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Sommario anno XI numero 6 - giugno 2002

 Enrico Fermi e La Pila atomica - pag. 31
9 - Il "thesaurus" e le Pile di Hanford

Siamo arrivati alla nona parte di questa rubrica curata da Nicola Pacilio e dedicata ad Enrico Fermi e la Pila Atomica. La rubrica impegnerà l’autore e Controluce, a partire da ottobre 2001, in coincidenza con il centenario della nascita (29 settembre 2001), via via per un intero anno fino al 2 dicembre 2002 quando sarà commemorato il 60mo anniversario del primo esperimento, con la pila atomica, della produzione di energia nucleare. Nicola Pacilio si occupa di Storia e Filosofia della Scienza ed è libero docente in fisica del reattore nucleare in Italia (Roma) e negli Stati Uniti (Università di California - Berkeley).


Enrico Fermi, Leo Szilard, Leona Marshall e altriLe pile di Hanford per la produzione di plutonio. "La vista era stupenda, il vento tagliava le guance" così Leona Woods Marshall ricorda il primo giorno a Hanford, nello stato di Washington, nel settembre 1944, quando lei, Enrico Fermi e il futuro presidente della DuPont, Crawford Greenewalt, salirono assai emozionati in cima a una torre di 12 piani per osservare dall’alto la riserva segreta del Progetto Manhattan. Dall’alto si poteva scorgere il fiume Columbia scorrere azzurro e profondo ai due lati della riserva e scomparire all’orizzonte. Ai confine del fiume il grigio deserto e, in lontananza, montagne con cappucci di nebbia. La costruzione del sito nucleare era ormai completata per i 2/3, con gli edifici civili, le hall tecnologiche e gli alti contenitori dei tre reattori destinati alla produzione di plutonio, situati sulla riva sinistra del Columbia River. Il numero degli addetti ai lavori aveva raggiunto il suo massimo nel mese di giugno 1944 con la cifra non trascurabile di 42mila unità. Leona lavorava a Hanford già da sei mesi, Greenewalt e Fermi l’avevano raggiunta in quel giorno di settembre per seguire da vicino l’avviamento del reattore B, il primo ad essere completato. Il giorno in cui le squadre di costruzione avevano completato il loro compito, Fermi aveva iniziato il caricamento nella griglia del reattore della prima barra di combustibile in uranio, incamiciata in una guaina di alluminio. Una volta ancora, dopo Chicago e Oak Ridge, il Papa (soprannome ereditato da Fermi fino dai tempi di via Panisperna, a Roma) aveva conferito la sua benedizione a un nuovo congegno nucleare. Martedì sera, il 26 settembre 1944, la più grande pila mai assemblata era pronta. Aveva raggiunto la criticità secca (senza l’acqua che avrebbe agito da refrigerante quando il sistema fosse andato a potenza) pochi giorni prima, per l’esattezza il venerdì precedente. Si trattava della più ridotta massa critica senza refrigerante opportunamente vincolata dagli operatori tramite le barre di controllo. Il giorno di martedi, i 1500 elementi di combustibile incamiciato in alluminio erano irrorati dalle acque di raffreddamento, incanalate verso il reattore direttamente dal bacino del Columbia River. (Richard Rhodes, The Making of the Atomic Bomb, Simon & Schuster 1986)

