9 - Il "thesaurus"
e le Pile di Hanford
Siamo arrivati alla nona parte di
questa rubrica curata da Nicola Pacilio e dedicata ad Enrico
Fermi e la Pila Atomica. La rubrica impegnerà l’autore e Controluce,
a partire da ottobre 2001, in coincidenza con il centenario della
nascita (29 settembre 2001), via via per un intero anno fino al 2
dicembre 2002 quando sarà commemorato il 60mo anniversario del primo
esperimento, con la pila atomica, della produzione di energia nucleare.
Nicola Pacilio si occupa di Storia e Filosofia della
Scienza ed è libero docente in fisica del reattore nucleare in Italia
(Roma) e negli Stati Uniti (Università di California - Berkeley).
Le
pile di Hanford per la produzione di plutonio. "La vista era
stupenda, il vento tagliava le guance" così Leona Woods Marshall
ricorda il primo giorno a Hanford, nello stato di Washington, nel
settembre 1944, quando lei, Enrico Fermi e il futuro presidente della
DuPont, Crawford Greenewalt, salirono assai emozionati in cima a una torre
di 12 piani per osservare dall’alto la riserva segreta del Progetto
Manhattan. Dall’alto si poteva scorgere il fiume Columbia scorrere
azzurro e profondo ai due lati della riserva e scomparire all’orizzonte.
Ai confine del fiume il grigio deserto e, in lontananza, montagne con
cappucci di nebbia. La costruzione del sito nucleare era ormai completata
per i 2/3, con gli edifici civili, le hall tecnologiche e gli alti
contenitori dei tre reattori destinati alla produzione di plutonio,
situati sulla riva sinistra del Columbia River. Il numero degli addetti ai
lavori aveva raggiunto il suo massimo nel mese di giugno 1944 con la cifra
non trascurabile di 42mila unità. Leona lavorava a Hanford già da sei
mesi, Greenewalt e Fermi l’avevano raggiunta in quel giorno di settembre
per seguire da vicino l’avviamento del reattore B, il primo ad essere
completato. Il giorno in cui le squadre di costruzione avevano completato
il loro compito, Fermi aveva iniziato il caricamento nella griglia del
reattore della prima barra di combustibile in uranio, incamiciata in una
guaina di alluminio. Una volta ancora, dopo Chicago e Oak Ridge, il Papa
(soprannome ereditato da Fermi fino dai tempi di via Panisperna, a Roma)
aveva conferito la sua benedizione a un nuovo congegno nucleare. Martedì
sera, il 26 settembre 1944, la più grande pila mai assemblata era pronta.
Aveva raggiunto la criticità secca (senza l’acqua che avrebbe agito da
refrigerante quando il sistema fosse andato a potenza) pochi giorni prima,
per l’esattezza il venerdì precedente. Si trattava della più ridotta
massa critica senza refrigerante opportunamente vincolata dagli operatori
tramite le barre di controllo. Il giorno di martedi, i 1500 elementi di
combustibile incamiciato in alluminio erano irrorati dalle acque di
raffreddamento, incanalate verso il reattore direttamente dal bacino del
Columbia River. (Richard Rhodes, The Making of the Atomic Bomb,
Simon & Schuster 1986)
Un oracolo sulla fisica dei
neutroni. Enrico Fermi sapeva
padroneggiare la fisica dei neutroni necessaria per la sua impostazione
del problema e di essere capace di utilizzarla fino all’estremo. Egli
era senza dubbio il più grande esperto in materia di neutroni,
presentatva una rara combinazione di talento e creatività teorici e di
acume e sensibilità sperimentali, perfettamente adatti per il compito, la
sua personalità attivava abili collaboratori e infine aveva una
eccezionale resistenza al lavoro. Fermi aveva una conoscenza intuitiva del
comportamento dei neutroni lenti che poteva essere assimilata assai da
vicino a quella che hanno gli esperti in elettronica sul comportamento dei
circuiti elettrici. Non aveva bisogno di lunghi e rigorosi calcoli per
predire i risultati di un esperimento sulla diffusione dei neutroni: le
sue stime erano quasi sempre assai prossime al vero.
