velletri
Una
visita al Museo diocesano
(Luca Ceccarelli) - Per i mesi di luglio e agosto del 2003
la direzione del Museo diocesano di Velletri ha deciso di portare il
prezzo del
biglietto
di ingresso a soli due euro. È stata un’occasione preziosa per visitare
una collezione di arte sacra di grande pregio. Soggetto a diversi
trafugamenti di opere, solo
in parte recuperate, il museo è rimasto a lungo chiuso, ed è stato
aperto di nuovo al pubblico nel gennaio del 2000 su iniziativa del vescovo
Monsignor Andrea Maria Erba, nei locali dell’ex seminario vescovile,
dietro la cattedrale di San Clemente. Oltre alla raccolta d’arte,
l’attuale sede del museo possiede anche una sala polivalente utilizzata
spesso per esposizioni temporanee (ricordiamo quella dello scorso inverno
dedicata a Velletri nelle sue stampe, dalla fine del Cinquecento agli
inizi del Novecento).
Nella sala II, dedicata in particolare all’arredo sacro, troviamo una
raffinata miniatura su pergamena della Scuola di Montecassino, frammento
da un «Exultet». Gli Exultet sono dei rotoli di pergamena
che in epoca medievale contenevano i testi dei canti che venivano eseguiti
durante il Sabato Santo. In questo frammento è raffigurato il tema
dell’Anastasi: Gesù Cristo, dopo la sua morte in croce, scende
nel Limbo per prendere e portare
con sé gli spiriti giusti dell’antichità in Cielo.
Nella sala III, abbiamo diversi capolavori tra l’alto e il basso Medio
Evo. Innanzitutto, da segnalare è il Salvator Mundi, una tempera
dipinta su tavola tra la fine dell’XI secolo e il XII secolo, in
perfetto stato di conservazione dopo il restauro del 1912. Questa immagine
costituisce una riproduzione dell’immagine di Cristo in trono nell’acheròpita
del Sancta Sanctorum in Roma. Acheròpita è un’immagine sacra
che viene ritenuta di origine miracolosa. Di origine non miracolosa ma
leggendaria è una Madonna col Bambino eseguita ad olio su tavola
da un’Ignoto a cavallo tra il XIII
e il XIV secolo. Questa tavola, in parte danneggiata e di
impostazione decisamente bizantina, in passato fu attribuita da una
leggenda popolare all’apostolo Luca.
Nella
medesima sala troviamo un’altra Madonna con Bambino, una tempera
su tavola del grande pittore quattrocentesco Gentile da Fabriano,
purtroppo in gran parte danneggiata. Colpisce l’affinità di
impostazione del maestro del “gotico internazionale” con la tavola dal
medesimo soggetto di ispirazione prettamente bizantina. Sebbene in Gentile
vi sia una più accentuata luminosità, una più ampia preponderanza
dell’oro nello sfondo, e una plasticità più vicina ai canoni moderni,
in entrambe le opere si avverte l’anelito a mettere in risalto la
gaiezza e la vivacità del Bambino regale e la gioia soffusa di tenerezza
della Madonna (quella che nell’iconografia mariana bizantina è chiamata
“Madonna glycofiloùsa”, che significa appunto, “Madonna
della tenerezza”.
Non è dato ritrovare queste caratteristiche nelle due Madonne con Bambino
di Antoniazzo Romano (della cui scuola è anche l’affresco con la Crocifissione
prelevato da Santa Maria dell’Orto, all’entrata del museo) nella sala
IV, eseguite tra gli anni Settanta e Ottanta del Quattrocento. Il
Fanciullo divino di Antoniazzo, la cui attività pittorica consisteva in
parte cospicua nella copia di icone bizantine, assume un aspetto ieratico
di Cristo benedicente, con la mano che traccia il segno della Croce. Tale
impostazione va a detrimento della dolcezza delle immagini precedenti. Va
riconosciuta tuttavia ad Antoniazzo una buona capacità di riprodurre il
panneggio che, unita ad un uso dei colori ancora nella linea della pittura
di icone bizantine, sfocia in una produzione interessante e originale. Da
segnalare, ancora, un olio su tavola riproducente la Madonna col
Bambino, San Giovanni Battista e Santa Lucia della Scuola di Francesco
Raibolini detto il Francia, del terzo decennio del XVI secolo, che secondo
alcune testimonianze alla fine del Cinquecento si trovava nella chiesa
veliterna di Santa Lucia. Interessante è in esso, più che altro, la
raffigurazione della santa, molto più delicata delle altre figure del
dipinto (probabilmente di un’altra mano) con gli occhi racchiusi in una
coppa.
Nella sala V sono esposte opere dal XVII al XIX secolo. In esse si può
constatare, insieme all’evoluzione nella resa plastica e coloristica, la
scomparsa quasi totale della ricchezza di simbolismo e della compostezza
che anima i dipinti delle sale precedenti. Rilevanti sono comunque, almeno
La caduta di San Paolo, del 1697, olio su tavola attribuito a
Giovan Battista Lenardi, in cui si avverte un’indiscutibile eco
caravaggesca; una copia da Guido Reni di un ignoto della prima metà del
XVIII secolo, che raffigura Giuditta con la testa di Oloferne; una Madonna
del Rosario con i Santi Domenico, Caterina, Giovanni Battista, olio su
tela del 1747 del pittore di Gaeta Sebastiano Conca; e infine, un ritratto
del Cardinal Marzio Ginnetti, olio su tela di un ignoto del XIX
secolo. Il cardinale Ginnetti era un prelato e uomo politico del Seicento,
consigliere del Papa Urbano VIII, che partecipò alle trattative di pace
che posero fine alla Guerra dei Trent’anni nel 1648, e possedeva un
sontuoso palazzo a Velletri, distrutto a seguito dei bombardamenti della
Seconda guerra mondiale. Il ritratto è una copia da una tela conservata
proprio in quel palazzo.
