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Sommario anno XII numero 9 - settembre 2003

 I NOSTRI PAESI - pagina 7
velletri
Una visita al Museo diocesano
(Luca Ceccarelli) - Per i mesi di luglio e agosto del 2003 la direzione del Museo diocesano di Velletri ha deciso di portare il prezzo del Salvator Mundibiglietto di ingresso a soli due euro. È stata un’occasione preziosa per visitare una collezione di arte sacra di grande pregio. Soggetto a diversi trafugamenti di opere,  solo in parte recuperate, il museo è rimasto a lungo chiuso, ed è stato aperto di nuovo al pubblico nel gennaio del 2000 su iniziativa del vescovo Monsignor Andrea Maria Erba, nei locali dell’ex seminario vescovile, dietro la cattedrale di San Clemente. Oltre alla raccolta d’arte, l’attuale sede del museo possiede anche una sala polivalente utilizzata spesso per esposizioni temporanee (ricordiamo quella dello scorso inverno dedicata a Velletri nelle sue stampe, dalla fine del Cinquecento agli inizi del Novecento).
Nella sala II, dedicata in particolare all’arredo sacro, troviamo una raffinata miniatura su pergamena della Scuola di Montecassino, frammento da un «Exultet». Gli Exultet sono dei rotoli di pergamena che in epoca medievale contenevano i testi dei canti che venivano eseguiti durante il Sabato Santo. In questo frammento è raffigurato il tema dell’Anastasi: Gesù Cristo, dopo la sua morte in croce, scende nel Limbo per prendere e portarGentile da Fabriano Madomma col Bambinoe con sé gli spiriti giusti dell’antichità in Cielo.
Nella sala III, abbiamo diversi capolavori tra l’alto e il basso Medio Evo. Innanzitutto, da segnalare è il Salvator Mundi, una tempera dipinta su tavola tra la fine dell’XI secolo e il XII secolo, in perfetto stato di conservazione dopo il restauro del 1912. Questa immagine costituisce una riproduzione dell’immagine di Cristo in trono nell’acheròpita del Sancta Sanctorum in Roma. Acheròpita è un’immagine sacra che viene ritenuta di origine miracolosa. Di origine non miracolosa ma leggendaria è una Madonna col Bambino eseguita ad olio su tavola da un’Ignoto a cavallo tra il XIII  e il XIV secolo. Questa tavola, in parte danneggiata e di impostazione decisamente bizantina, in passato fu attribuita da una leggenda popolare all’apostolo Luca. Giuditta e OloferneNella medesima sala troviamo un’altra Madonna con Bambino, una tempera su tavola del grande pittore quattrocentesco Gentile da Fabriano, purtroppo in gran parte danneggiata. Colpisce l’affinità di impostazione del maestro del “gotico internazionale” con la tavola dal medesimo soggetto di ispirazione prettamente bizantina. Sebbene in Gentile vi sia una più accentuata luminosità, una più ampia preponderanza dell’oro nello sfondo, e una plasticità più vicina ai canoni moderni, in entrambe le opere si avverte l’anelito a mettere in risalto la gaiezza e la vivacità del Bambino regale e la gioia soffusa di tenerezza della Madonna (quella che nell’iconografia mariana bizantina è chiamata “Madonna glycofiloùsa”, che significa appunto, “Madonna della tenerezza”.
Non è dato ritrovare queste caratteristiche nelle due Madonne con Bambino di Antoniazzo Romano (della cui scuola è anche l’affresco con la Crocifissione prelevato da Santa Maria dell’Orto, all’entrata del museo) nella sala IV, eseguite tra gli anni Settanta e Ottanta del Quattrocento. Il Fanciullo divino di Antoniazzo, la cui attività pittorica consisteva in parte cospicua nella copia di icone bizantine, assume un aspetto ieratico di Cristo benedicente, con la mano che traccia il segno della Croce. Tale impostazione va a detrimento della dolcezza delle immagini precedenti. Va riconosciuta tuttavia ad Antoniazzo una buona capacità di riprodurre il panneggio che, unita ad un uso dei colori ancora nella linea della pittura di icone bizantine, sfocia in una produzione interessante e originale. Da segnalare, ancora, un olio su tavola riproducente la Madonna col Bambino, San Giovanni Battista e Santa Lucia della Scuola di Francesco Raibolini detto il Francia, del terzo decennio del XVI secolo, che secondo alcune testimonianze alla fine del Cinquecento si trovava nella chiesa veliterna di Santa Lucia. Interessante è in esso, più che altro, la raffigurazione della santa, molto più delicata delle altre figure del dipinto (probabilmente di un’altra mano) con gli occhi racchiusi in una coppa.
Nella sala V sono esposte opere dal XVII al XIX secolo. In esse si può constatare, insieme all’evoluzione nella resa plastica e coloristica, la scomparsa quasi totale della ricchezza di simbolismo e della compostezza che anima i dipinti delle sale precedenti. Rilevanti sono comunque, almeno La caduta di San Paolo, del 1697, olio su tavola attribuito a Giovan Battista Lenardi, in cui si avverte un’indiscutibile eco caravaggesca; una copia da Guido Reni di un ignoto della prima metà del XVIII secolo, che raffigura Giuditta con la testa di Oloferne; una Madonna del Rosario con i Santi Domenico, Caterina, Giovanni Battista, olio su tela del 1747 del pittore di Gaeta Sebastiano Conca; e infine, un ritratto del Cardinal Marzio Ginnetti, olio su tela di un ignoto del XIX secolo. Il cardinale Ginnetti era un prelato e uomo politico del Seicento, consigliere del Papa Urbano VIII, che partecipò alle trattative di pace che posero fine alla Guerra dei Trent’anni nel 1648, e possedeva un sontuoso palazzo a Velletri, distrutto a seguito dei bombardamenti della Seconda guerra mondiale. Il ritratto è una copia da una tela conservata proprio in quel palazzo.


