Le
ipotesi non euclidee (6a puntata)
(Luca Nicotra)
11.3. Il
formalismo.
Il formalismo è una diretta conseguenza dell’assiomatismo e spesso i
nomi dei due indirizzi si usano come sinonimi. L’assiomatismo aveva
mostrato che è possibile dare a tutta la matematica l’impostazione di
un sistema logico derivato formalmente da un ristretto insieme di concetti
primitivi ed assiomi, ricorrendo ad un linguaggio puramente formale e
rigorosamente corretto dal punto di vista logico, vale a dire esente dai
circoli viziosi che caratterizzano il linguaggio ordinario, che usa
termini non consequenzialmente definiti in successione, ma che si
rimandano l’uno all’altro reciprocamente. Secondo il formalismo, la
geometria, come ogni altro ramo della matematica, è una costruzione di
puro pensiero.
A
tale convinzione si arrivò in seguito al successo degli importanti esempi
di formalizzazione dell’algebra, iniziati da Boole e proseguiti da
Benjamin Peirce, e dell’opera di assiomatizzazione della matematica di
Peano, Hilbert ed altri ancora. B. Peirce nel 1864, nella memoria Linear
Associative Algebra presentata all’American Association for the
Advancement of Science7 , aveva mostrato che, partendo da
postulati diversi, era possibile costruire 162 algebre differenti. I
sistemi assiomatici realizzati da Peano, Hilbert, Veblen, A.V. Huntington
e la riflessione sull’assetto logico della geometria euclidea e delle
geometrie non-euclidee mostravano che per la costruzione di una qualunque
branca della matematica, in definitiva, è necessario e sufficiente
iniziare da un insieme a di assiomi che soddisfino le seguenti condizioni:
coerenza o compatibilità o non contraddittorietà, indipendenza e
completezza.
Precedentemente abbiamo utilizzato il termine “non contraddittorio”
appellandoci al suo significato intuitivo che ognuno di noi ha. Ora
possiamo dare la seguente definizione: un insieme di postulati è non
contraddittorio se non è contraddittorio; e un insieme di postulati è
contraddittorio se, qualunque sia l’interpretazione dei concetti
primitivi cui i postulati si riferiscono, per deduzione logica si
ottengono proposizioni del tipo “p è vera e p è falsa”,
caratterizzate, cioè, contemporaneamente da entrambi i valori vero e
falso.
Un insieme di postulati è indipendente se ciascuno di essi è
indipendente dai rimanenti, vale a dire se né ciascun postulato stesso né
la sua negazione possono essere dedotti logicamente dai rimanenti. La
presenza, per esempio, di due postulati non indipendenti può portare a
due situazioni: i due postulati p e q sono interdeducibili o equivalenti;
i due postulati p e q sono l’uno deducibile dall’altro, ma non
viceversa. Nel primo caso, essendo p deducibile da q e viceversa q
deducibile da p, p e q sono forme logicamente equivalenti, vale a dire p e
q formalmente sono proposizioni differenti, ma hanno lo stesso contenuto
informativo, e quindi costituiscono un “doppione”, una ridondanza, che
dal punto di vista didattico a volte può essere utile, ma dal punto di
vista logico è inutile e fuorviante, se non si ha piena coscienza della
equivalenza logica di p e q. Quest’ultima circostanza, come vedremo
prossimamente, è stata la causa degli innumerevoli infruttuosi tentativi
di dimostrazione del postulato delle parallele di Euclide. Nel secondo
caso, invece, poiché p è deducibile da q ma non viceversa (si dice anche
che p è più forte di q), in realtà p è un teorema o proposizione
derivata. Concludendo, la presenza sia di postulati equivalenti sia di
postulati uno più forte dell’altro non inficia l’intera costruzione
logica che è sviluppata sull’insieme di postulati, ma ne altera
semplicemente la bellezza e correttezza formale. Infatti, i postulati
equivalenti costituiscono una semplice e inutile (dal punto di vista
logico, non da quello didattico) ridondanza, mentre i postulati deducibili
da altri per semplice discendenza andrebbero in realtà annoverati fra i
teoremi. Dal punto di vista logico tutto rimane corretto, ma meno
“pulito”.
Infine, un insieme di postulati si dice completo se è impossibile
formulare un qualsiasi altro postulato, riferentesi agli stessi concetti
indefiniti, indipendente da quelli già stabiliti. Insomma, la completezza
assicura che effettivamente si siano considerate tutte le proposizioni
primitive necessarie per la derivazione dei teoremi, evitando così
l’errore che commise Euclide nell’esporre teoremi che in realtà
presupponevano postulati da lui non enunciati (i famosi postulati
inespressi di Euclide).
Il sistema di proposizioni derivate dai postulati a
con la deduzione logica costituirà il sistema ipotetico-deduttivo S
(a)
costruito sopra gli assiomi a
Tale sistema si chiamerà “geometria”, e precisamente la geometria
relativa agli assiomi a,
se i nomi dati agli enti primitivi sono “punto, retta, piano”. Non si
cerca alcun riferimento per le idee primitive, che sono considerate puri
simboli legati dagli assiomi. Il formalismo costituisce, dunque, un punto
di vista notevolmente astratto e lontano dalle nostre concezioni correnti
e dallo stesso originario significato della parola geometria, intesa come
scienza della “misura della Terra”. È la matematica pura.