monte
porzio catone
Albertazzi
“riapre” il Teatro della Città di Tusculum
(Armando Guidoni) - Una magica serata, con un clima
“frizzantino” (come ha detto testualmente Giorgio Albertazzi), ha
contribuito a rendere
ancora più piacevole uno degli eventi culturali più significativi di
questa stagione estiva dei Castelli Romani. La XI Comunità Montana del
Lazio Castelli Romani e Prenestini ha voluto “riaprire”, a 2100 anni
dalla sua fondazione, il Teatro della Città di Tusculum che rivive,
dunque, gli antichi fasti imperiali, recuperando la sua primaria funzione
di cavea per le rappresentazioni teatrali.
Venerdì 5 settembre, nella splendida cornice del sito archeologico di
Tuscolo, Giorgio Albertazzi è stato protagonista delle Memorie di
Adriano, regia di Maurizio Scaparro, tratto dall’omonimo romanzo di
Margherite Yourcenar. La scrittrice ha cercato di rievocare, in questo
lavoro, il pensiero di Publio Elio Adriano, un imperatore romano singolare
perché amante della pace, delle scienze e delle arti. Egli stesso era
poeta, artista e soprattutto architetto. Suoi questi celebri versi che
hanno fatto vibrare di emozione tutti i presenti quando sono stati
declamati dal grande Albertazzi:
Animula vagula, blandula,
hospes comesque corporis
quae nunc abibis in loca
pallidula, rigida, nudula,
nec, ut soles, dabis iocos. |
Piccola anima smarrita e soave,
ospite
e compagna del corpo,
che
ora ti appresti a scendere in luoghi
incolori,
freddi, spogli,
mai
più ti abbandonerai ai giochi preferiti. |
Vi è mai capitato di dire, di fronte ad un’esperienza emozionale:
peccato che non potrò mai più “provarla” per la prima volta? Ebbene,
questo mi è capitato iersera! La poesia e la
dolcezza dello spirito di
Adriano, raccontata da una scrittrice estremamente sensibile, in un sito
pieno di storia, con un pubblico attento e in religioso silenzio hanno
fornito l’humus più adatto per coltivare un momento artistico
eccezionale nell’assoluto “silenzio dell’animo”, lontano dalla
folla rumorosa, lontano dai rumori del nostro tempo. Ci siamo immersi in
un “mondo gentile”. Un mondo che forse esiste ancora. Un mondo che,
anche se capace di esprimere asprezze eccessive, mantiene sempre la
capacità di esprimere anche una dolcissima gentilezza e un infinito
amore. Il vecchio Adriano è rappresentato come una figura affascinante
che riflette sulla sua vita, senza fretta, senza affanni, con serenità: “E
chi dice
morte esprime anche quel mondo misterioso al quale forse, per suo mezzo si
accede”. Egli si conduce a costruire, su questo tema, le sue
conclusioni, sempre legate in un rapporto umano indissolubile con i suoi
amori, i suoi amici, i suoi nemici. Adriano “si sentiva responsabile
delle bellezze del mondo” e non poteva, quindi, utilizzare il suo
potere per una crescita personale, ma a beneficio di una collettività
(come sarebbe bello se ancor oggi ci fosse qualcuno capace di applicare
questi pensieri!).
Circa 600 spettatori hanno partecipato emozionati alla prestazione
artistica del grandissimo Giorgio Albertazzi facendo attenzione a non
disturbare, neanche con il respiro, il monologo.
L’evento, promosso dalla XI Comunità Montana del Lazio Castelli Romani
e Prenestini, in collaborazione con il Teatro di Roma, diretto da Giorgio
Albertazzi, è stato introdotto da Giuseppe De Righi, Presidente XI
Comunità Montana del Lazio Castelli Romani e Prenestini, alla presenza di
Franco Belleggia, Assessore alle Politiche archeologiche XI Comunità
Montana che ha voluto fortemente raggiungere questo obiettivo, di Maurizio
Scaparro, Direttore del Théâtre des Italiens, di Oberdan Forlenza,
Presidente del Teatro di Roma, di Anna Maria Reggiani,
Soprintendente per i Beni Archeologici del Lazio, di numerosi
Sindaci della comunità e di rappresentanti del Parlamento.
Alla fine del monologo un forte e prolungato applauso ha rappresentato il
giusto riconoscimento a tutti coloro che hanno contribuito alla
realizzazione di questa “magica” serata.
Albertazzi ha ringraziato il pubblico esprimendo la sua gioia per aver
“riaperto” il teatro romano del Tuscolo. “Aprire un teatro è
come aprire uno spazio di civiltà, è come aprire una nuova via di
cultura e di comunicazione fra
gli uomini” ha detto, tra l’altro, l’attore, concludendo con
questa frase: “...dove c’è uno spettatore, basta un tappeto ed un
attore ...e nasce un teatro”.
L’anno venturo, con le Tuscolanae disputationes di Cicerone, La
Compagnia Stabile del Teatro di Roma diretta da Giorgio Albertazzi
“rianimerà” il teatro romano di Tuscolo in questo sito che sarà,
dunque, la terza struttura archeologica fuori Roma che ospiterà
spettacoli, dopo i teatri di Ostia Antica e di Villa Adriana a Tivoli.
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