Nonostante
ciò, calcolava sempre accuratamente i risultati che voleva prevedere e
poi confrontava il calcolo con l’esperienza, acquistando così una
profonda conoscenza dei limiti delle approssimazioni che aveva introdotto
e del loro campo di validità. Raccoglieva così una enorme quantità di
dati che conservava e classificava meticolosamente in modo di averli a
portata di mano quando se ne presentava il bisogno. Chiamava thesaurus
questa raccolta di dati ed era effettivamente un tesoro di dati,
formule, costanti sperimentali, sempre pronto per un uso immediato. Con il
passare del tempo il "thesaurus", che in principio era contenuto
in una grossa busta a soffietto, finì con l’occupare un paio di
schedari di 4 cassetti ciascuno. La sua impareggiabile conoscenza dei
neutroni fece sì che Fermi acquistasse la fama di oracolo. Quando nei
primi tempi della costruzione delle pile o dei reattori di potenza, i
tecnici erano imbarazzati dalla mancanza di dati nucleari, essi
ricorrevano a Fermi: egli giustamente replicava di non poter predire
costanti come le sezioni d’urto perché queste non erano state mai
misurate. Uno degli ingegneri nucleari, che lavorava a Hanford, raccontava
che in queste circostanze la regola era di ignorare le proteste di Fermi e
di recitare lentamente davanti a lui una serie di numeri che potevano
corrispondere alle sezioni d’urto cercate, guardando attentamente gli
occhi di Fermi. Quando il fisico italiano batteva le palpebre, si usava la
sezione d’urto appena pronunciata. (Emilio Segre, Enrico Fermi,
Physicist, University of Chicago Press, 1970)
Mezzo secolo di grandi passi
scientifici. Dieci anni fa, l’uomo
ha raggiunto per la prima volta una reazione atomica che si autosostiene.
Sono in molti a mettere questo evento in connessione soltanto con lo
sviluppo della bomba atomica e gli sforzi successivi per sviluppare la
bomba all’idrogeno: tale riferimento è presente anche nella
commemorazione della circostanza operata pochi giorni or sono da parte
della Atomic Energy Commission. Tuttavia la storia della prima reazione
nucleare a catena, come spesso tutte quelle relative ad altri traguardi
scientifici, comincia con le prime speculazioni dell’uomo sulla natura
dell’universo. Le ultime conseguenze sono ancora imprevedibili. Il
succedersi di eventi che hanno condotto alla scoperta della energia
nucleare fanno parte della perenne ricerca da parte della scienza di una
sempre più completa spiegazione della natura e del mondo che ci circonda.
All’inizio di tutta la vicenda, nessuno aveva in mente alcuna idea o
alcuno intento di contribuire a uno sviluppo militare o industriale di
tale ingente portata. Sono molte le nazioni che hanno contribuito a
fissare le pietre miliari di questa impresa. Vediamo di fornire una lista,
assai parziale, dei contributi principali. La storia comincia a Parigi nel
1896 dove Antoine Henri Becquerel scopre la esistenza di elementi
radioattivi, vale a dire di elementi che emettono spontaneamente
radiazione invisibile, ma assai penetrante. Due anni più tardi, sempre a
Parigi, Pierre e Marie Curie scoprono il radio, per molti
anni a venire il più noto tra gli elementi radioattivi. A Zurigo, in
Svizzera, Albert Einstein annuncia il convincimento che massa ed
energia siano grandezze fisiche tra loro equivalenti: ciò conduce alla
speculazione che l’una possa trasformarsi nell’altra e viceversa. Una
scoperta di fondamentale importanza ha luogo nel 1912, quando Ernest
Rutherford scopre il minuto ma pesante nucleo che costituisce la parte
centrale degli atomi di tutti gli elementi: negli elementi ordinati il
nucleo è stabile, negli elementi radioattivi il nucleo è instabile.
