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Sommario anno XI numero 8 - agosto 2002

 BREVI RACCONTI

Una favola per tutti: “L’Orso innamorato”
(Luca Nicotra) - Una notte di luna piena, trascorsa vegliando alla finestrella di una baita in alta montagna; l’aria fredda della neve fresca, caduta da qualche giorno; il mistero delle cime delle montagne che sfidano il cielo in una titanica gara d’altezza, i loro fianchi pelosi ricoperti di fitti boschi; il silenzio rumoroso della natura che, fingendo di dormire, veglia curiosa sulle cose del mondo; una favola improvvisa scritta da invisibili folletti nel mio cuore fanciullesco, una favola dedicata ai bambini e non solo, una favola per tutti gli adulti che non hanno perso la meravigliosa abitudine di rimanere un po’ bambini nel loro animo.

Un orso innamorato, girovagando di notte per un bosco, stanco e mesto, si fermò, e volto lo sguardo al cielo, accompagnato da un liuto, intonò una melodiosa romanza alle stelle, le cui parole suonavano pressappoco così:
“Io sono perdutamente, irrimediabilmente, passionalmente, fanciullescamente, meravigliosamente, spiritualmente, fisicamente, sentimentalmente, vulcanicamente innamorato di una gentil cerbiatta, dai grandi occhi a mandorla e dalla bellissima bocca di cerasaaaaaa!!”
Le stelle, a quel canto appassionato, commosse, presero a sbattere le loro ciglia argentee, lanciando nello spazio siderale bagliori intensi, scintillando con maggior lucentezza più e più volte, in segno di partecipazione al sentimento dell’orso. Il loro scintillio fu accompagnato da un susseguirsi saltellante e serpeggiante di note acute, quasi acquatiche, emesse da un’arpa disegnata nell’oscurità del cielo da un gruppo di stelle musicali. E la luna, da pallida che era, prese improvvisamente colore e, vergognosa dei pensieri d’amore che l’orso aveva in lei suscitato, divenne prima giallo arancione e poi rossa, e pareva un disco d’oro, circondato dalla collana di perle delle stelle che le si posero intorno per simpatia. La via lattea, improvvisamente, divenne più luminosa e pareva una sciarpa di seta attorcigliata al collo del cielo.
L’orso cercò la cerbiatta nel bosco, per lungo e per largo, ma non la trovò. A un certo punto, sconsolato e stanco, si fermò e, cosa veramente insolita per un orso, due grossi lacrimoni solcarono il suo viso peloso, fermandosi sul suo naso umido a bottone. E levati gli occhi al cielo, il suo sguardo divenne sempre più intenso, concentrato nello sforzo di vedere ciò che sperava di ritrovare, e le sue pupille si dilatarono sempre più, sotto il luccichio delle stelle e la commozione dell’animo, tanto da non vedere più distintamente la luna e gli altri corpi celesti. In quell’areola di frammenti oscuri di cielo, squarciati da bagliori improvvisi argentei, che ormai vedeva dinanzi a sé, nel suo delirio immaginativo, ai suoi occhi si delineò una sagoma indefinita, dominata da un viso dolce e da due grandi occhioni a mandorla. Rivide quella sagoma aggraziata saltellare felice nel bosco, fermarsi ad annusare i fiori dei prati fioriti e poi via di corsa a nascondersi di nuovo nel fitto dei boschi. Istintivamente, levò verso il cielo le sue grosse zampe pelose, nel desiderio di abbracciare quell’immagine, in cui riconobbe la sua cerbiatta perduta e col suo vocione la chiamò per nome. Ma nessuna voce gentile gli rispose, e allora l’orso capì che la sua cerbiatta si era definitivamente persa, come la sua immagine che vedeva innanzi a sé, nell’immensità degli spazi siderali. E divenne cupo e triste, ritornando alla solitudine della sua vita solitaria.

 BREVI RACCONTI

Sommario anno XI numero 8 - agosto 2002