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Sommario anno XI numero 8 - agosto 2002

 EUTANASIA ED ETICA

Remore, difficoltà e possibilità nel trattamento con oppiacei dei malati terminali


Il presente articolo si sviluppa in note successive che prenderanno in esame:
1) Alcune premesse al tema; 2) Pericoli reali e pericoli esagerati dell’uso medico degli analgesici oppiacei; 3) La situazione legale: il caso dell’Olanda; 4) La situazione legale: il caso degli USA; 5) La situazione legale in Italia; 6) Il problema religioso; 7) Conclusioni..
L’autore, Giovanni Ceccarelli, quasi settantenne, è medico pediatra specializzato in bioetica presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore in Roma. Per trent’anni si è occupato dello studio dei farmaci sia a livello dell’Università - ha insegnato Farmacologia Clinica preso le Scuole di specializzazione in Farmacologia e Medicina Interna della Sapienza - sia nell’Industria - è stato direttore Medico per l’Italia di Pfizer e di società dl gruppo Schering.


Nella vita, se uno vuole capire,
capire veramente come stanno le cose di questo mondo,
deve morire almeno una volta.
Giorgio Bassani: Il giardino dei Finzi Contini

NOTA 2: PERICOLI REALI E PERICOLI ESAGERATI DELL’USO DEGLI OPPIACEI NEL MALATO TERMINALE
Nella precedente “Nota 1” abbiamo visto che l’uso dei farmaci del gruppo della morfina (oppiacei) è un caposaldo nella terapia del dolore che spesso affligge i malati terminali; abbiamo visto però, anche, come l’uso di questi farmaci sia sovente limitato - e quindi inadeguato a togliere il dolore - a causa di remore di varia natura.
Non è il caso di soffermarsi qui su alcuni aspetti più squisitamente medici del problema del dolore nei malati terminali. Basterà ricordare che l’efficacia della morfina e dei suoi derivati è notevole in moltissimi casi, anche se alcuni tipi di dolore reagiscono meno bene di altri alla terapia con questi farmaci.
Non si può fare a meno di rammentare, però, che - come per tutti i farmaci - anche per la morfina l’efficacia dipende ovviamente dalla dose e dalla frequenza di somministrazione. Queste devono essere stabilite sulla base di studi adeguati e corretti; per essere tali, questi studi di valutazione devono essere condotti in situazioni che ripetano quelle di impiego clinico; ciò significa che non è possibile trasferire i risultati ottenuti - ad esempio- in pazienti affetti da un certo tipo di dolore (per esempio: dolori di tipo acuto) ad altri pazienti che soffrano di un dolore di tipo diverso (per esempio dolori dovuti a condizioni croniche). Bisognerà anche ricordare che la dose di morfina orale deve essere superiore, anche di parecchie volte, a quella della stessa morfina per iniezione, a causa di fenomeni che implicano una diversa trasformazione del farmaco ad opera dell’organismo in dipendenza delle varie vie di assunzione..
Un altro elemento medico che spesso condiziona l’uso degli oppiacei nel malato con dolore cronico grave è il timore connesso ad una possibile depressione respiratoria indotta dal trattamento. Questo timore è certamente reale, ma nel caso in esame è fortemente esagerato e sovrastimato. Addirittura, ci sono dati che indicano come il dolore grave e protratto sia un potente antagonista degli effetti di depressione respiratoria da oppiacei e comunque una depressione respiratoria da oppiacei è molto rara in pazienti con dolore severo.
