Notizie in... Controluce Notizie in... Controluce
 Versione digitale del mensile di cultura e attualità dei Castelli Romani e Prenestini

sei il visitatore n.

 

home | indice giornali | estratti | info | agenda | cont@tti | cerca nel sito | pubblicità

 

Sommario anno XI numero 6 - giugno 2002

 I NOSTRI PAESI - pag. 14
marino
Ricerca del particolare nelle opere di Silvestri
(Eliana Rossi ) - La professione di medico, presso l’Ospedale "San Giuseppe" di Marino, non ha limitato la giornata del dott. Mario Ugo Silvestri che è riuscito a ritagliarsi un suo piccolo spazio creativo. La mostra personale di Silvestri, pittore autodidatta, è stata esposta, dal 10 al 20 maggio, presso il Museo Civico "Umberto Mastroianni"a Marino. Presenti all’inaugurazione della rassegna artistica, acquerello su tela, il direttore del Museo Alessandro Bedetti e il critico d’arte-poeta Franco Campegiani. Nel suo discorso sull’arte di Silvestri, Campegiani ha individuato una "matrice impressionistica, data la luminosità e il tratto analitico del dettaglio, ma, a ben guardare, manca dell’impressionismo il segno vitalistico. Qui – continua il critico – l’impronta è mentale, evocativa, favolistica. Si può parlare di surrealismo che glorifica gli elementi del mondo oggettivo fino ad arrivare alle poetiche del "ready made" (oggetto trovato). Anche qui occorre fare un distinguo perché la contemplatività di questi dipinti non ha alcunché di intellettualistico, di chiuso nei labirinti psichici, ma anzi, c’è in essi un senso eterico di liberazione ed evoluzione dell’io, tanto che parlerei, a proposito di queste scene, di metafore della vita e della serenità spirituale". Per Silvestri, la pittura è quasi un bisogno "è il mio ansiolitico, - spiega il medico-artista - mi distende. Cerco l’armonia, la serenità, attraverso una ricerca spontanea. Preferisco accostare colori tenui che non stridano troppo, cercando di curare il particolare, l’oggetto che passa inosservato, che non si impone. La pittura mi dà la possibilità di vedere con altri occhi ciò che mi circonda, è quasi un circolo che completa la mia personalità: la professione mi dà lo spessore umano che trasmetto alla pittura". Il Museo Civico di Marino, conosciuto come il Tempio Gotico, è stato inaugurato, nel mese di maggio 2000, come museo archeologico per la conservazione dei reperti che si trovavano nei depositi di Palazzo Colonna, provenienti dall’Antiquarium di Marino. La nuova struttura museale si prefigge come obiettivo, di facilitare la conoscenza e la fruizione, ad una vasta e differenziata utenza, del patrimonio storico-artistico della città. "Durante l’anno – illustra Bedetti vengono organizzati una serie di eventi, di rassegne artistiche. Sono da menzionare: l’esposizione di alcuni disegni realizzati da Bruno Cannucciari e Valentina D’Orsi, per le tavole del fumetto Lupo Alberto; la mostra contemporanea di pittura e scultura "Mezzo litro di", alla quale hanno partecipato ragazzi italiani e stranieri, provenienti dall’Africa, dal Portogallo e dalla Corea. È in programmazione un’altra serie di iniziative che prevedono per giugno, in concomitanza con i festeggiamenti in onore di San Barnaba, una mostra d’arte sacra del XVI e XVII secolo, con tele del Bernini, Giordano e Remi. A settembre verranno esposti i lavori effettuati dagli studenti delle scuole elementari e superiori, pubbliche e private, che hanno partecipato al programma "Adotta un monumento", una ricerca sui monumenti del territorio condotta attraverso foto e disegni. Ad ottobre, ospiteremo la mostra di Enrico Bai che disegnerà, altresì, la locandina per la Sagra dell’Uva e, a dicembre, verrà allestita un’esposizione che illustrerà la storia della ex chiesa di Santa Lucia, poi Tempio Gotico e tutte le varie fasi del restauro che hanno permesso di recuperare un edificio fatiscente, di enorme rilevanza storica, in grado di ospitare, oggi, il Museo Civico".

