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Sommario anno XIII numero 1 - gennaio 2004

 FILOSOFIA

Piero Martinetti. L’evoluzione della parola ‘amore’
(Manlio Della Serra) - Nell’ambito dello Spiritualismo italiano, Martinetti rimane una figura di grande rilievo soprattutto in rapporto alla critica rivolta, se pur indirettamente, ai sostenitori delle teorie positiviste: si ricordi a questo proposito quale considerazione il filosofo possieda nei riguardi della filosofia, disciplina decisamente più completa rispetto alla scienza che invece si caratterizza per un proprio costante sviluppo. Privilegiando così l’essere della coscienza oltre la semplice possibilità oggettivante (quella stessa che nel cap. II § 10 spiegherebbe la mancata fortuna dei fisiologi nel determinare il fine erotico), giunge ad affermare nella celeberrima Introduzione alla metafisica (1904):
“La filosofia ha il proprio fondamento nelle scienze; le scienze hanno il proprio fine nella filosofia”.
La scienza può limitarsi a progettare il transito dalla conoscenza sensibile a quella razionale nella speranza di progredire verso l’Unità del Soggetto Assoluto. Sarà proprio tale Unità a ritornare frequentemente ne L’Amore con la coerenza e con la regolarità imposte dalla filosofia, secondo i tempi che ad essa sono propri.
L’amore, per natura e definizione, richiama nell’immediato la partecipazione di due esseri umani che convengono in un punto comune secondo modalità imprevedibili: si costituiscono perciò regole di attrazione difficili da definire che, tuttavia, esibiscono un’assoluta verità congiunta alle proprietà intrinseche degli esseri coinvolti; come entità morali si richiamano vicendevolmente, obbedendo alle leggi superiori della morale (parte prima, cap. IV § 1). Questa specie di postulato è in realtà il punto di partenza istituito a giustificare la pienezza del rapporto attrattivo, proiettato all’interno di una visione più ampia e facilmente riassumibile nei caratteri di un percorso evolutivo. La coppia costituita è, per così dire, un punto d’arrivo rispetto alle forme germinali dell’amore biologico che il filosofo scandaglia accuratamente per delineare la tappa iniziale di un viaggio più articolato. Si potrebbe dunque individuare un tracciato proteso al raggiungimento di un fine ultimo, capace di guardare avanti senza voltarsi ad osservare gli stadi incompleti. In tutta l’opera permane il senso del superamento inquadrato nei termini di un rapporto dialettico tra individui di sesso opposto: parlare dell’amore quasi per giustificare l’arrivo ad una meta superiore che esige il passaggio obbligato nelle passioni erotiche della coppia.
Nella genesi dell’amore biologico sono coinvolti organismi cellulari ancora distanti dalle forme animali ma ugualmente interessanti, soprattutto se analizzati in rapporto alle loro attitudini comportamentali: il mito platonico dell’androgino e la relativa scissione possono avere dei precedenti nella divisione cellulare, sintomatica manifestazione di un desiderio di estensione; se da un lato le parti si evolvono ricercando la distensione spaziale dall’altro coesistono per arricchirsi e completarsi in una forma più organica (non in senso biologico ma meccanico). Questa indistinta molteplicità ha generato in seguito i presupposti per una differenza tra i sessi. Nella misura in cui si avverte una dicotomia tra la divisione e la congiunzione si stabilizzano le basi della ricerca individuale, un meccanismo complesso perché causato da innumerevoli fattori di carattere storico, sociale, culturale, ecc.
