Sergio
Frau - Le colonne d’Ercole. Un’inchiesta
(Dario
Fo, Franca Rame, Jacopo Fo) - Da sempre coltiviamo la convinzione
che la storia sia stata falsificata costantemente dai potenti. Da sempre
ci appassiona andare a rivedere che cosa stride nelle ricostruzioni
ufficiali, quelle condivise dalla maggioranza degli accademici. E più
approfondiamo un argomento e più si trovano discordanze e assurdità tali
da far dubitare... La nostra esperienza ci ha insegnato che qualunque tema
venga sottoposto a un’indagine svela sempre un qualche falso.
A questo proposito ci siamo imbattuti in un testo di Sergio Frau: “Le
colonne d’Ercole, un’inchiesta” che compie uno stravolgimento
sostanziale della storia antica. Lo si capisce subito dal sotto titolo:
“Come, quando e perché la Frontiera di Herakles/Milqart, Dio
dell’Occidente mediterraneo, slittò per sempre a Gibilterra”.
L’obiettivo di Frau è addirittura quello di confutare la nostra
geografia antica così come viene accettata da tutti. A cominciare dalle
Colonne d’Ercole che sono un punto focale per orientarsi dentro e fuori
dal Mediterraneo conosciuto ai tempi di Omero.
La ricerca parte dalla scoperta che non vi è corrispondenza tra le
descrizioni più antiche delle Colonne d’Ercole e dei loro dintorni con
lo Stretto di Gibilterra, dove attualmente si immagina che gli Antichi le
ponessero.
Per Pindaro, Aristotele e molti marinai tra il V e il III secolo a.C. la
zona delle Colonne d’Ercole era una zona di fondali bassi, fangosi e
senza vento. Il che non corrisponde affatto alla situazione dello Stretto
di Gibilterra, profondo quasi 400 metri, solcato dalle possenti correnti.
Ma Sergio Frau non si è fermato qui: infatti il Mediterraneo 2800 anni fa
era ben diverso da oggi e scopriamo che allora le coste della Tunisia e
quelle della Sicilia meridionale quasi si toccavano. E secondo i cronisti
dell’epoca proprio là c’erano due isole forse Malta e Gozo, dalle
quali a partire dal 508 a.C. iniziava, blindato, l’Impero cartaginese. E
corrispondono anche le descrizioni che facevano di questa zona un luogo
infido. Infatti, come confermano anche tutte le mappe dei fondali del
tempo, ricostruite con l’elettronica tra la Sicilia e la Tunisia c’era
una zona di mare poco profondo, con banchi di sabbia che si spostavano e
grande pericolo perciò di arenarsi per le navi che passassero di lì
senza possedere informazioni precise e molta molta prudenza. Ci naufraga,
bestemmiando contro il capitano che lo trasporta, persino San Paolo, lì
in zona, a Malta. Cioè si trattava di un posto che perfettamente si
addice alla descrizione degli Antichi più antichi. Ma appena passate le
Colonne d’Ercole, dopo averle riportate nella loro originaria
collocazione al Canale di Sicilia, ecco che subito tutta la geografia
arcaica viene squassata e rovesciata. Tutte le fonti greche che tra il V e
la fine del III secolo a.C. parlano di Colonne d’Ercole - Platone
compreso - vanno lette uscendo da quella tenaglia che c’è tra Capo Bon
e Capo Lilibeo, la Cortina di Ferro che divideva mondo greco dal mondo
fenicio. E nascono sospetti - uno dopo l’altro - che portano a
ipotizzare tutta un’altra storia.
I libri di testo disegnano la cultura italica come discendente da quella
romana, a sua volta onorata dai suoi ascendenti greci, che furono i primi
cultori della scienza, faro planetario di civiltà. E si dà per scontato
che tutto quello che era prima dei Greci fosse barbarie. Da anni
concordiamo con Frau sulla negazione di questa idea.
