nazista. La fattibilità tecnica della bomba prevede tempi dell’ordine
di 3 anni e mezzo, forse 4 anni. In termini di dollari, il costo sarà
dell’ordine del miliardo (109 $): è più difficile prevedere al
dettaglio il coefficiente che moltiplica questo ordine di grandezza.
Potrebbe essere 1.5, forse 2, forse anche 3. Accadde che un rapporto con
contenuti analoghi sia stato compilato dai britannici, più o meno nel
medesimo periodo. Vannevar Bush portò personalmente il rapporto al
Presidente. La risposta non tardò a mancare: avanti a tutta forza, non
possiamo permettere al nemico via libera su una simile iniziativa. Sarebbe
come regalargli la vittoria. Così, il 6 dicembre 1941, giorno
immediatamente precedente all’attacco giapponese su Pearl Harbor, fu
riunito di urgenza a Washington un gruppo di noi e vennero affidati gli
incarichi speciali ‘ad personam’".
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