Notizie in... Controluce Notizie in... Controluce
 Versione digitale del mensile di cultura e attualità dei Castelli Romani e Prenestini

sei il visitatore n.

 

home | indice giornali | estratti | info | agenda | cont@tti | cerca nel sito | pubblicità

 

Sommario anno XI numero 10 - ottobre 2002

COSTUME E SOCIETÀ - pag. 17
Una sera a teatro: “Animula vagula blandula”
Giorgio Albertazzi(Roberto Esposti) - Tredici anni dopo la prima si rinnova la magia della rappresentazione di “Memorie di Adriano” a Villa Adriana. Così come nell’89 è Giorgio Albertazzi, ora direttore del Teatro di Roma, ad impersonare l’imperatore protagonista del libro di Margherite Yourcenar (edito da Einaudi) in quella che fu la residenza di campagna di Adriano a Tivoli.
L’idea di questa rappresentazione era in nuce già molti anni fa, quando la Yourcenar in visita a Roma rimase folgorata dalla bellezza di Villa Adriana: quelle costruzioni così grandi e perfette tradivano l’aspirazione di un mortale verso il divino e l’ideale ellenistico, il tentativo di un esteta deluso dal potere e dagli uomini di riposare lontano dal mondo; quest’uomo era Adriano e di lui la scrittrice belga volle ricostruire in un monologo gli ultimi pensieri prima della morte. Naturale quindi che a Giorgio Albertazzi sia venuta l’idea di rappresentare nel canopo della villa una riduzione di quel libro, adattamento che porta il nome dell’inizio dell’epitaffio che chiude il libro.
In una fresca sera di fine estate, gli spettatori attraversano la villa accompagnati dai volti dei protagonisti antichi di questa storia proiettati sulle rovine: Adriano, Antinoo e Plotina tornano eterei ad abitare quei luoghi che li videro nella pienezza dei loro corpi.
Lo spettacolo inizia con qualche minuto di ritardo a causa di problemi tecnici (davvero una fortuna per lei Ministro Gasparri…) e dalle tenebre del canopo emerge come dall’acqua Adriano/Albertazzi che inizia le sue meste ed orgogliose memorie, rivolte al giovane Marco Aurelio. Il monologo parla di un’infanzia trascorsa tra Roma e la Spagna, di studi appassionati, di amore per il teatro, di vittoriose campagne militari, di amori carnali, di passioni intellettuali. Si arriva fino alla proclamazione a cesare, successore designato di suo cugino, Traiano, nella Mesopotamia appena conquistata.
Il monologo è talvolta interrotto e talvolta intrecciato, quasi in trasparenza, dalle apparizioni delle persone importanti della vita di Adriano: il precettore greco, Adriano stesso giovanetto (Fabrizio Raggi), Plotina la moglie di Traiano (Fiorella Rubino), l’amato Antinoo (Fabio Correnti), emblema della bellezza assoluta che per non soccombere alla corruzione del tempo si ucciderà, causando al cesare un cupo dolore.
Ed è proprio con la riflessione sulla morte di Antinoo che si avvia alla fine la rappresentazione, conclusa con il lucido e poetico epitaffio: “Piccola anima graziosa e soave… cerchiamo di entrare nella morte ad occhi aperti.”.
L’adattamento del testo fatto dallo stesso Albertazzi è magistrale, come la regia di Maurizio Scaparro: entrambi perfetti nel cogliere gli spiriti, i tempi e le immagini evocate nel libro. L’interpretazione di Giorgio Albertazzi è magnetica, la sua voce dilata il tempo e trasla spazi lontani. Molto bravi anche gli altri attori, in particolare il giovane ballerino Fabio Correnti.