I Greci erano in realtà dei predoni. Arrivarono in Europa verso il 1200
avanti Cristo col nome di Dori. Erano l’ennesima invasione di allevatori
ignoranti e patriarcali. Secondo l’antropologa Marija Gimbutas,
confermata in questo dalla ricerca genetica di Cavallli Sforza, a partire
dal 4000 a.C. circa furono queste orde a sconvolgere la grande civiltà
pacifica che aveva colonizzato il Mediterraneo e viveva di pesca,
agricoltura e commerci. Dalle steppe dell’Eurasia queste ondate di
allevatori che facevano della guerra la struttura base della loro vita, si
riversarono nelle pianure fertili lungo i grandi fiumi. Nella maggioranza
dei casi divennero dominatori ma furono anche assorbiti intellettualmente
dalla più evoluta cultura dei popoli che avevano soggiogato. Per capire
la situazione basta un esempio: quando i Dori conquistarono Creta
trovarono le tavolette incise con testi scritti, leggi, storie e
contabilità dei mercanti. Ma non capirono l’utilità della scrittura e
iniziarono a utilizzarla solo 400 anni dopo. Compresero l’alfabeto solo
quando si furono finalmente trasformati da allevatori predoni in
commercianti agricoltori. Tutte le mirabolanti conoscenze della cultura
greca in realtà sono il raccogliticcio dell’eredità matriarcale dei
popoli vinti. In particolare la cultura egiziana fu per tutti i popoli
mediterranei una grande fonte di conoscenze scientifiche e tecniche.
Quel che fecero i greci Dori prima, e i Romani poi, fu nascondere questo
debito culturale. È un vizio dei vincitori rubare ai vinti anche i loro
meriti storici.
Ed ecco che così si arriva al mito di Atlantide. La società perfetta,
ultimo baluardo dell’Eta dell’oro dell’umanità, quando la pace
regnava sul mondo e non era stata ancora inventata l’inferiorità della
donna.
I Greci, dediti alla violenza e alla segregazione delle femmine (che non
avevano diritto alcuno) sono continuamente affascinati da questa evoluta
civiltà che li aveva preceduti. E ne resta traccia nell’Odissea,
intessuta di storie di Amazzoni, di streghe e di popolazioni dai costumi
scandalosi come nel caso di Nausicaa. Noi non ce ne rendiamo conto ma, per
i tempi, era un po’ scandaloso che un re ordinasse alla sua giovane
figlia di lavare e ungere uno straniero... Naufrago per giunta... Erano i
racconti che facevano eccitare le platee dei benpensanti ateniesi che
tenevano in grande considerazione la verginità delle loro figlie. Al
contrario dei popoli matriarcali che, come ci conferma anche Erodoto,
ancora secoli dopo le storie di Omero, praticavano l’ospitalità
sessuale verso gli stranieri prima del matrimonio. Lo facevano per
ottenere figli più sani mischiando il sangue. Queste storie di obblighi
sessuali presso il tempio della Dea solleticavano grandemente gli Ateniesi
che applaudivano Erodoto quando bollava Babilonia come città oscena. Ma
non si può negare che questi popoli matriarcali avessero idee molto
chiare sul valore positivo dell’incrocio il più possibile vario del
patrimonio genetico. Evidentemente si erano accorti che i figli con gli
stranieri nascevano spesso molto forti e persino più intelligenti. Anche
perché allora i viaggiatori, per arrivare vivi a destinazione, dovevano
essere sani e agili di cervello. I viaggi a quei tempi erano un grande
sistema di selezione e arricchimento della specie.