monte porzio catone

Albertazzi “riapre” il Teatro della Città di Tusculum
(Armando Guidoni) - Una magica serata, con un clima “frizzantino” (come ha detto testualmente Giorgio Albertazzi), ha contribuito a rendere ancora più piacevole uno degli eventi culturali più significativi di questa stagione estiva dei Castelli Romani. La XI Comunità Montana del Lazio Castelli Romani e Prenestini ha voluto “riaprire”, a 2100 anni dalla sua fondazione, il Teatro della Città di Tusculum che rivive, dunque, gli antichi fasti imperiali, recuperando la sua primaria funzione di cavea per le rappresentazioni teatrali.

Venerdì 5 settembre, nella splendida cornice del sito archeologico di Tuscolo, Giorgio Albertazzi è stato protagonista delle Memorie di Adriano, regia di Maurizio Scaparro, tratto dall’omonimo romanzo di Margherite Yourcenar. La scrittrice ha cercato di rievocare, in questo lavoro, il pensiero di Publio Elio Adriano, un imperatore romano singolare perché amante della pace, delle scienze e delle arti. Egli stesso era poeta, artista e soprattutto architetto. Suoi questi celebri versi che hanno fatto vibrare di emozione tutti i presenti quando sono stati declamati dal grande Albertazzi:
Animula vagula, blandula,
hospes comesque corporis
quae nunc abibis in loca
pallidula, rigida, nudula,
nec, ut soles, dabis iocos.
Piccola anima smarrita e soave,
ospite e compagna del corpo,
che ora ti appresti a scendere in luoghi
incolori, freddi, spogli,
mai più ti abbandonerai ai giochi preferiti.

Vi è mai capitato di dire, di fronte ad un’esperienza emozionale: peccato che non potrò mai più “provarla” per la prima volta? Ebbene, questo mi è capitato iersera! La poesia e la La meravigliosa imma gine di un teatro che “rivive” dolcezza dello spirito di Adriano, raccontata da una scrittrice estremamente sensibile, in un sito pieno di storia, con un pubblico attento e in religioso silenzio hanno fornito l’humus più adatto per coltivare un momento artistico eccezionale nell’assoluto “silenzio dell’animo”, lontano dalla folla rumorosa, lontano dai rumori del nostro tempo. Ci siamo immersi in un “mondo gentile”. Un mondo che forse esiste ancora. Un mondo che, anche se capace di esprimere asprezze eccessive, mantiene sempre la capacità di esprimere anche una dolcissima gentilezza e un infinito amore. Il vecchio Adriano è rappresentato come una figura affascinante che riflette sulla sua vita, senza fretta, senza affanni, con serenità: “E chi dice morte esprime anche quel mondo misterioso al quale forse, per suo mezzo si accede”. Egli si conduce a costruire, sGiorgio Albertazzi nella cavea del Teatro del Tuscolou questo tema, le sue conclusioni, sempre legate in un rapporto umano indissolubile con i suoi amori, i suoi amici, i suoi nemici. Adriano “si sentiva responsabile delle bellezze del mondo” e non poteva, quindi, utilizzare il suo potere per una crescita personale, ma a beneficio di una collettività (come sarebbe bello se ancor oggi ci fosse qualcuno capace di applicare questi pensieri!).
Circa 600 spettatori hanno partecipato emozionati alla prestazione artistica del grandissimo Giorgio Albertazzi facendo attenzione a non disturbare, neanche con il respiro, il monologo.
L’evento, promosso dalla XI Comunità Montana del Lazio Castelli Romani e Prenestini, in collaborazione con il Teatro di Roma, diretto da Giorgio Albertazzi, è stato introdotto da Giuseppe De Righi, Presidente XI Comunità Montana del Lazio Castelli Romani e Prenestini, alla presenza di Franco Belleggia, Assessore alle Politiche archeologiche XI Comunità Montana che ha voluto fortemente raggiungere questo obiettivo, di Maurizio Scaparro, Direttore del Théâtre des Italiens, di Oberdan Forlenza, Presidente del Teatro di Roma, di Anna Maria Reggiani,  Soprintendente per i Beni Archeologici del Lazio, di numerosi Sindaci della comunità e di rappresentanti del Parlamento.
Alla fine del monologo un forte e prolungato applauso ha rappresentato il giusto riconoscimento a tutti coloro che hanno contribuito alla realizzazione di questa “magica” serata.
Albertazzi ha ringraziato il pubblico esprimendo la sua gioia per aver “riaperto” il teatro romano del Tuscolo. “Aprire un teatro è come aprire uno spazio di civiltà, è come aprire una nuova via di cultura e di comunicazione  fra gli uomini” ha detto, tra l’altro, l’attore, concludendo con questa frase: “...dove c’è uno spettatore, basta un tappeto ed un attore ...e nasce un teatro”.
L’anno venturo, con le Tuscolanae disputationes di Cicerone, La Compagnia Stabile del Teatro di Roma diretta da Giorgio Albertazzi “rianimerà” il teatro romano di Tuscolo in questo sito che sarà, dunque, la terza struttura archeologica fuori Roma che ospiterà spettacoli, dopo i teatri di Ostia Antica e di Villa Adriana a Tivoli.

 I NOSTRI PAESI - pagina 7

Sommario anno XII numero 9 - settembre 2003