Un ricordo del Mazzamurello
Basilica di San Crisogono(Luca Ceccarelli) - L’origine del nome di Vicolo Mazzamurelli a Trastevere è incerta. Di sicuro non è un cognome di persona. C’è chi ha sostenuto che si trattava di un gioco d’azzardo che vi si praticava, ma anche questa spiegazione non è quella giusta.  In realtà, la parola Mazzamurello ha il significato di spiritello, e si può definire come il corrispettivo laziale di quello che a Napoli si chiama Mazzamauriello, o Munaciello. Oggi è una figura praticamente dimenticata, ma ha avuto grande parte nella fantasia popolare. Nessuno lo ha mai visto, ma secondo la tradizione è un nanetto vestito da chierico, che gira per le strade recitando le preghiere e bussando alle porte per dispetto. Ma il Mazzamurello è capace anche di trasformarsi nei modi più vari, in serpente o in un bel giovanotto o in un vecchio con la parrucca. Segno distintivo del Mazzamurello è inoltre una risata dispettosa, segno più inconfondibile della sua presenza. Solo nelle notti di luna piena diventa triste e non ride. Chi incontra per strada un Mazzamurello gli deve togliere il cappello, al che lo spiritello gli regalerà per riaverlo una manciata di monete d’oro. Guai però se il Mazzamurello si indispone e comincia a fare dispetti: ruba qualsiasi cosa, spegne i fornelli e fa sentire in modo inquietante la sua presenza con rumori e scricchiolii vari.
Secondo una tradizione locale, a Castro dei Volsci, nel cuore della Ciociaria, un avvocato abitava in un palazzo dove si era insediato un Mazzamurello, che cominciò a nascondergli tutti gli incartamenti relativi ai processi. Finché, esasperato, l’avvocato decise di cambiare casa. Tutto era pronto e sistemato su un camion: mobili, centinaia di libri, mucchi di fascicoli e documenti vari. Improvvisamente, in cima a tutto il carico, apparve il Mazzamurello che rideva e batteva le mani gridando: “Che bello, si cambia casa!”.
La domanda che si può porre è perché la strada sia intitolata proprio a questi spiritelli. Per rispondere bisogna tenere presente che qualche secolo fa l’assetto viario della zona era diverso (lo stesso Viale Trastevere venne costruito negli anni successivi alla proclamazione di Roma capitale): più indietro, davanti alla basilica di San Crisogono era un “chiassuolo”, buio, stretto e maleodorante dove, secondo la leggenda, viveva un uomo che, oltre ad essere implicato in affari loschi, si spacciava pubblicamente per mago e dichiarava di avere delle visioni. La sua casa, anche dopo la sua morte, era considerata mèta privilegiata dei Mazzamurelli, ed era circondata da una paura superstiziosa. In seguito alla costruzione del viale il chiassuolo è scomparso, insieme a tutte le case che lo circondavano, ma si è voluta ugualmente intitolare ai Mazzamurelli la strada che partendo da Viale Trastevere termina di fronte alla facciata settecentesca della chiesa di San Gallicano, incastonata nell’edificio dell’ospedale omonimo, a ricordo di una figura importante della tradizione popolare romana e laziale.


Dammi la mano, di Paolo Mosca
(Silvia Cutuli) - “Mentre le due torri crollavano nella polvere, noi cambiavamo pelle, cuore, spirito. Morivamo con quelle migliaia di creature innocenti: e mentre loro soffocavano sotto le macerie, noi rinascevamo come miracolati, più consapevoli che la nostra esistenza è un soffio di vento”. I fatti dell’11 settembre rappresentano per l’autore Paolo Mosca il momento di riscoprire il dialogo, la comunicazione, l’altro: nella solitudine “non sopporteremmo l’angoscia dell’incertezza del nuovo domani”.
Paolo Mosca intrattiene nel romanzo un incontro con un immaginario amico: abbandonato il frenetico ritmo di vita, senza andare al lavoro, i due si danno semplicemente la mano, provando a scambiarsi energie, pensieri, sogni, speranze. Il lettore viene coinvolto in un tuffo “senza tempo”, in cui i simboli della normalità sono annientati dalla rivincita dell’anima. I due protagonisti tolgono l’orologio “piccolo immenso trucco per darci appuntamenti, per dare un senso logico ai nostri capelli che sbiadiscono (…)”, non aprono il giornale “forse vorremmo qualche parola di speranza. Ma queste non arrivano dalla carta stampata. Bisogna andarle a cercare nel giornale che è dentro di noi, nel giornale che scriviamo e leggiamo noi, in un’unica copia dal prezzo altissimo”, ascoltano suonare lo strumento che è in loro.
Sulle pagine di Mosca si compie un viaggio da fermi, che porta ad esplorare l’io e poi ad avvertire, nella stretta di mano di un altro, la speranza di un domani migliore. “L’ottimismo ci arriverà da un uomo che, per età e per condizione, dovrebbe essere stanco di sorridere al domani. E invece ci prova. E se lui sorride, noi siamo cinici e presuntuosi a non credere che al di là delle montagne ci aspetta l’immenso prato della pace”.  Mosca avverte l’avvento del terzo millennio che spazzerà via ogni individualismo e, attraverso i mezzi di comunicazione di massa, porterà a collettivizzare idee e sensazioni. Da ciò matura la riscoperta della comunicazione: dando spazio alle parole mute, alle confidenze, siamo stimolati a trovare il perché per andare avanti.
“E adesso noi due per mano, dobbiamo sforzarci di credere ancora in questo folle mondo che fa di tutto per distruggersi”. Il forte messaggio di Paolo Mosca è che dobbiamo ancora vivere, se non per noi per gli altri.


