Arte,
sogno, realtà: pensieri e riflessioni a margine del Premio David di
Donatello 2003
(Alberto Restivo) - Lo stimolo per affrontare questo nuovo
(almeno per noi) tema, è scaturito dalla visione di uno dei tanti films,
attualmente in vendita numerosi nelle edicole dei giornali, per
commemorare ed onorare in tal modo la memoria di un grande attore romano
recentemente scomparso: si dice così “scomparso”, ma in realtà
Alberto Sordi sembra essere rimasto comunque nella vita di tutti noi,
ancora oggi ed anche sicuramente lo sarà per il futuro, grazie
soprattutto alla sua grande carica di umanità che traspare da tutti i
suoi films che hanno costituito cronaca e storia di oltre mezzo secolo:
“la storia un italiano” è la storia di tutti noi. In particolare, in
quello intitolato “Tutti a casa”, ritroviamo la situazione tragica e
comica insieme del Tenente di artiglieria che, nei giorni dell’8
settembre ’43, nel chiedere istruzione e ordini al suo Colonnello sul da
farsi, si esprime con una battuta che è rimasta la fotografia di una
tragica realtà vissuta in quel periodo dagli italiani.
“Signor Colonnello, sta succedendo una cosa incredibile, ...i tedeschi
si sono alleati con gli americani e ci stanno sparando addosso…!! Che
dobbiamo fare?”.
Quindi, fotografia di una realtà, …ma soltanto ciò?
Così ai giorni nostri, si è ripreso a parlare con maggiore intensità
dell’argomento “cinema”, con una duplicità, anzi con una pluralità
di argomentazioni e prese di posizione che non hanno potuto che fare del
bene a questa espressione dell’Arte. Da un lato, abbiamo visto coloro
che hanno sostenuto, in un recente passato, un inevitabile declino del
cinema verso forme artistiche ed espressive minori, a causa della
invadenza operata dalla televisione che tuttora rappresenta uno sfondo
della nostra attività quotidiana, mentre ci dà, senza nessuna fatica da
parte nostra, le informazioni necessarie ad ampliare le nostre conoscenze.
Dall’altro lato invece, si sono opposti i sostenitori della
rivalutazione del cinema come fenomeno artistico e culturale dotato di
caratteristiche e peculiarità irrinunciabili, sostenendo che la
cosiddetta crisi del cinema fosse solo passeggera e di breve durata e che,
nel tempo, il cinema ne sarebbe uscito corroborato e vincente. Le due
posizioni hanno reso molto vivace il dibattito sul cinema moderno e
comunque si sono mostrate d’accordo nel vedere allora il cinema in
grande crisi: in effetti si assistette ad una diminuzione delle sale di
proiezione, ad una riduzione delle vendite dei biglietti e quindi ad una
sempre minore presenza di spettatori: anche i giovani registi trovarono
sempre più difficoltà a produrre le loro opere e ad inserirsi
nell’ambiente, ristretto ed elitario, anche in considerazione delle
limitate coperture finanziarie assicurate dallo Stato.
Il nostro cinema si è trovato a vivere una soggezione straniera, specie
americana, ed ha trovato grosse difficoltà a realizzare una produzione in
autonomia dalle importanti case cinematografiche estere che
monopolizzavano il mercato, così da far avvertire con particolare
insistenza il problema della propria crisi.
Tale fenomeno appare più evidente se si pensa alla grande tradizione
cinematografica italiana che segnò il massimo punto di artisticità con
il neorealismo del dopo guerra, che ha dato il via a quei films di impegno
che tuttora caratterizzano buona parte della nostra attuale produzione.
Nonostante ciò, siamo del parere che la società ha sempre avuto bisogno
del cinema, perché esso parla in maniera del tutto unica della realtà
che ci circonda, dei desideri, dei problemi, delle paure, degli amori di
tutti i giorni.