Un oracolo sulla fisica dei neutroni. Enrico Fermi sapeva padroneggiare la fisica dei neutroni necessaria per la sua impostazione del problema e di essere capace di utilizzarla fino all’estremo. Egli era senza dubbio il più grande esperto in materia di neutroni, presentatva una rara combinazione di talento e creatività teorici e di acume e sensibilità sperimentali, perfettamente adatti per il compito, la sua personalità attivava abili collaboratori e infine aveva una eccezionale resistenza al lavoro. Fermi aveva una conoscenza intuitiva del comportamento dei neutroni lenti che poteva essere assimilata assai da vicino a quella che hanno gli esperti in elettronica sul comportamento dei circuiti elettrici. Non aveva bisogno di lunghi e rigorosi calcoli per predire i risultati di un esperimento sulla diffusione dei neutroni: le sue stime erano quasi sempre assai prossime al vero. Emilio SegrèNonostante ciò, calcolava sempre accuratamente i risultati che voleva prevedere e poi confrontava il calcolo con l’esperienza, acquistando così una profonda conoscenza dei limiti delle approssimazioni che aveva introdotto e del loro campo di validità. Raccoglieva così una enorme quantità di dati che conservava e classificava meticolosamente in modo di averli a portata di mano quando se ne presentava il bisogno. Chiamava thesaurus questa raccolta di dati ed era effettivamente un tesoro di dati, formule, costanti sperimentali, sempre pronto per un uso immediato. Con il passare del tempo il "thesaurus", che in principio era contenuto in una grossa busta a soffietto, finì con l’occupare un paio di schedari di 4 cassetti ciascuno. La sua impareggiabile conoscenza dei neutroni fece sì che Fermi acquistasse la fama di oracolo. Quando nei primi tempi della costruzione delle pile o dei reattori di potenza, i tecnici erano imbarazzati dalla mancanza di dati nucleari, essi ricorrevano a Fermi: egli giustamente replicava di non poter predire costanti come le sezioni d’urto perché queste non erano state mai misurate. Uno degli ingegneri nucleari, che lavorava a Hanford, raccontava che in queste circostanze la regola era di ignorare le proteste di Fermi e di recitare lentamente davanti a lui una serie di numeri che potevano corrispondere alle sezioni d’urto cercate, guardando attentamente gli occhi di Fermi. Quando il fisico italiano batteva le palpebre, si usava la sezione d’urto appena pronunciata. (Emilio Segre, Enrico Fermi, Physicist, University of Chicago Press, 1970)
Mezzo secolo di grandi passi scientifici. Dieci anni fa, l’uomo ha raggiunto per la prima volta una reazione atomica che si autosostiene. Sono in molti a mettere questo evento in connessione soltanto con lo sviluppo della bomba atomica e gli sforzi successivi per sviluppare la bomba all’idrogeno: tale riferimento è presente anche nella commemorazione della circostanza operata pochi giorni or sono da parte della Atomic Energy Commission. Tuttavia la storia della prima reazione nucleare a catena, come spesso tutte quelle relative ad altri traguardi scientifici, comincia con le prime speculazioni dell’uomo sulla natura dell’universo. Le ultime conseguenze sono ancora imprevedibili. Il succedersi di eventi che hanno condotto alla scoperta della energia nucleare fanno parte della perenne ricerca da parte della scienza di una sempre più completa spiegazione della natura e del mondo che ci circonda. All’inizio di tutta la vicenda, nessuno aveva in mente alcuna idea o alcuno intento di contribuire a uno sviluppo militare o industriale di tale ingente portata. Sono molte le nazioni che hanno contribuito a fissare le pietre miliari di questa impresa. Vediamo di fornire una lista, assai parziale, dei contributi principali. La storia comincia a Parigi nel 1896 dove Antoine Henri Becquerel scopre la esistenza di elementi radioattivi, vale a dire di elementi che emettono spontaneamente radiazione invisibile, ma assai penetrante. Due anni più tardi, sempre a Parigi, Pierre e Marie Curie scoprono il radio, per molti anni a venire il più noto tra gli elementi radioattivi. A Zurigo, in Svizzera, Albert Einstein annuncia il convincimento che massa ed energia siano grandezze fisiche tra loro equivalenti: ciò conduce alla speculazione che l’una possa trasformarsi nell’altra e viceversa. Una scoperta di fondamentale importanza ha luogo nel 1912, quando Ernest Rutherford scopre il minuto ma pesante nucleo che costituisce la parte centrale degli atomi di tutti gli elementi: negli elementi ordinati il nucleo è stabile, negli elementi radioattivi il nucleo è instabile. Appena dopo la fine della prima guerra mondiale, lo stesso Rutherford ottiene per la prima volta la disintegrazione artificiale del nucleo al centro di un atomo di azoto. Durante il decennio successivo, la ricerca in questo settore procede a passo stabile, anche senza eventi spettacolari. Poi, all’improvviso, nel 1932 una serie di tre eventi decisivi da parte di scienziati che lavorano in tre differenti nazioni fa compiere un passo da gigante a quella branca della fisica che ha ormai acquisito la denominazione di "fisica nucleare". Walter Bothe in Germania e Frederic Joliot-Curie in Francia preparano il terreno che conduce James Chadwick alla scoperta del neutrone. Il neutrone, particella elettricamente neutra, costituisce uno dei due mattoni fondamentali del nucleao atomico. L’altro mattone è il protone particella con carica elettrica positiva. Il capitolo successivo della storia ha luogo a Roma nel 1934. In esperimenti in cui sono stato coinvolto anche io, si è dimostrato che questi neutroni sono in grado di disintegrare molti atomi, inclusi quelli dell’uranio. Questa scoperta sarà in seguito applicata nella prima reazione nucleare a catena di otto anni dopo. La prima pietra del nuovo edificio è posizionata a Berlino dove Otto Hahn, lavorando con Fritz Strassman, scopre la fissione nucleare ovvero la scissione del nucleo dell’atomo di uranio. La grande scoperta di Hahn dischiude a molti scienziati la fattibilità tecnica della produzione di una o più forme di energia "nucleare" (a quei tempi si diceva ancora "atomica"). È l’anno 1939. Il mondo intero è sulla soglia di una seconda guerra mondiale. Le nuove potenzialità della scienza appaiono importanti non soltanto per la pace, ma soprattutto per la guerra. (Enrico Fermi, Fermi’s Own Story, Chicago Sun-Times, November 23, 1952)

Le pile di Hanford producono plutonio. "Siamo arrivati nella sala di controllo proprio nel momento in cui tutto il personale specializzato della Du Pont aveva dato inizio alle operazioni" ricorda con vividezza Leona Marshall. "Tutti gli operatori erano al loro posto, allenati e istruiti alla perfezione, con i lucidi e ben foderati manuali di start-up in evidenza sui tavoli di lavoro quando non sulla consolle stessa del reattore". Alcuni degli osservatori alleviavano l’attesa e celebravano la circostanza sorseggiando in abbodanza dalle fiaschette di whiskey estratte dalle tasche sul retro dei pantaloni. Le loro grida di incoraggiamento esplodevano come fucilate. Leona ed Enrico andavano su e giù per la sala controllo, alternando attente occhiate su tutti i contatori di neutroni prima e quindi sulle camere a corrente. Gli operatori estraevano le barre di controllo nella sequenza prefissata da Fermi, il quale, come a Chicago poco più di due anni prima, calcolava il flusso neutronico su un regolo di appena 15 cm di lunghezza. Gradualmente la temperatura del reattore salì verso il corretto regime termodinamico in cui l’acqua di refrigerazione entrava a 10°C e usciva a 45°C. Eccolo lì il primo reattore di produzione del plutonio in operazione tranquillo, funzionale, sotto il completo controllo degli ingegneri della Du Pont. Persino nella sala controllo si poteva ascoltare il sordo ruggito dell’acqua pressurizzata che scivolava lungo i tubi dell’impianto di refrigerazione. (Richard Rhodes, The Making of the Atomic Bomb, Simon & Schuster 1986)

 Enrico Fermi e La Pila atomica - pag. 31

Sommario anno XI numero 6 - giugno 2002