Crudeltà gratuita
(Claudia Spagnuolo -
claudia_1938.it@libero.it) - In un giornale della Marsica, in merito alla “Sagra del toro” che si svolge ogni anno a Celano, si legge:
«C’è fanatismo eccessivo da parte degli animalisti»: è la risposta della curia di Avezzano alle proteste giunte da ogni parte d’Italia contro l’”offerta del toro” alla Madonna del Giubileo. «Tutto questo sdegno», dicono dalla diocesi, «per l’uccisione di un toro nell’ambito di una festa sembra davvero eccessivo. Certamente, non è bello legare questo tipo di sagra a ricorrenze religiose, ma comunque sarebbe bene rivolgere tutta questa attenzione a cose ben più gravi che accadono agli uomini e non solo agli animali». L’intervento del vescovado, insomma, vuol riportare una sorta di equilibrio nella vicenda e spegnere i toni eccessivi usati da alcune associazioni animaliste nei confronti di una semplice sagra paesana. Anche i celanesi e i tanti marsicani che hanno preso parte alla festa celebrata il 3 agosto, non ci stanno a tali accuse. Per tutti si è trattato di un evento folkloristico che non aveva nulla di oltraggioso e in cui si è mangiato il toro allo spiedo così come in tante sagre si mangiano altri animali.

Ci risiamo con questa indifferenza della chiesa cattolica per ciò che accade agli animali e con la solita contrapposizione tra animali e persone o bambini (cosa già accaduta quando si parlava dei beagles della ditta Morini o della festa della Palombella di Orvieto e per molti altri casi), cosa questa ultima che costituisce un alibi per chi in fondo in fondo non fa niente per nessuno dei due. La Chiesa sostiene di attenersi al Credo del Signore mentre invece dimentica che gli animali sia nella Bibbia che nel Vangelo erano rispettati ed amati e non uccisi barbaramente e dimentica che dovrebbe essere Lei per prima a difenderli da pratiche crudeli messe in atto solo per divertire i cittadini creando per questi ultimi dei passatempi più costruttivi e più edificanti e utili e per educare quelli più ostili al rispetto degli animali. Come si fa a pensare di offrire un toro ucciso barbaramente alla Madonna! È una cosa inammissibile e una scusa del tutto penosa per giustificare un bisogno di crudeltà gratuita che la Madonna sicuramente condannerebbe. Le feste e in particolare quelle religiose dovrebbero essere un inno alla vita e all’amore riferiti indifferentemente agli uomini e agli animali e non il divertimento dell’uno sulla pelle dell’altro, perché così ricordano molto da vicino le feste pagane con sacrifici di esseri viventi o le feste dei satanisti che operano nello stesso modo. Se volete informarvi sul rapporto tra la religione e gli animali leggete le pagine della Bibbia e forse imparerete a predicare l’amore universale e non uno pseudo-amore basato solo sulle parole.

COSTUME E SOCIETÀ - pag. 17

Sommario anno XI numero 10 - ottobre 2002