frascati
Raccolta di vedute napoletane a Frascati
(Luca Ceccarelli) -
Si sta tenendo in questi giorni a Frascati (durerà fino al 15 giugno), alle Scuderie Aldobrandini, con il patrocinio dell’Assessorato alle politiche culturali del Comune tuscolano, la mostra sulle Vedute napoletane della Collezione Alisio.
Si tratta di un’esposizione pittorica di alcune decine di opere di varia fattura: vi sono olii, acquerelli, lavori in tempera (tra cui quel particolare lavoro a tempera chiamato gouache). La "veduta" è un tema figurativo che, pur avendo dei precedenti nella pittura del Quattrocento e del Cinquecento, prende vita autonoma nel secolo XVII, con diverse sfumature, in area francese, tedesca, olandese e fiamminga. In quest’ultima, in cui si distinsero figure come quella di Ruysdael e Vermeer, la committenza era molto vasta, il che favorì la nascita di botteghe pittoriche dedicate alla composizione di vedute che oggi sono disseminate in musei e collezioni private di tutto il mondo. Nel tardo Seicento e nel Settecento la produzione di vedute divenne un fenomeno diffuso su scala europea. Vale la pena di ricordare, a tal riguardo, una tappa fondamentale e particolarmente originale di questo tema pittorico come la stagione veneziana del Canaletto, del Guardi e del Bellotto. Non può sorprendere il fatto che già nel Seicento Napoli, grazie alla sua posizione panoramica d’eccellenza e alle sue attrattive monumentali attirasse i paesaggisti italiani e stranieri.
Non vi sono, nella mostra della Collezione Alisio, dei capolavori, e il limite che più salta all’occhio è il carattere unilaterale di una raccolta siffatta di "vedute". Manca, nella rassegna, quell’attenzione al paesaggio umano, alla vivacissima vita popolare, ai tipi e ai ritratti che era, invece, il tratto più tipico della pittura di ispirazione caravaggesca. Inoltre, quello che salta all’occhio è il carattere di epigoni di alcuni degli autori delle opere esposte. A cominciare da quel Paolo de Matteis, vissuto tra la fine del Seicento e gli inizi del Settecento, autore di un’Allegoria della prosperità e delle arti nella città di Napoli, manifestamente esemplato sui modelli delle allegorie barocche di Pietro da Cortona e dei classicisti come Guido Reni. Ispirata invece a modelli olandesi, e già imbevuta di una sensibilità romantica, è la Veduta del Golfo di Napoli dalla Lanterna del Molo con il Vesuvio in eruzione, non diversamente dal quadro di un anonimo del XVII secolo raffigurante un mare in tempesta con i velieri sballottati dalle onde.
Se i paesaggi settecenteschi di Tommaso Ruiz appaiono piuttosto statici, nel Teatro di San Carlo di Aniello de Aloysio abbiamo una scena di vita urbana napoletana dell’epoca. Interessanti sono a questo riguardo le opere di Saverio Della Gatta, attivo a Napoli tra il 1777 e il 1827, tra cui la tempera su carta raffigurante la Distruzione dell’albero della libertà a largo di Palazzo e la gouache Venditore di sorbetto e franfelliccaro napoletano (il franfelliccaro vende una specie zucchero caramellato). Di ispirazione simile a quella di quest’ultimo dipinto è la tempera di Pietro Fabris con Tarantella sullo sfondo del Golfo di Napoli. Il tutto, senza mai però innalzarsi al di sopra della pittura "di maniera".
I pastelli di Giuseppe Casciaro, vissuto tra la seconda metà dell’Ottocento e la prima metà del Novecento, raffiguranti la chiesa di San Michele di Capri e Marina Grande sembrano invece risentire dell’influsso delle tendenze pittoriche moderne come l’impressionismo e il puntinismo. Da segnalare infine, oltre ad un’opera minore di Angelika Kauffmann, raffigurante Il Principe di Borbone che presenta le arti a Maria Teresa d’Austria (che non è un paesaggio, e viene proposta forse più per il nome dell’autrice che per la pertinenza con il tema della mostra) due olii su tavola di Leon Richet: Vico Equense dallo Scraio e Castel dell’Ovo dalla spiaggia di Chiatamone, che, per i loro colori e per la particolare incorniciatura, sembrano esemplati sulle ceramiche, la cui produzione a Napoli nel Settecento raggiunse risultati di grande pregio, come testimonia oggi la relativa raccolta nel Museo di Capodimonte.