E’risaputo che il cinema vive di caratteristiche proprie ed originali:
prima di tutto di quella prepotenza del segno visivo che emerge da ogni
proiezione di un certo valore che permette allo spettatore – protetto
dall’ambiente esterno – di entrare nel film: scoprirne la leggerezza o
la pesantezza, sentirne gli odori, i profumi, vivere le scene che si fanno
vere nella loro immediatezza.
Non possiamo disconoscere che la realtà del cinema è il tempo presente
vissuto nella storia del film, irripetibile, ma capace di incatenare la
nostra attenzione, attimo per attimo, offrendoci contemporaneamente una
realtà completa, densa di significati.
A questo punto sarebbe d’obbligo proporre e discutere un paragone già
appena accennato: cinema – televisione.
Lo spettacolo televisivo vive nell’ambiente familiare, con individui che
si conoscono fra loro, in ridotte dimensioni, con suoni e movimenti che
turbano la diretta attenzione.
Il rapporto cinema – televisione è vissuto da molti registi, in maniera
preoccupante, senza possibilità di mediazione fra i due generi anche se
molti registi hanno tentato una integrazione fra i due generi ed una
superiore sintesi artistica, proponendo nuovi esperimenti tecnici e
divulgativi che vanno inseriti in un nuovo fecondo approccio con i
problemi della comunicazione di massa (Ingmar Bergman ne è l’esempio più
rappresentativo). Indubbiamente, il cinema sa cogliere meglio di ogni
altra forma artistica la realtà moderna. Non intendiamo stabilire un
confronto fra generi comunicativi diversi e segnati da percorsi storici e
vicende stilistiche tanto diversi. Ma si deve cogliere ciò che rende il
cinema più vicino alla realtà, rispetto a tante forme artistiche
espressive.
Proviamo ad usare una macchina da presa, essa ci fa cogliere anche nei
minimi particolari la vita reale, la scruta, la filtra, la rielabora: cioè
costruisce e ricostruisce una sua realtà.
Il montaggio di un film riesce a dare un ordine ed una scansione nel
mosaico delle immagini ed in questa operazione è possibile, ed è qui il
miracolo dell’opera, scoprire la dinamicità della vita reale e nello
stesso tempo artisticità del mezzo espressivo che parte appunto dal reale
(nel laboratorio) per girarlo e “rigirarlo” in un prodotto finale che
spesso è l’antitesi del reale, ma che ancora porta con sé i suoi
segni, i suoi ricordi.
Per questo è stato detto che “il cinema è lo specchio del reale,
quando non lo è di se stesso”. È l’uso delle immagini, dei colori,
dei suoni che rappresenta la “complessità del messaggio
cinematografico”, ma nello stesso tempo ricchezza espressiva e plasticità
del prodotto nelle sue tre dimensioni. In altri termini, queste possibilità
espressive permettono, come abbiamo già detto, di cogliere il reale nella
sua complessità, attraverso una integrazione, non sempre facile (o
felice) di più mezzi e forme artistici, che “aumentano le capacità
comunicative e la pregnanza dei messaggi”.
Di fronte a questa profondità, colui che riceve il messaggio
cinematografico deve compiere uno sforzo per penetrare fino in fondo la
costruzione delle forme, i giochi scenografici, la perfezione del
montaggio e, infine, la bravura degli artisti.
E più l’opera cinematografica è complessa, più essa stimola
l’attenzione dello spettatore trascinandolo in un sempre maggior sforzo
interpretativo.
Arriviamo così ad una conclusione per cui sarà sempre più difficile
difendersi dal cinema, dalla sua persuasione e confusione – intesa come
sovrapposizione – che esso permette tra il reale e l’immaginario,
raggiungendo la forza di un linguaggio letterario, con cui i Visconti
dell’epoca hanno potuto restituirci il realismo verghiano o farci
rivivere le vicende della stirpe del Gattopardo, o Ingmar Bergman
ridipingere un quadro di Thomas Mann.
E come dimenticare i problemi esistenziali nei quali, con tanta efficacia
espressiva, si cala il cinema? Qui esso riscopre il nuovo su cui
rigenerarsi e ricostruirsi attraverso la presentazione di nuovi problemi,
le vecchie frustrazioni, le preoccupazioni anche di natura sessuale
continuamente negate ma volute dal cinema.
