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Sommario anno XII numero 2 - febbraio 2003

 ARCHEOLOGIA

Sergio Frau - Le colonne d’Ercole. Un’inchiesta
(Dario Fo, Franca Rame, Jacopo Fo) - Da sempre coltiviamo la convinzione che la storia sia stata falsificata costantemente dai potenti. Da sempre ci appassiona andare a rivedere che cosa stride nelle ricostruzioni ufficiali, quelle condivise dalla maggioranza degli accademici. E più approfondiamo un argomento e più si trovano discordanze e assurdità tali da far dubitare... La nostra esperienza ci ha insegnato che qualunque tema venga sottoposto a un’indagine svela sempre un qualche falso.

A questo proposito ci siamo imbattuti in un testo di Sergio Frau: “Le colonne d’Ercole, un’inchiesta” che compie uno stravolgimento sostanziale della storia antica. Lo si capisce subito dal sotto titolo: “Come, quando e perché la Frontiera di Herakles/Milqart, Dio dell’Occidente mediterraneo, slittò per sempre a Gibilterra”. L’obiettivo di Frau è addirittura quello di confutare la nostra geografia antica così come viene accettata da tutti. A cominciare dalle Colonne d’Ercole che sono un punto focale per orientarsi dentro e fuori dal Mediterraneo conosciuto ai tempi di Omero.
La ricerca parte dalla scoperta che non vi è corrispondenza tra le descrizioni più antiche delle Colonne d’Ercole e dei loro dintorni con lo Stretto di Gibilterra, dove attualmente si immagina che gli Antichi le ponessero.
Per Pindaro, Aristotele e molti marinai tra il V e il III secolo a.C. la zona delle Colonne d’Ercole era una zona di fondali bassi, fangosi e senza vento. Il che non corrisponde affatto alla situazione dello Stretto di Gibilterra, profondo quasi 400 metri, solcato dalle possenti correnti. Ma Sergio Frau non si è fermato qui: infatti il Mediterraneo 2800 anni fa era ben diverso da oggi e scopriamo che allora le coste della Tunisia e quelle della Sicilia meridionale quasi si toccavano. E secondo i cronisti dell’epoca proprio là c’erano due isole forse Malta e Gozo, dalle quali a partire dal 508 a.C. iniziava, blindato, l’Impero cartaginese. E corrispondono anche le descrizioni che facevano di questa zona un luogo infido. Infatti, come confermano anche tutte le mappe dei fondali del tempo, ricostruite con l’elettronica tra la Sicilia e la Tunisia c’era una zona di mare poco profondo, con banchi di sabbia che si spostavano e grande pericolo perciò di arenarsi per le navi che passassero di lì senza possedere informazioni precise e molta molta prudenza. Ci naufraga, bestemmiando contro il capitano che lo trasporta, persino San Paolo, lì in zona, a Malta. Cioè si trattava di un posto che perfettamente si addice alla descrizione degli Antichi più antichi. Ma appena passate le Colonne d’Ercole, dopo averle riportate nella loro originaria collocazione al Canale di Sicilia, ecco che subito tutta la geografia arcaica viene squassata e rovesciata. Tutte le fonti greche che tra il V e la fine del III secolo a.C. parlano di Colonne d’Ercole - Platone compreso - vanno lette uscendo da quella tenaglia che c’è tra Capo Bon e Capo Lilibeo, la Cortina di Ferro che divideva mondo greco dal mondo fenicio. E nascono sospetti - uno dopo l’altro - che portano a ipotizzare tutta un’altra storia.
Statuetta in bronzo di ErcoleI libri di testo disegnano la cultura italica come discendente da quella romana, a sua volta onorata dai suoi ascendenti greci, che furono i primi cultori della scienza, faro planetario di civiltà. E si dà per scontato che tutto quello che era prima dei Greci fosse barbarie. Da anni concordiamo con Frau sulla negazione di questa idea.