nemi
‘Mestierando’, una mostra istruttiva
(Bruna Macioci) - Artigianato, che passione! Artisti del legno, del ferro, del cuoio, della stoffa, del cibo, dell’edilizia e perfino della lastricatura di strade. I mestieri antichi. Odori che uscivano dalle botteghe, rumori d’operosità quotidiana che scandivano le giornate in viuzze solitarie. La bravura manuale che si univa ad un gusto inventivo unico e personalissimo. La profonda conoscenza del materiale da lavorare, i suoi limiti e le sue magìe, i suoi difetti e i suoi pregi, le sue fragilità e le sue meraviglie. L’artigiano, un artista che scompare: il piccolo maestro sconosciuto di un’arte che agonizza nel mondo perfetto dell’industria, dove tutti cercano il prodotto senza falli e senza sorprese, dove si vive di standard asettici, banali, squallidi... Un’arte che muore perché muore il mondo che la generò, a misura d’uomo e non d’azienda commerciale, a misura di villaggio e non di villaggio globale. Le cose di una volta. Le tovaglie di pizzo all’uncinetto; lo scialle tradizionale; la sella e le redini; la botte, la sedia impagliata, i dolci ‘poveri’, i sampietrini... La perizia manuale che si sposava con la passione. L’orgoglio del lavoro ‘fatto bene’, solido e bello, che dura nel tempo e soddisfa il committente. Tempi andati. Oggi che tutto è di serie, che tutto è industria, chi non pensa con un sospiro a questo mondo scomparso? Alzi la mano chi non è mai andato in gita in qualche paesetto a cercare qualcuno di questi personaggi introvabili, e che entrando in una delle sempre più rare botteghe artigiane non si sia sentito catapultato all’improvviso in un achronicon spazio-temporale e non si sia scoperto ad annusare, a rimpiangere, ad entusiasmarsi... ahinoi, a chiedersi come si potesse vivere così... Noi, i moderni. I civilizzati. Noi che abbiamo tutto e non rinunciamo a niente. Noi con le cose sempre più ‘ultima generazione’, che poi andiamo in visibilio per la vecchia cassapanca, per le tendine della nonna, per il pane casareccio. Noi, la generazione contraddittoria, che vorremmo salvare la capra delle comodità moderne e il cavolo dell’oggetto unico e prezioso: cioè, povero, ma reso prezioso dal fatto d’essere unico! I Castelli Romani erano, fino a poco fa, una miniera di artigiani e botteghe ormai già scomparse in città.
Una mostra paziente ed istruttiva ci ha offerto oggi l’opportunità di incontrare di nuovo questo ‘mondo a parte’ che rappresenta le nostre radici culturali e storiche, perché non sia dimenticato, perché si possa aiutarlo a sopravvivere nonostante tutto. Questa mostra, ‘Mestierando’, si è svolta a Nemi, nel Chiostro della Mercede, il 18 e 19 maggio. È stata curata dall’Associazione Culturale Onlus San Valentino con il contributo della Provincia di Roma.


Laurea
Simone Proietti, figlio del nostro amico e collaboratore Mauro, si è laureato alla facoltà di scienze matematiche, fisiche e naturali, corso di laurea in scienze naturali, dipartimento di biologia vegetale

Ha presentato una tesi di laurea in Conservazione della natura e delle sue risorse dal titolo "La vegetazione dei ghiacciai del settore Sud-orientale del Parco Nazionale d’Abruzzo".
A Simone le congratulazioni dei famigliari, degli amici e della Redazione.

 I NOSTRI PAESI - pag. 14

Sommario anno XI numero 6 - giugno 2002