Ma tornando alle Colonne d’Ercole e a Atlantide (3000 A.C.), cosa
succede se dopo averle spostate seguiamo la rotta che ci indica ancora
Platone per raggiungere l’isola scomparsa? Beh, pare proprio, che
l’unica isola contro la quale si va a sbattere (in grado di reggere la
parte di Isola Mito) sia proprio la Sardegna. Che in effetti, a ben
guardare, ha proprio quella forma un po’ rettangolare che descrive
Platone e nella parte meridionale è occupata da una pianura anch’essa
quasi rettangolare. Frau ci illustra con dovizia di particolari tutte le
somiglianze (coincidenze?) tra la Sardegna e l’Isola di Atlante. Ma
resta un quesito. Molti segnalano che Atlantide era straordinariamente
potente sul mare e che arrivò addirittura a scontrarsi con la flotta dei
greci uscendone sconfitta... Ma da nessuna parte ci risulta che i Sardi
fossero tanto potenti da diventare antagonisti dei greci sulle rotte del
Mediterraneo. Ma Frau, romano meticcio, sventola la bandiera della sua
parte sarda e le sue conoscenze sugli Egizi, per raccontarci tutta una
serie di fatti e indizi sulla situazione del Mediterraneo prima del 1000
a.C. E, in effetti, viene fuori che la Sardegna, proprio in quel periodo
era dotata di un’eccezionale linea difensiva costituita da centinaia di
fortificazioni nuragiche. E manufatti sardi sono incredibilmente simili a
molti trovati in tutto il Mediterraneo. E si incrociano parentele tra i
Sardi e gli Etruschi, altro popolo dalle origini misteriose e dalle forti
tendenze matriarcali. E, poi, viene fuori anche un nome, Shardana, che in
effetti ricorda molto la parola Sardegna. E via, di questo passo, si
disegna infine una pagina della storia antica che è ancora visibile solo
in trasparenza. La storia di una grande consociazione di popoli
matriarcali, che già, in parte hanno perso la loro caratteristica
pacifica, assediati come sono dalle incursioni degli allevatori guerrieri.
Un’ultima colossale battaglia, forse la prima grande battaglia navale
della storia, oppone l’alleanza dei Popoli del Mare, capitanata dai
Sardi, alla flotta riunita intorno alle bandiere degli Egizi di Ramses III
e dei Greci (e qui Platone si riferisce alle popolazioni pre Doriche). Gli
allevatori guerrieri vincono, ma enormi cataclismi si abbattono sia sul
Mediterraneo d’Occidente che su quello d’Oriente della Grecia. Ormai
la cultura matriarcale è stata massacrata da millenni di sconfitte,
meticciati culturali e superiorità militare di culture incentrate sulla
violenza. L’impero Shardana, colpito a morte da un maremoto, uno
“Schiaffo di Poseidone” scrivono gli Antichi, ha perso per sempre la
sua spinta e il fulcro della storia si sposta altrove.
E chiaramente poi a nessuno interessa tanto di andare a scavare nella
storia dei Sardi. Considerata un’isola arretrata, abitata da popoli
primitivi (e difficili), buona solo per depredarla delle sue querce e del
suo argento. Certo i professori del continente non hanno mai avuto un
interesse particolare a dar lustro ai Sardi: meglio era rintracciar
antenati illustri ai briganti che fondarono Roma. (Come dice Berlusconi
Romolo e il suo fratello Remolo, spesso erroneamente accumunati a Gongolo
e Brontolo.)
E a ben guardare la Sardegna nasconde da secoli una cultura nella quale
inaspettatamente ci sono ancora oggi forti tracce matriacali, tracce
talmente importanti che difficilmente si scorgono altrove in tutto il
nostro mare. Ad esempio De Santis, negli anni 50 riprese una scena in
Barbagia che ci porta indietro di millenni e che pare proprio impossibile.
Nel film girato dal grande ricercatore si vede un uomo anziano che viene
curato da una decina di donne vestite di nero e con il fazzoletto nero in
testa, quasi uno chador. Il vecchio è steso per terra in un campo: è un
pazzo. Le donne iniziano a ballargli intorno e a saltarlo. Poi a turno si
scoprono il seno e avvicinandosi al suo viso gli spruzzano addosso il loro
latte mentre il vecchio urla e ride e cerca di toccarle.
Sicuramente un’immagine forte e appare incredibile che nel cuore della
Barbagia degli anni ’50 delle donne avessero una tale considerazione del
loro rituale da accettare di mostrarlo davanti alle cineprese. In un tempo
nel quale, lo ricordiamo, mostrare un seno nudo era comunemente
considerato un atto osceno e un reato penale.
Come hanno potuto resistere simili ritualità per millenni in una società
apparentemente dominata dai maschi? Forse ciò è accaduto proprio perché
da quelle parti - in quella Barbagia mai conquistata davvero, del tutto -
le radici matriarcali erano particolarmente forti e profonde.
È realmente possibile ricostruire pezzi dell’Atlantide perduta
scavando nella storia e nella cultura Sarda? Sicuramente si tratta di una
sfida avvincente.
(Fonte: concessione de “Il c@c@o della domenica” - http://www.alcatraz.it) |