Lo abbiamo detto e lo ripetiamo: il cinema parla il linguaggio della realtà,
ma non si limita a copiare e a riproporre. “Testardamente invece
interviene a disegnare il Tempo…, lo spazio come dimensione della realtà”.
Abbiamo ritrovato tutto ciò, con grande soddisfazione, per aver
finalmente “capito” dalla proiezione di una serie di films
recentemente visionati come “Il Pianista” di Roman Polanski, “Il
cuore altrove” di Pupi Avati, “L’Imbalsamatore” con Ernesto
Mahieux, “ Ricordati di me” di Muccino e infine “La Finestra di
fronte”, capolavoro nella regia, nel miglior attore protagonista con un
superlativo Massimo Girotti – gigante finalmente del cinema italiano
insieme all’Alberto Sordi che ha interpretato la vita di tutti noi sì
da esserne il simbolo, una appassionata e delicata insieme Giovanna
Mezzogiorno, personaggi tutti che si muovono nella mirabile musica di
Andrea Guerra, con l’adattamento di “Gocce di memoria” di Giorgia.
Con il David di Donatello, assegnato per vari meriti a quasi tutti i films
menzionati il 10/04/2003, hanno trovato riscontro le nostre osservazioni e
le riflessioni fatte più sopra. Fra tutte ha trovato la sua particolare
collocazione l’affermazione del Presidente della Repubblica, Ciampi che,
in occasione del saluto ai candidati al David, ha stigmatizzato uno dei
films citati (Il Pianista) con le seguenti parole, mentre si congratulava
con il regista: “Ho visto il suo film e l’ho trovato una testimonianza
straordinaria che ha lasciato dentro di me una traccia profonda.
Mai smettere di alimentare la memoria, per evitare gli errori del
passato”, e , rivolgendosi agli altri candidati ha rivolto un invito:
“La presenza di Polansky mi spinge a dire a tutti, venite a produrre in
Italia che ha capacità professionali uniche al mondo”.
Le nuove realizzazioni hanno dimostrato che alla cinematografia italiana
si sono aperti nuovi orizzonti e, con Ciampi, diciamo: “il cinema
italiano sta ritrovando ispirazione e organizzazione con la nascita di
nuove produzioni e società di distribuzione… si è rafforzato anche
come linguaggio culturale che parla alle nuove generazioni…”.
Nell’ultima stagione, il cinema ha evidenziato uno dei suoi temi
centrali: la famiglia ed in proposito, sempre il Capo dello Stato ha
rilevato che “C’è attualmente un grande desiderio di interrogarsi sui
modelli di vita e sul dialogo tra le generazioni. La famiglia sta
affrontando trasformazioni profonde, ma resta il pilastro della società,
anche davanti alla globalizzazione dei consumi”. Perciò, contestiamo
l’opinione di chi sostiene che il cinema è una “fabbrica dei
sogni”, una macchina che produce artificialmente sogni.
Né siamo d’accordo con coloro che sminuiscono il cinema a puro
strumento di evasione, in grado di rappresentare e far prendere corpo ai
desideri degli spettatori, anche i più irrealizzabili.
Non potevamo tralasciare, dopo aver affrontato il tema del cinema nella
sua generalità, di gettare per un momento lo sguardo nelle cose di casa
nostra e riteniamo che l’evento del Premio David di Donatello abbia
confermato in pieno le nostre argomentazioni sui valori di questa forma
d’arte che è il cinema, e possiamo concludere che la stagione
cinematografica ha mostrato segnali incoraggianti: sono aumentati i bei
films nelle sale e in TV, così come le produzioni.
La società si sta avviando verso una trasformazione che vede nella
autenticità ed originalità i parametri di una nuova vita, facendo dei
buoni sentimenti il supporto essenziale ed universale per intraprendere il
cammino verso un futuro che con questi presupposti non potrà non essere
ricco di buone speranze. |