Non c’è dubbio, l’ho già accennato, che i timori connessi a fenomeni di dipendenza da oppiacei condizionano molto a livello culturale l’uso di tali farmaci nel paziente terminale con dolore grave, anche se, proprio perché si tratta di un paziente terminale, tali timori dovrebbero essere considerati nel loro peso reale, connesso e correlato al singolo caso. Va al riguardo segnalato che una indagine recente ha mostrato che negli Stati Uniti si è verificato nel corso degli anni ’90 un considerevole, anche se ancora non adeguato alle necessità, aumento dell’impiego medico di oppiacei analgesici, valutato in base a criteri attendibili  (dal 1990 al 1996 si è avuto un aumento del 59% dell’uso di morfina; del 23% di quello dell’ossicodone e del 19% dell’idromorfone, addirittura del 1168% del fentanil - si tratta di tre farmaci simili alla morfina negli effetti analgesici e che spesso la sostituiscono nella terapia del dolore nei malati terminali); solo l’impiego medico della meperidina, di cui è conosciuta la breve durata di azione e alcuni effetti collaterali, è diminuito nello stesso lasso di tempo del 35%); accanto a questo aumento degli impieghi medici, l’aumento di drug abuse (cioè, sostanzialmente, di abitudine al farmaco) nello stesso periodo è stato soltanto del 6.6% all’anno, variando in relazione ai differenti farmaci (-29% per l’ossicodone ma +3% per la morfina), per cui gli Autori dello studio concludono che “la tendenza ad un maggiore uso medico di analgesici oppiacei per la terapia del dolore non sembra contribuire  ad aumentare il rischio da oppiacei sulla salute pubblica”. L’aumentato utilizzo dei farmaci antidolore - e quindi degli oppiacei - viene considerato dall’OMS un parametro importante e forse il principale indicatore del migliorato trattamento del dolore. Spiace constatare al riguardo che l’Italia, come è stato sempre segnalato dal Comitato Nazionale di bioetica, è tuttora in coda alla classifica europea per tale parametro e agli ultimi posti nella classifica mondiale. Sempre secondo il Comitato Nazionale per la bioetica, negli ospedali italiani in base a recenti dati statistici circa il 50% dei degenti soffre per dolore non controllato. Nella precedente nota di questa serie, abbiamo visto come secondo i dati OMS il consumo pro capite di morfina in Italia per usi medici - quindi per la terapia del dolore - è notevolmente inferiore a quello che si verifica in altri Paesi europei, anche di tradizione simile alla nostra (tale consumo è pari al 23% di quello della Spagna, al 5% di quello del Portogallo); addirittura il consumo in parola è in Italia solo il 2% di quello della Danimarca.
Certamente, in queste condizioni, parlare - come sovente si fa anche ad opera di esperti autorevoli- di “ospedali senza dolore” è poco più di un auspicio. In effetti, progetti per realizzare l’ospedale senza dolore sono stati elaborati (il che non significa “attuati”) in vari Paesi Europei e d’America. Un progetto su scala nazionale è stato messo a punto al riguardo in Francia, dove il Ministère de la Santé ha diramato direttive a tutti gli ospedali perché vengano attuate precise misure per combattere il dolore (si veda al sito: www.santé.gouv.fr/douleur/2-lutte/34_980307.htm). In Italia “recentemente” il Ministero della Sanità ha “riunito una commissione” con il “compito di studiare” le modalità per “andare verso” l’Ospedale senza dolore che “si auspica” possa “preludere” al “lancio di un simile progetto” anche nel nostro Paese. Sottolineo i termini da me posti tra virgolette: di solito nel nostro Paese l’uso di una simile terminologia implica tempi di attuazione ben superiori a quelli ritenuti medi per la vita umana.             [Continua]


Ieri è morto un mio carissimo amico, padre Densi Cleary, rosminiano. È morto nella lontana Durham, nel nord dell’Inghilterra, dove la sua fede e il suo senso del dovere e dell’obbedienza lo avevano portato da molti anni. Era un uomo buono, un grande filosofo cattolico e un insegnante quale è difficile trovare. Qualunque sia la vostra fede, o qualunque sia la vostra non fede, vi prego di ricordarlo un attimo: vi assicuro, sarà un attimo che guadagnerete. Grazie. Gianni Ceccarelli

 EUTANASIA ED ETICA

Sommario anno XI numero 8 - agosto 2002