I Greci erano in realtà dei predoni. Arrivarono in Europa verso il 1200 avanti Cristo col nome di Dori. Erano l’ennesima invasione di allevatori ignoranti e patriarcali. Secondo l’antropologa Marija Gimbutas, confermata in questo dalla ricerca genetica di Cavallli Sforza, a partire dal 4000 a.C. circa furono queste orde a sconvolgere la grande civiltà pacifica che aveva colonizzato il Mediterraneo e viveva di pesca, agricoltura e commerci. Dalle steppe dell’Eurasia queste ondate di allevatori che facevano della guerra la struttura base della loro vita, si riversarono nelle pianure fertili lungo i grandi fiumi. Nella maggioranza dei casi divennero dominatori ma furono anche assorbiti intellettualmente dalla più evoluta cultura dei popoli che avevano soggiogato. Per capire la situazione basta un esempio: quando i Dori conquistarono Creta trovarono le tavolette incise con testi scritti, leggi, storie e contabilità dei mercanti. Ma non capirono l’utilità della scrittura e iniziarono a utilizzarla solo 400 anni dopo. Compresero l’alfabeto solo quando si furono finalmente trasformati da allevatori predoni in commercianti agricoltori. Tutte le mirabolanti conoscenze della cultura greca in realtà sono il raccogliticcio dell’eredità matriarcale dei popoli vinti. In particolare la cultura egiziana fu per tutti i popoli mediterranei una grande fonte di conoscenze scientifiche e tecniche.
Quel che fecero i greci Dori prima, e i Romani poi, fu nascondere questo debito culturale. È un vizio dei vincitori rubare ai vinti anche i loro meriti storici.
Ed ecco che così si arriva al mito di Atlantide. La società perfetta, ultimo baluardo dell’Eta dell’oro dell’umanità, quando la pace regnava sul mondo e non era stata ancora inventata l’inferiorità della donna.
I Greci, dediti alla violenza e alla segregazione delle femmine (che non avevano diritto alcuno) sono continuamente affascinati da questa evoluta civiltà che li aveva preceduti. E ne resta traccia nell’Odissea, intessuta di storie di Amazzoni, di streghe e di popolazioni dai costumi scandalosi come nel caso di Nausicaa. Noi non ce ne rendiamo conto ma, per i tempi, era un po’ scandaloso che un re ordinasse alla sua giovane figlia di lavare e ungere uno straniero... Naufrago per giunta... Erano i racconti che facevano eccitare le platee dei benpensanti ateniesi che tenevano in grande considerazione la verginità delle loro figlie. Al contrario dei popoli matriarcali che, come ci conferma anche Erodoto, ancora secoli dopo le storie di Omero, praticavano l’ospitalità sessuale verso gli stranieri prima del matrimonio. Lo facevano per ottenere figli più sani mischiando il sangue. Queste storie di obblighi sessuali presso il tempio della Dea solleticavano grandemente gli Ateniesi che applaudivano Erodoto quando bollava Babilonia come città oscena. Ma non si può negare che questi popoli matriarcali avessero idee molto chiare sul valore positivo dell’incrocio il più possibile vario del patrimonio genetico. Evidentemente si erano accorti che i figli con gli stranieri nascevano spesso molto forti e persino più intelligenti. Anche perché allora i viaggiatori, per arrivare vivi a destinazione, dovevano essere sani e agili di cervello. I viaggi a quei tempi erano un grande sistema di selezione e arricchimento della specie.
