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Sommario anno XI numero 6 - giugno 2002

 CURIOSITÀ DI OGGI E DI IERI - pag. 23
Sulle tracce di Beatrice Cenci
Guido Reni - Beatrice Cenci(Luca Ceccarelli) - Dell’antichissima famiglia Cenci sono rimaste nella memoria collettiva la figura di Beatrice, figlia del perfido Francesco, e le fosche vicende di sangue che li videro coinvolti che sono state oggetto di innumerevoli ricostruzioni teatrali, narrative e cinematografiche: ricordiamo almeno il racconto di Stendhal inserito nelle Cronache romane e il dramma di Shelley The Cenci. Circa due anni fa alla figura di Beatrice venne dedicata anche una mostra a Roma presso la Fondazione Marco Besso.

Oggi i luoghi in cui si manifestava il potere della famiglia Cenci sono abbandonati, o comunque disertati dagli eredi della famiglia. Ci riferiamo in primo luogo alla collinetta posta tra il Tevere e l’antico ghetto ebreo, dove la famiglia dimorava già dal Medio Evo. Lo stesso palazzo Cenci (oggi non più abitato da membri della famiglia) è un complesso di costruzioni di epoche diverse, e la chiesa di San Tommaso era una cappella gentilizia fatta erigere nel XII secolo da un vescovo della famiglia. Ai primi del XVI secolo il papa Giulio II Della Rovere ne sancì la proprietà di quello che ancora oggi si chiama Monte Cenci. La stessa cappella gentilizia venne ricostruita ed assunse dignità di chiesa, nel 1575, per iniziativa di Francesco Cenci. Quest’ultimo, a cui il pur bravo Gino Cervi nel film Beatrice Cenci del 1956 dà un volto fin troppo umano, era un orco che superò tutti i limiti della violenza e della lussuria, tanto da venire costretto a pagare una multa di centomila scudi per "vizio nefando" (eufemismo che sottintendeva la pederastia). Si trattava di un’ammenda salatissima, che impoverì le finanze della famiglia.
Petrella Salto - Rocca CenciFrancesco lasciò pertanto il palazzo romano con la moglie ed i figli, e si ritirò a vivere in una rocca che sovrastava il borgo di Petrella Salto vicino a Rieti, concessagli in affitto dalla famiglia Colonna che ne era proprietaria. Oggi di questa rocca non esiste che un rudere, sufficiente tuttavia a dimostrare l’austerità di questa dimora che d’inverno era spesso spazzata dalla neve. Qui Francesco non mutò i suoi costumi in meglio. Prese anzi ad infierire sulla seconda moglie Lucrezia e sui figli. In modo particolare sulla giovane Beatrice, che non solo prendeva a nerbate ma a cui rivolse addirittura delle illecite attenzioni sessuali. Fu questo atto a spingere Beatrice, d’accordo con la madre e i fratelli, a decidere di sopprimere il padre. Facendo di necessità virtù, la giovane sedusse il castellano di Petrella Olimpio Calvetti, mentre il fratello andava a Roma a procurarsi il narcotico e il veleno per addormentare il padre. Quando l’oppio e la radica rossa giunsero nel castello, spediti da Giacomo, Francesco venne opportunamente drogato. Ma non fu sufficiente: Francesco dormiva di sonno profondissimo ma non moriva, e il Calvetti, insieme ad uno scherano di nome Marzio Catalano, dovettero finirlo con un martello e uno "stenterello" (il matterello per stendere la pasta), e gettarono il cadavere dalle mura per simulare un incidente. Ma il tentativo non riuscì: le autorità inquirenti sospettarono subito che si trattasse di omicidio. A questo punto il Calvetti si sottrasse alla polizia, ma Giacomo, su consiglio di un parente, lo fece raggiungere e sopprimere. Nel frattempo la moglie e i figli di Francesco erano fuggiti dalla rocca di Petrella.
Si trasferirono in un casale di proprietà della famiglia a Torre Nova, a sud est di Roma. Questo edificio cinquecentesco, che poco dopo passò alla famiglia Aldobrandini e che oggi versa in uno stato di totale degrado, era tutto decorato e affrescato, ma già all’epoca in stato di profonda decadenza, a causa dell’impossibilità per la famiglia Cenci di provvedere alla manutenzione. È qui che Beatrice visse nel periodo che intercorse tra l’omicidio del padre e l’arresto e la traduzione, insieme alla famiglia, a Castel Sant’Angelo.
Non ci soffermeremo sul processo e sull’esecuzione (sui quali la principale fonte è, comunque, il rendiconto della Confraternita di San Giovanni Decollato, conservata nell’Archivio di stato), che Beatrice, a differenza di Giacomo e Lucrezia, sopraffatti dal terrore, affrontò con sarcasmo e fierezza, guadagnandosi il rispetto e la simpatia popolare, e confessò l’omicidio solo dopo essere stata torturata. Meno noto è, forse, che inizialmente il Papa Clemente VII propendeva per una sentenza clemente. Ma quando venne a sapere, proprio durante lo svolgimento del processo, che a Subiaco il giovane Paolo dei principi Santacroce aveva ucciso la madre perché questa gli aveva negato l’eredità, decise di spingere per una sentenza esemplare. Vale la pena solo ricordare che l’11 settembre 1599, mentre il fratello e la madre venivano portati di peso davanti al boia, Beatrice salì sul patibolo a testa alta, e mise lei stessa la testa sul ceppo per offrirla al carnefice, cosa che fece salire ancora di più la giovane, che aveva solo 22 anni, nella considerazione del popolo, tanto che dopo l’esecuzione la sua testa venne coperta di ghirlande di fiori, e il suo corpo venne portato a San Pietro in Montorio, sul Gianicolo, dove una folla piangente la vegliò in preghiera fino a mezzanotte. E ancora oggi la Confraternita dei Vetturini, nell’anniversario dell’esecuzione, fa celebrare una messa in suffragio nella chiesa di San Tommaso dove, secondo una diceria popolare, Francesco aveva intenzione di seppellire Beatrice e Giacomo dopo averli soppressi.
 CURIOSITÀ DI OGGI E DI IERI - pag. 23

Sommario anno XI numero 6 - giugno 2002