La concezione puramente formale della matematica capovolge quello che era
stato il punto di vista affermato da Kant: “Ogni conoscenza umana parte
da intuizioni, procede attraverso concetti, e culmina in idee”. Infatti,
secondo l’impostazione formale, gli assiomi sono pure ipotesi, senza
nessun necessario riferimento intuitivo, ed hanno unicamente la funzione
di fornire la base su cui verrà costruito il sistema di proposizioni e
definizioni, successivamente dedotte per via logica, che costituisce la
geometria. Pertanto, il concetto di “vero”, secondo i formalisti, non
ha più un significato assoluto, riferito al mondo fenomenologico, ma
soltanto relativo al sistema ipotetico-deduttivo cui si riferisce. In
altre parole, una proposizione è vera soltanto se all’interno del
sistema ipotetico-deduttivo S
(a),
di cui fa parte, non contraddice con le altre dello stesso sistema; ciò
vale non soltanto per le proposizioni derivate, ma anche per gli assiomi.
È questa totale mancanza di riferimento al mondo fisico che spinse
Bertrand Russell ad affermare che “la matematica (pura) può essere
definita come la materia nella quale non sappiamo di che cosa stiamo
parlando, né se ciò che stiamo dicendo è vero.” 8 . Si può
sapere di che cosa si parla, se ciò di cui tratta la matematica è
fondato su idee indefinibili nella loro essenza e suscettibili quindi di
diverse interpretazioni? Inoltre le affermazioni che si fanno in
matematica non sono né vere né false, poiché la questione della loro
verità è ricondotta alle proposizioni primitive, le quali non sono né
vere né false, nel senso tradizionale dato a questi termini, vale a dire
di asserzioni avvalorate dall’esperienza sensoriale, ma sono pure e
semplici ipotesi, proprietà che il matematico chiede al lettore di
accettare, per costruire su di esse una geometria o un qualunque altro
ramo della matematica. Russell esprime molto chiaramente il significato
della matematica pura come è concepita dai formalisti e, con qualche
variante, anche dai logicisti da lui rappresentati: “La matematica pura
è interamente costituita da asserzioni per effetto delle quali, se un
tale enunciato è vero per qualcosa, allora il tale altro enunciato è
vero per quella cosa. È essenziale non discutere se il primo enunciato è
realmente vero, e non indicare quale sia la cosa per la quale si suppone
che sia vero. Entrambi questi punti attengono alla matematica applicata.
Nella matematica pura partiamo da certe regole deduttive, mediante le
quali possiamo dedurre che se un enunciato è vero, allora lo è anche un
altro enunciato.”
I formalisti avvalorano il loro punto di vista formale, contestando agli
intuizionisti l’impossibilità di stabilire la “verità” degli
assiomi così come questi ultimi la intendono, poiché i metodi
sperimentali sono sempre approssimativi ed affetti da errori di misura.
“Se gli assiomi di Euclide siano veri, è una domanda alla quale il
matematico puro è indifferente; e, per di più, è una domanda alla quale
è impossibile, da un punto di vista teorico, dare con certezza una
risposta affermativa. Si potrebbe forse dimostrare, mediante misure molto
accurate, che gli assiomi di Euclide sono falsi; ma nessuna misura
potrebbe mai garantirci (a causa degli errori di osservazione) che sono
esattamente veri. Quindi il geometra lascia decidere all’uomo di
scienza, meglio che può, quali assiomi siano più vicini alla realtà nel
mondo reale. Il geometra prende una serie di assiomi che gli sembrano
interessanti, e ne deduce le conseguenze.”9
Dunque, nella pratica, il
modo di operare del matematico formalista è il seguente: la scelta degli
assiomi, in realtà, non é fatta senza alcuna ragione oculata,
semplicemente nel rispetto della loro indipendenza e compatibilità, così
come teoricamente sarebbe possibile. Geometrie siffatte sarebbero puri e
sterili esercizi di deduzione logica. I matematici, invece, scelgono gli
assiomi in vista di specifici obiettivi da conseguire con le relative
geometrie, quali l’approfondimento di particolari questioni
scientifiche. “Gli enti matematici vengono presentati dai matematici
come strutture puramente formali. In verità (e qui è l’indagine
storico-genetica che ci sorregge!) la matematica non si occupa di sistemi
formali qualunque (arbitrari) pur che coerenti; la matematica si occupa di
quei sistemi formali che traducono, in termini di pura struttura, parecchi
sistemi concreti (concreti, almeno, rispetto alla nuova formalizzazione;
l’astrazione conosce diversi gradi, astratto e concreto sono sempre dei
relativi, mai degli assoluti). Lo scopo fondamentale è quello di lavorare
in modo semplice e sintetico con deduzioni nelle quali entrano in gioco
solo proprietà formali, in modo da potere tradurre un teorema (risultato
della deduzione formale) in molti, a priori in infiniti, risultati
relativi a tutti quei concreti che sono suscettibili della formalizzazione
compiuta.10
7 Pubblicata, però, soltanto nel 1881.
8 Bertrand Russell, La matematica e i metafisici.
9 Bertrand Russell, La matematica e i metafisici.
10 Lucio Lombardo-Radice Il punto di vista matematico in Periodico di
matematiche n° 4-5 ottobre 1974.
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