Dell’origine della diversità si dovrebbe trattare a lungo ma mi limiterò ad associare questo momento ai caratteri peculiari della speculazione di Martinetti. Uomini e donne non sono uguali: un’affermazione che di fatto si auto-definisce per una retorica mancanza d’originalità. Esistono molteplici manifestazioni dell’uguaglianza già a partire da quella estetica. Certo, della disuguaglianza estetica ci accorgiamo con immediatezza, ma a stento comprendiamo (o addirittura condividiamo) l’uguaglianza morale. Tutto questo per ricordare che qualsiasi definizione del tipo “l’amore prevede l’unione di esseri opposti” non chiarisce affatto la continuità antropologica della naturalezza attrattiva, tantomeno i riferimenti palesi dell’opposizione. Il filosofo analizza la diversità, prima di tutto, nelle attitudini o propensioni: la donna vigile ed attenta è, in molte circostanze, preda dell’emotività cadendo così nell’errore dell’impulsività; mancando di riflessione si abbandona ad atti sconsiderati ed ingiustificabili che, in altre occasioni, avrebbe evitato portando un motivo di vanto. La tendenza frequente nel soggetto maschile è la ricerca di armonia e riflessione: ogni processo intellettuale è generalmente accompagnato dalla creatività personale nella forma dall’immaginazione creativa, per lo più assente nella donna. Progettare, elaborare in vista del futuro, riflettere sulle possibilità del domani, sono facoltà proprie dell’uomo. Interessante il passaggio che Martinetti utilizza per assottigliare le divergenze e restituire compattezza alla figura femminile:
“I pregi e difetti della donna hanno in questa sua specificazione biologica la loro origine: essa fa della donna un essere diverso dall’uomo, ma in complesso non inferiore”
Quali allora le cause di questa presunta e storica inferiorità? È probabile che esistano delle divergenze rientranti nella “diversità” secondo cui è possibile individuare alcune deficienze fisiche rispetto al sesso maschile. La donna assoggettata e privata delle libertà originaria perché incapace di ribellarsi, di far valere le proprie ragioni. Non meno rilevanti gli effetti derivanti da tali differenze quando uomo e donna convivono in società: è in quel momento che si manifestano le propensioni e che non si cerca nulla al di fuori dell’azione. Impulsività e veemenza faranno della donna una creatura inadatta alle procedure astratte del diritto e della giustizia; riflessività e contemplazione renderanno l’uomo capace di vedere di fronte a sé l’inesistente. Alla base della diversità coesiste anche un disprezzo generico verso le altre donne, spesso inquadrate nella logica della competizione; questo spunto non è così vivo nei rapporti maschili. E’ inevitabile, infatti, che il filosofo rifletta prima di tutto sulla donna con tanta sicurezza: non perché desideri osannare la forza brutale del proprio sesso ma per ristabilire una condizione rispettosa di affermazione dell’attrazione erotica nella quale i due sessi si coinvolgono vicendevolmente. Nella visione più ampia di un contatto immutabile tra i due compare anche l’annullamento di ogni barriera, che possa fare di uno dei poli un punto privo di carica.
“L’esame delle particolarità che vengono al sesso femminile dalla sua originaria funzione biologica ci fa concludere alla sua necessaria dipendenza dall’uomo ma per nulla alla sua inferiorità”               [ Parte I, cap. 1 § 8]
Si tratta di una posizione chiara, estranea a ripensamenti ma in grado di sottolineare il punto di vista maschile: è l’uomo che parla della donna; la dipendenza di quest’ultima si riflette nel suo contrario mantenendo lo stesso valore positivo ma senza che possano chiarire quanto evidenziato. Stabilita l’uguaglianza morale rimane la sola donna studiata con gli occhi di un uomo. Da questa possibilità si articolano alcuni interventi contro una forma di femminismo rivoluzionario, che incita le donne ha ricercare l’indipendenza totale dall’uomo, l’autonomia mai trovata, accadimento  deleterio per il disegno finale a cui ogni cosa fa riferimento. D’altra parte invece, questo disprezzo verso l’eccesso manifesta simpatia per una possibilità di allentare i legami, convalidati dall’istituzione erotica del matrimonio; la passione erotica può affievolirsi fino a scomparire soprattutto nei rapporti fondati sull’improvvisazione: la costrizione del matrimonio non prospetta vie alternative di realizzazione. Questo libertinismo finirebbe per scoraggiare le possibilità matrimoniali, cancellando la tempestività dai consueti atteggiamenti umani.
Spesso nella storia dell’uomo si tende a demonizzare l’istinto sessuale, cercando di svilire l’impulso alla riproduzione e le forme estetiche che possano suscitarlo e dilatarlo. Sebbene quest’istinto sia originario e costitutivo, non sempre è accompagnato da un piacere estetico: esistono forme estetiche che non sono in grado di attrarre il senso. Ancora più irrilevante è la bellezza e l’armonia se si pensa alla finalità ultima del rapporto di coppia o se ci si sofferma sul fatto che ogni razza consideri, relativamente ai propri canoni, la bellezza. Ecco perché dinanzi all’obiettivo finale ogni particolarismo appare insignificante. Nelle fasi precedenti all’unione esiste quindi una scelta che spesso è indipendente e ingovernabile. Nella vastità sconfinata di questo argomento ci si potrebbe soffermare sulle possibilità di un disprezzo, di un rapporto violento generato dalla repressione degli istinti e perfino da una repulsione per la sessualità. Nelle strategie di Schopenhauer, ad esempio, il piacere riposto nell’atto sessuale tenderebbe ad oscurare la crudeltà del gesto, mascherando le sofferenze della vita con un godimento fisico. Ma questo non è il caso di Martinetti per il quale l’atto erotico della riproduzione è un effetto inferenziale dell’istinto sessuale, ma non il vero fine: la vita in sé non è il fine bensì l’amore che attraverso la vita si evolve. L’unione genera creature più evolute, sensibili alle ricerche dello Spirito; questo è il completamento progressivo che si accennava in precedenza. Nell’istinto sessuale si conserva l’attenzione per la ricerca di un completamento superiore della moralità. L’atto egoistico del piacere si dissolve fino a scomparire nelle regioni dell’agire morale e degli ideali ad esso connessi.
