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Sommario anno XII numero 1 - gennaio 2003

 COSTUME E SOCIETÀ
Che cosa sta succedendo alla RAI?
(Roberto Esposti flann.obrien@email.it) - Non so se quando il lettore leggerà questa mia, alcune cose saranno cambiate, altre saranno state decise o le mie argomentazioni saranno state confutate dai fatti: voglio comunque provare a fare un ragionamento in merito alla maggiore industria culturale del paese, la RAI.
Questa azienda, perché di questo si tratta (una società per azioni, detenute quasi al 100% dal Ministero del Tesoro) sta attraversando una grave crisi societaria e di identità. Cerchiamo di capirne le ragioni.
La RAI azienda vive da anni una fase di profondi cambiamenti: la divisionalizzazione della holding, che ha portato a creare strutture doppie, spesso mal o per niente coordinate causanti sprechi, competizione fratricida e azioni imbarazzanti (vedi ad esempio RAI CINEMA per le vendite dei passaggi tv dei films); il problema degli appalti, che da una parte mortifica le professionalità interne e dall’altra fa lievitare i costi delle produzioni con risultati spesso scadenti; il problema dell’enorme bacino dei precari che fa vivere centinaia di persone senza sicurezze e impedisce il crescere di professionalità; l’inefficienza manageriale dovuta ad un Consiglio di Amministrazione legato alle sorti del Governo del Paese. Quest’ultimo punto è balzato recentemente alle cronache grazie alle dimissioni dei consiglieri Luigi Zanda e Carmine Donzelli e di quelle “congelate” di Marco Staderini, vicenda che ancora non ha trovato una soluzione per l’importanza degli interessi che si scontrano nel gioco. Com’è noto il C.D.A. RAI è nominato in numero di cinque consiglieri dai Presidenti delle Camere: questa regola è in vigore dal 1993, quando la legge 206 per porre fine alla lottizzazione partitica che strangolava i lavori del consiglio ridusse drasticamente il numero dei membri, sottraendone la nomina alla Commissione Parlamentare per la Vigilanza (di chiara impostazione partitica) per affidarla a due figure istituzionali di garanzia. Di fatto la “garanzia istituzionale” non c’è stata nei precedenti governi, che hanno attuato una mini-lottizzazione, causando spesso aspri scontri tra le forze politiche, impegnate tutte a ricercare “un posto al sole” nella tv di stato. Visto l’esiguo numero di consiglieri e l’ovvia impossibilità di accontentare tutti, gli scontri combattuti per la RAI hanno avuto negli ultimi otto anni valenze politiche molto rilevanti, tant’è che sia Gad Lerner che Curzio Maltese ricordavano ultimamente che le prove generali di rottura delle alleanze di maggioranza erano andate in scena in RAI e poi attuate nel Parlamento. Anche così dev’essere visto il congelamento delle dimissioni di Staderini (in quota all’UDC), da parte del restante C.D.A: (Antonio Baldassarre in quota A.N. e Ettore Albertoni in quota Lega): un tentativo di tenere a tutti i costi un’alleanza (magari reintegrandola) che esemplifica quella di governo, già duramente provata dalle recenti iniziative legislative della Casa delle Libertà. Del resto altrimenti non si spiegherebbe l’assurda pretesa di mandare avanti un’azienda di undicimila dipendenti, con un fatturato di decine di miliardi di euro con due soli Consiglieri e con un Direttore Generale che vive con l’incubo che il suo Presidente gli porti i libri contabili in tribunale da un momento all’altro, chissà poi per scoprire cosa… Tutto questo a soli dieci mesi dalla loro nomina, con almeno altri quattro anni di lavoro davanti, un contratto di servizio da attuare, una possibile opera di privatizzazione da sostenere: siamo alla follia per ogni dottrina manageriale! Aggiungiamo che come riportato da Lerner (e di fatto incontestabile) gli attuali membri del C.D.A. per competenze proprie non potrebbero mai in condizioni normali gestire una televisione: chiedete a Fedele Confalonieri se li assumerebbe in quei ruoli… Essi provengono per la maggior parte da esperienze del tutto estranee al broadcasting, esperienze che per carità conducevano in ottima maniera, ma qui risiede la differenza con il precedente C.D.A: nel passato i Consiglieri erano in massima parte tecnici dell’informazione, pur con le rispettive distanze politiche. Ed è per questo che la precedente gestione della RAI ha lavorato bene, anche nella contestata gestione del bilancio: se la vendita (con cui personalmente ero in disaccordo) di RAIWAY non fosse stata bloccata dal neonominato Ministro per le Telecomunicazioni, il “famoso” buco non sarebbe mai esistito.
La qualità dei programmi RAI è ora decisamente scemata, grazie anche alla perdita di seri professionisti. La RAI si sta trasformando nel perfetto contraltare “ludico” di Mediaset, cosa che scatena una crisi di identità che porterà direttamente alla prospettata privatizzazione. Se la RAI che vive di canone e di pubblicità offre lo stesso “intrattenimento” della concorrenza, che vive di “sola” pubblicità, senza offrire più informazione, più cultura, più sociale, inquadrandolo in quel pluralismo interno che santoddddio dovrebbe essere la cornice morale di ogni televisione, soprattutto pubblica (BBC docet), che senso ha che resti pubblica, soprattutto in un regime di monopolio privatistico? Persino all’elettore di sinistra viene la tentazione di pensare che con una RAI privata ci sarebbe finalmente un duopolio con due competitori forti e liberi di farsi la guerra. In un’ottica imprenditoriale vanno viste anche le prime delibere attuate dal Consiglio ristretto a due: la nomina dei vertici di SIPRA (la concessionaria di pubblicità RAI) e quelli di RAI FICTION. Due consociate fondamentali, perché la prima porta soldi veri e tanti ed un suo eventuale appannamento favorirebbe Publitalia; la seconda perché con i suoi prodotti genera ascolti, e se i format che produce sono scadenti e le fiction di conseguenza scialbe, qualcuno se ne avvantaggia lo si trova… Continui connubi politico-imprenditoriali si alternano quindi sulla scena di questa travagliata fase della vita di un industria culturale che tanto ha dato al Paese e tanto ancora potrebbe fare per “normalizzarlo” in senso democratico.
 COSTUME E SOCIETÀ

Sommario anno XII numero 1 - gennaio 2003