Che
cosa sta succedendo alla RAI?
(Roberto Esposti
flann.obrien@email.it)
- Non so se quando il
lettore leggerà questa mia, alcune cose saranno cambiate, altre saranno
state decise o le mie argomentazioni saranno state confutate dai fatti:
voglio comunque provare a fare un ragionamento in merito alla maggiore
industria culturale del paese, la RAI.
Questa azienda, perché di questo si tratta (una società per azioni,
detenute quasi al 100% dal Ministero del Tesoro) sta attraversando una
grave crisi societaria e di identità. Cerchiamo di capirne le ragioni.
La RAI azienda vive da anni una fase di profondi cambiamenti: la
divisionalizzazione della holding, che ha portato a creare strutture
doppie, spesso mal o per niente coordinate causanti sprechi, competizione
fratricida e azioni imbarazzanti (vedi ad esempio RAI CINEMA per le
vendite dei passaggi tv dei films); il problema degli appalti, che da una
parte mortifica le professionalità interne e dall’altra fa lievitare i
costi delle produzioni con risultati spesso scadenti; il problema
dell’enorme bacino dei precari che fa vivere centinaia di persone senza
sicurezze e impedisce il crescere di professionalità; l’inefficienza
manageriale dovuta ad un Consiglio di Amministrazione legato alle sorti
del Governo del Paese. Quest’ultimo punto è balzato recentemente alle
cronache grazie alle dimissioni dei consiglieri Luigi Zanda e Carmine
Donzelli e di quelle “congelate” di Marco Staderini, vicenda che
ancora non ha trovato una soluzione per l’importanza degli interessi che
si scontrano nel gioco. Com’è noto il C.D.A. RAI è nominato in numero
di cinque consiglieri dai Presidenti delle Camere: questa regola è in
vigore dal 1993, quando la legge 206 per porre fine alla lottizzazione
partitica che strangolava i lavori del consiglio ridusse drasticamente il
numero dei membri, sottraendone la nomina alla Commissione Parlamentare
per la Vigilanza (di chiara impostazione partitica) per affidarla a due
figure istituzionali di garanzia. Di fatto la “garanzia istituzionale”
non c’è stata nei precedenti governi, che hanno attuato una
mini-lottizzazione, causando spesso aspri scontri tra le forze politiche,
impegnate tutte a ricercare “un posto al sole” nella tv di stato.
Visto l’esiguo numero di consiglieri e l’ovvia impossibilità di
accontentare tutti, gli scontri combattuti per la RAI hanno avuto negli
ultimi otto anni valenze politiche molto rilevanti, tant’è che sia Gad
Lerner che Curzio Maltese ricordavano ultimamente che le prove generali di
rottura delle alleanze di maggioranza erano andate in scena in RAI e poi
attuate nel Parlamento. Anche così dev’essere visto il congelamento
delle dimissioni di Staderini (in quota all’UDC), da parte del restante
C.D.A: (Antonio Baldassarre in quota A.N. e Ettore Albertoni in quota
Lega): un tentativo di tenere a tutti i costi un’alleanza (magari
reintegrandola) che esemplifica quella di governo, già duramente provata
dalle recenti iniziative legislative della Casa delle Libertà. Del resto
altrimenti non si spiegherebbe l’assurda pretesa di mandare avanti
un’azienda di undicimila dipendenti, con un fatturato di decine di
miliardi di euro con due soli Consiglieri e con un Direttore Generale che
vive con l’incubo che il suo Presidente gli porti i libri contabili in
tribunale da un momento all’altro, chissà poi per scoprire cosa…
Tutto questo a soli dieci mesi dalla loro nomina, con almeno altri quattro
anni di lavoro davanti, un contratto di servizio da attuare, una possibile
opera di privatizzazione da sostenere: siamo alla follia per ogni dottrina
manageriale! Aggiungiamo che come riportato da Lerner (e di fatto
incontestabile) gli attuali membri del C.D.A. per competenze proprie non
potrebbero mai in condizioni normali gestire una televisione: chiedete a
Fedele Confalonieri se li assumerebbe in quei ruoli… Essi provengono per
la maggior parte da esperienze del tutto estranee al broadcasting,
esperienze che per carità conducevano in ottima maniera, ma qui risiede
la differenza con il precedente C.D.A: nel passato i Consiglieri erano in
massima parte tecnici dell’informazione, pur con le rispettive distanze
politiche. Ed è per questo che la precedente gestione della RAI ha
lavorato bene, anche nella contestata gestione del bilancio: se la vendita
(con cui personalmente ero in disaccordo) di RAIWAY non fosse stata
bloccata dal neonominato Ministro per le Telecomunicazioni, il
“famoso” buco non sarebbe mai esistito.
La qualità dei programmi RAI è ora decisamente scemata, grazie anche
alla perdita di seri professionisti. La RAI si sta trasformando nel
perfetto contraltare “ludico” di Mediaset, cosa che scatena una crisi
di identità che porterà direttamente alla prospettata privatizzazione.
Se la RAI che vive di canone e di pubblicità offre lo stesso
“intrattenimento” della concorrenza, che vive di “sola” pubblicità,
senza offrire più informazione, più cultura, più sociale, inquadrandolo
in quel pluralismo interno che santoddddio dovrebbe essere la cornice
morale di ogni televisione, soprattutto pubblica (BBC docet), che senso ha
che resti pubblica, soprattutto in un regime di monopolio privatistico?
Persino all’elettore di sinistra viene la tentazione di pensare che con
una RAI privata ci sarebbe finalmente un duopolio con due competitori
forti e liberi di farsi la guerra. In un’ottica imprenditoriale vanno
viste anche le prime delibere attuate dal Consiglio ristretto a due: la
nomina dei vertici di SIPRA (la concessionaria di pubblicità RAI) e
quelli di RAI FICTION. Due consociate fondamentali, perché la prima porta
soldi veri e tanti ed un suo eventuale appannamento favorirebbe Publitalia;
la seconda perché con i suoi prodotti genera ascolti, e se i format che
produce sono scadenti e le fiction di conseguenza scialbe, qualcuno se ne
avvantaggia lo si trova… Continui connubi politico-imprenditoriali si
alternano quindi sulla scena di questa travagliata fase della vita di un
industria culturale che tanto ha dato al Paese e tanto ancora potrebbe
fare per “normalizzarlo” in senso democratico. |