Appena dopo la fine della prima guerra mondiale, lo stesso Rutherford
ottiene per la prima volta la disintegrazione artificiale del nucleo al
centro di un atomo di azoto. Durante il decennio successivo, la ricerca in
questo settore procede a passo stabile, anche senza eventi spettacolari.
Poi, all’improvviso, nel 1932 una serie di tre eventi decisivi da parte
di scienziati che lavorano in tre differenti nazioni fa compiere un passo
da gigante a quella branca della fisica che ha ormai acquisito la
denominazione di "fisica nucleare". Walter Bothe in
Germania e Frederic Joliot-Curie in Francia preparano il terreno
che conduce James Chadwick alla scoperta del neutrone. Il neutrone,
particella elettricamente neutra, costituisce uno dei due mattoni
fondamentali del nucleao atomico. L’altro mattone è il protone
particella con carica elettrica positiva. Il capitolo successivo della
storia ha luogo a Roma nel 1934. In esperimenti in cui sono stato
coinvolto anche io, si è dimostrato che questi neutroni sono in grado di
disintegrare molti atomi, inclusi quelli dell’uranio. Questa scoperta
sarà in seguito applicata nella prima reazione nucleare a catena di otto
anni dopo. La prima pietra del nuovo edificio è posizionata a Berlino
dove Otto Hahn, lavorando con Fritz Strassman, scopre la
fissione nucleare ovvero la scissione del nucleo dell’atomo di uranio.
La grande scoperta di Hahn dischiude a molti scienziati la fattibilità
tecnica della produzione di una o più forme di energia
"nucleare" (a quei tempi si diceva ancora "atomica").
È l’anno 1939. Il mondo intero è sulla soglia di una seconda guerra
mondiale. Le nuove potenzialità della scienza appaiono importanti non
soltanto per la pace, ma soprattutto per la guerra. (Enrico Fermi, Fermi’s
Own Story, Chicago Sun-Times, November 23, 1952)
Le pile di Hanford producono
plutonio. "Siamo
arrivati nella sala di controllo proprio nel momento in cui tutto il
personale specializzato della Du Pont aveva dato inizio alle
operazioni" ricorda con vividezza Leona Marshall. "Tutti gli
operatori erano al loro posto, allenati e istruiti alla perfezione, con i
lucidi e ben foderati manuali di start-up in evidenza sui tavoli di
lavoro quando non sulla consolle stessa del reattore". Alcuni
degli osservatori alleviavano l’attesa e celebravano la circostanza
sorseggiando in abbodanza dalle fiaschette di whiskey estratte
dalle tasche sul retro dei pantaloni. Le loro grida di incoraggiamento
esplodevano come fucilate. Leona ed Enrico andavano su e giù per la sala
controllo, alternando attente occhiate su tutti i contatori di neutroni
prima e quindi sulle camere a corrente. Gli operatori estraevano le barre
di controllo nella sequenza prefissata da Fermi, il quale, come a Chicago
poco più di due anni prima, calcolava il flusso neutronico su un regolo
di appena 15 cm di lunghezza. Gradualmente la temperatura del reattore
salì verso il corretto regime termodinamico in cui l’acqua di
refrigerazione entrava a 10°C e usciva a 45°C. Eccolo lì il primo
reattore di produzione del plutonio in operazione tranquillo, funzionale,
sotto il completo controllo degli ingegneri della Du Pont. Persino nella
sala controllo si poteva ascoltare il sordo ruggito dell’acqua
pressurizzata che scivolava lungo i tubi dell’impianto di
refrigerazione. (Richard Rhodes, The Making of the Atomic Bomb,
Simon & Schuster 1986) |