Una
favola per tutti: “L’Orso innamorato”
(Luca
Nicotra) - Una notte di luna piena, trascorsa vegliando alla
finestrella di una baita in alta montagna; l’aria fredda della neve
fresca, caduta da qualche giorno; il mistero delle cime delle montagne che
sfidano il cielo in una titanica gara d’altezza, i loro fianchi pelosi
ricoperti di fitti boschi; il silenzio rumoroso della natura che, fingendo
di dormire, veglia curiosa sulle cose del mondo; una favola improvvisa
scritta da invisibili folletti nel mio cuore fanciullesco, una favola
dedicata ai bambini e non solo, una favola per tutti gli adulti che non
hanno perso la meravigliosa abitudine di rimanere un po’ bambini nel
loro animo.
Un orso innamorato, girovagando di notte per un bosco, stanco e mesto, si
fermò, e volto lo sguardo al cielo, accompagnato da un liuto, intonò una
melodiosa romanza alle stelle, le cui parole suonavano pressappoco così:
“Io sono perdutamente, irrimediabilmente, passionalmente,
fanciullescamente, meravigliosamente, spiritualmente, fisicamente,
sentimentalmente, vulcanicamente innamorato di una gentil cerbiatta, dai
grandi occhi a mandorla e dalla bellissima bocca di cerasaaaaaa!!”
Le stelle, a quel canto appassionato, commosse, presero a sbattere le
loro ciglia argentee, lanciando nello spazio siderale bagliori intensi,
scintillando con maggior lucentezza più e più volte, in segno di
partecipazione al sentimento dell’orso. Il loro scintillio fu
accompagnato da un susseguirsi saltellante e serpeggiante di note acute,
quasi acquatiche, emesse da un’arpa disegnata nell’oscurità del cielo
da un gruppo di stelle musicali.
E la luna, da pallida che era, prese improvvisamente colore e, vergognosa
dei pensieri d’amore che l’orso aveva in lei suscitato, divenne prima
giallo arancione e poi rossa, e pareva un disco d’oro, circondato dalla
collana di perle delle stelle che le si posero intorno per simpatia. La
via lattea, improvvisamente, divenne più luminosa e pareva una sciarpa di
seta attorcigliata al collo del cielo.
L’orso cercò la cerbiatta nel bosco, per lungo e per largo, ma non la
trovò. A un certo punto, sconsolato e stanco, si fermò e, cosa veramente
insolita per un orso, due grossi lacrimoni solcarono il suo viso peloso,
fermandosi sul suo naso umido a bottone. E levati gli occhi al cielo, il
suo sguardo divenne sempre più intenso, concentrato nello sforzo di
vedere ciò che sperava di ritrovare, e le sue pupille si dilatarono
sempre più, sotto il luccichio delle stelle e la commozione dell’animo,
tanto da non vedere più distintamente la luna e gli altri corpi celesti.
In quell’areola di frammenti oscuri di cielo, squarciati da bagliori
improvvisi argentei, che ormai vedeva dinanzi a sé, nel suo delirio
immaginativo, ai suoi occhi si delineò una sagoma indefinita, dominata da
un viso dolce e da due grandi occhioni a mandorla. Rivide quella sagoma
aggraziata saltellare felice nel bosco, fermarsi ad annusare i fiori dei
prati fioriti e poi via di corsa a nascondersi di nuovo nel fitto dei
boschi. Istintivamente, levò verso il cielo le sue grosse zampe pelose,
nel desiderio di abbracciare quell’immagine, in cui riconobbe la sua
cerbiatta perduta e col suo vocione la chiamò per nome. Ma nessuna voce
gentile gli rispose, e allora l’orso capì che la sua cerbiatta si era
definitivamente persa, come la sua immagine che vedeva innanzi a sé,
nell’immensità degli spazi siderali. E divenne cupo e triste,
ritornando alla solitudine della sua vita solitaria.
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