Ma tornando alle Colonne d’Ercole e a Atlantide (3000 A.C.), cosa succede se dopo averle spostate seguiamo la rotta che ci indica ancora Platone per raggiungere l’isola scomparsa? Beh, pare proprio, che l’unica isola contro la quale si va a sbattere (in grado di reggere la parte di Isola Mito) sia proprio la Sardegna. Che in effetti, a ben guardare, ha proprio quella forma un po’ rettangolare che descrive Platone e nella parte meridionale è occupata da una pianura anch’essa quasi rettangolare. Frau ci illustra con dovizia di particolari tutte le somiglianze (coincidenze?) tra la Sardegna e l’Isola di Atlante. Ma resta un quesito. Molti segnalano che Atlantide era straordinariamente potente sul mare e che arrivò addirittura a scontrarsi con la flotta dei greci uscendone sconfitta... Ma da nessuna parte ci risulta che i Sardi fossero tanto potenti da diventare antagonisti dei greci sulle rotte del Mediterraneo. Ma Frau, romano meticcio, sventola la bandiera della sua parte sarda e le sue conoscenze sugli Egizi, per raccontarci tutta una serie di fatti e indizi sulla situazione del Mediterraneo prima del 1000 a.C. E, in effetti, viene fuori che la Sardegna, proprio in quel periodo era dotata di un’eccezionale linea difensiva costituita da centinaia di fortificazioni nuragiche. E manufatti sardi sono incredibilmente simili a molti trovati in tutto il Mediterraneo. E si incrociano parentele tra i Sardi e gli Etruschi, altro popolo dalle origini misteriose e dalle forti tendenze matriarcali. E, poi, viene fuori anche un nome, Shardana, che in effetti ricorda molto la parola Sardegna. E via, di questo passo, si disegna infine una pagina della storia antica che è ancora visibile solo in trasparenza. La storia di una grande consociazione di popoli matriarcali, che già, in parte hanno perso la loro caratteristica pacifica, assediati come sono dalle incursioni degli allevatori guerrieri. Un’ultima colossale battaglia, forse la prima grande battaglia navale della storia, oppone l’alleanza dei Popoli del Mare, capitanata dai Sardi, alla flotta riunita intorno alle bandiere degli Egizi di Ramses III e dei Greci (e qui Platone si riferisce alle popolazioni pre Doriche). Gli allevatori guerrieri vincono, ma enormi cataclismi si abbattono sia sul Mediterraneo d’Occidente che su quello d’Oriente della Grecia. Ormai la cultura matriarcale è stata massacrata da millenni di sconfitte, meticciati culturali e superiorità militare di culture incentrate sulla violenza. L’impero Shardana, colpito a morte da un maremoto, uno “Schiaffo di Poseidone” scrivono gli Antichi, ha perso per sempre la sua spinta e il fulcro della storia si sposta altrove.
E chiaramente poi a nessuno interessa tanto di andare a scavare nella storia dei Sardi. Considerata un’isola arretrata, abitata da popoli primitivi (e difficili), buona solo per depredarla delle sue querce e del suo argento. Certo i professori del continente non hanno mai avuto un interesse particolare a dar lustro ai Sardi: meglio era rintracciar antenati illustri ai briganti che fondarono Roma. (Come dice Berlusconi Romolo e il suo fratello Remolo, spesso erroneamente accumunati a Gongolo e Brontolo.)
E a ben guardare la Sardegna nasconde da secoli una cultura nella quale inaspettatamente ci sono ancora oggi forti tracce matriacali, tracce talmente importanti che difficilmente si scorgono altrove in tutto il nostro mare. Ad esempio De Santis, negli anni 50 riprese una scena in Barbagia che ci porta indietro di millenni e che pare proprio impossibile. Nel film girato dal grande ricercatore si vede un uomo anziano che viene curato da una decina di donne vestite di nero e con il fazzoletto nero in testa, quasi uno chador. Il vecchio è steso per terra in un campo: è un pazzo. Le donne iniziano a ballargli intorno e a saltarlo. Poi a turno si scoprono il seno e avvicinandosi al suo viso gli spruzzano addosso il loro latte mentre il vecchio urla e ride e cerca di toccarle.
Sicuramente un’immagine forte e appare incredibile che nel cuore della Barbagia degli anni ’50 delle donne avessero una tale considerazione del loro rituale da accettare di mostrarlo davanti alle cineprese. In un tempo nel quale, lo ricordiamo, mostrare un seno nudo era comunemente considerato un atto osceno e un reato penale.
Come hanno potuto resistere simili ritualità per millenni in una società apparentemente dominata dai maschi? Forse ciò è accaduto proprio perché da quelle parti - in quella Barbagia mai conquistata davvero, del tutto - le radici matriarcali erano particolarmente forti e profonde.  È realmente possibile ricostruire pezzi dell’Atlantide perduta scavando nella storia e nella cultura Sarda? Sicuramente si tratta di una sfida avvincente.
(Fonte: concessione de “Il c@c@o della domenica” - http://www.alcatraz.it)

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Sommario anno XII numero 2 - febbraio 2003