Il raglio del mulo
(Vincenzo Andraous, Tutor Comunità Casa del Giovane Pavia) - Quattro
morti, a Rozzano, diventati presenze costanti, per chiederci perché quel
ragazzo abbia fatto “piazza pulita” persino di chi era lì per caso.
La domanda è già risposta, così evidente da sembrare sociologia
spicciola parlarne. Di certo non c’è malavita organizzata dietro questo
schiantarsi della ragione, neppure professionisti del crimine. C’è
solamente una periferia invisibile, un territorio vivo, ma dimenticato per
il carico della sua eredità.
Un bullismo che si è trasformato in gangs che combattono altre schiere di
pari. Un bullismo carismatico che vorrebbe colmare dei vuoti lasciati da
pezzi importanti di malavita sconfitta, incarcerata, o depredata della
stessa vita.
C’è una generazione di maledetti per vocazione che a forza irrompe
negli spicchi di periferia lasciati senza padroni né custodi educazionali.
Una colonna di impavidi per età, per inesperienza, per solitudine, che
imperversa nelle mancanze altrui, a cominciare da quelle della strada,
dove non esiste più regola, né valore, figuriamoci ideale, tant’è che
il disvalore non è più solo la spiegazione acculturata di una negatività,
è soprattutto ciò che campeggia sui sellini degli scooter ben allineati
ai margini della via.
Quattro morti, colpevoli di non essere duri e prepotenti a sufficienza, o
turisti innocenti di una sera.
Rileggo le cronache del misfatto, gli sforzi letterari per rendere meno
ostico il messaggio che traspare, ma in queste morti c’è poco spazio
per qualsivoglia letteratura noir, romanticismo o nostalgia criminale di
altri tempi.
Mi torna in mente la sofferenza che ho provato per il raglio di un mulo
ferito a morte, un raglio che ti penetra sottopelle, ti grida dentro le
ossa, fino a farti impazzire per non ascoltarlo più. La gente discute
della sparatoria, a me tornano in mente le parole scritte nel suo ultimo
libro dal mio amico Erri: “La vergogna del sangue, vergogna che
paralizza più dell’ira”. Non mi viene facile, concludere con una
sentenza, con un’altra condanna del colpevole, troppo facile e scontato
l’epitaffio. Mi viene più fisico e dunque meno caritatevole il disagio
per quella vergogna che dovrebbe assalire; “intero il corpo e la mente,
per tanto sangue offeso e umiliato. Vergogna del dolore e vergogna del
sangue”.
Quando la vergogna entra nelle case disabitate dal cuore, non c’è più
giustificazione che tenga, né risposta che possa bastare. Se c’è
vergogna che bussa alla tua porta, essa non è miracolo di qualche seduta
di psicoanalisi, piuttosto è capolinea di ogni trasgressione. È ultima
stazione concessa alla cecità dell’esser contro sempre e comunque. È
spettro di ghigliottina per ogni colpevole accettazione di un folklore
metropolitano che genera cultura dei totem del branco.
Quando le nocche delle dita sono sbucciate, e nelle orecchie stride il
rumore dei denti spezzati, allora è davvero il momento di mettersi lo
zaino in spalla, cacciandovi dentro le armi di offesa e di difesa della
propria ottusità e delle proprie miserie, in codici d’onore presi a
calci dalla storia, e ogni volta riesumati in occasioni tutte a perdere.
Adesso c’è chi piange, chi minaccia, chi accusa, chi difende, e c’è
pure chi nuovamente e più colpevolmente volge le spalle al reale intorno.
Quando accade la mattanza, si tenta inutilmente di esorcizzare il male con
qualche parentesi a effetto, senza però denunciare le morti per difetto.
Nella tragedia di Rozzano c’è ancorata, e dilacerata, la torsione delle
emozioni, sotto il peso dei pensieri circoncisi e imprigionati dalle
assenze all’intorno, c’è il dolore della perdita, ma c’è anche
l’esaltazione della zona franca, dove tutto è stato sempre condiviso,
dove c’è soprattutto da difendere la rampa di lancio per continuare a
fare proselitismo tra i più giovani, quelli più esposti
all’innamoramento del “sono tosto”.
Dentro a tutto questo c’è lo spinello, quello deposto come un fiore, e
l’altro da fumare, comunque droga sbagliata.
Lo spinello che diventa simbolo di un associazionismo diverso, ma assai
ben conosciuto, dove il fumo che scende ai polmoni si tramuta in
propellente che lega a filo doppio quei clan di bambini adulti.
Giunti a conclusione delle interviste emotivamente sconclusionate, forse
stasera ci sarà qualcuno che farà un passo indietro per la vergogna. |