“Ciò che agisce con tanta potenza nell’amore non è il genio della specie ma l’intuizione istintiva di un’unità che rappresenta una beatitudine infinitamente superiore ad ogni soddisfazione egoistica”            [Parte I, cap.2 § 10 ]
Quanto irrilevante divenga il singolo di fronte al gesto supremo di completamento, si evince anche dai capitoli dedicati alla prostituzione. Nelle forme di “istituzioni erotiche”, prostituzione e matrimonio feriscono qualsiasi animo disposto a compiere una ricerca nelle prospettive precedentemente proposte: se gradualmente si tornasse all’adorazione dell’io soddisfacendo gli istinti e le pulsioni più scellerate, si raggiungerebbe l’annullamento della forza spirituale e della relativa Unità.
Provando un senso di piacere anche nell’osservare l’alterità femminile, si raggiunge presto il limite che impone una scelta; preferire una donna alle altre e coltivare l’amore per garantire la corretta riuscita del viaggio verso il completamento: questo è il luogo dell’amore sentimentale. La bellezza femminile dispersa nel mondo si raccoglie nella sola figura che rimane di fronte e che ricorda i passi della missione. Con questa selezione si procede verso atteggiamenti irripetibili, che finiscono per appartenere ad una sola coppia; dall’organizzazione al pudore, dalla gelosia alla fiducia: questi i lineamenti restrittivi della capacità erotica. Sebbene esista un effettivo restringimento della scelta e della distribuzione dei piaceri, ci si avvia al mantenimento e alla devozione mostrando fiducia alla persona amata. Ancora imponenti gli stimoli sessuali ma non sempre corrisposti e costretti dal ricordo della singolarità. L’aspetto grossolano ha bisogno di emergere senza appassire nella repressione: quando si accenna ad un “idealismo sperduto”, si tenta di cogliere il contatto accecante tra la spinta verso l’elevazione e il ristagno nella passionalità.
Giunti ad una definizione autentica dei valori connessi alla spiritualità è lecito proporre un confronto con il Fedro platonico i cui passi rappresentano da sempre una testimonianza filosofica di grande spessore. Per cogliere la ragione del distanziamento martinettiano dall’idea platonica di “amore” è necessario ricordare la valenza filosofica di quest’ultima nel seguente passo:
“E per sua natura non è né mortale né immortale, ma, in uno stesso giorno, talora fiorisce e vive, quando riesce nei suoi espedienti, talora, invece, muore, ma poi torna in vita, a causa della natura del padre. E ciò che si procura gli sfugge sempre di mano, sicché Eros non è mai né povero di risorse, né ricco”                [ Simposio 203 E ]     
Eros è figlio di Poros (Espediente) e Penia (Povertà) e, proprio derivando dall’unione di un amante di Afrodite e dalla natura mortale della madre: è dunque un demone che ama la bellezza come il padre Poros. Se nel mito platonico è fornita una definizione di Amore come desiderio continuo di bellezza, ricerca costante del piacere della bellezza, nell’idea di Martinetti il limite non è così immediato: si aspira all’Unità ultima che procede da due distinte singolarità secondo un’attrazione che trascende la semplice amicizia. Si parla di singolarità - e non di soggettività- nel senso fenomenologico dell’empatia, cioè del riconoscimento nell’altro della vicinanza e della predisposizione ad essere simile al soggetto.  L’amore platonico è virtuale, supposto come aspirazione mentre l’altro affonda le radici nella certezza della conversione di linee divergenti nel centro morale. La predisposizione spirituale delle anime conferma questa certezza, mentre il desiderio di bellezza limita all’idea di bellezza senza aspirare al sommo bene in primo luogo: è per così dire un insieme compreso all’interno di un insieme più ampio che porta il nome di Bene o Felicità. Già ai tempi di Eraclito di Efeso (VI sec. a.C.), si accennava all’armonia dei contrari come una condizione di convivenza delle realtà mondane, dispiegate al fine di giustificarsi in virtù del proprio contrario: fu questo, in occidente, il parametro del confronto tra bene e male. Nelle culture orientali sembra più inconsistente o di scarso valore, l’attenzione rivolta al “migliore” o al “meglio”. L’ordine di riferimento è cosmico e non condivide affatto queste sottigliezze pur comprendendole. L’unione erotica spirituale non può essere soltanto rappresentata dalla convergenza in un punto mediano di elementi opposti, ma anche dalla proiezione contemporanea in avanti: questo perché il risultato dipenda fino all’ultimo dagli estremi ma, una volta costituito diventi indipendente e capace di voltarsi indietro, ma scoraggiato a farlo.
Lo spiritualismo di Martinetti prevede, in ultima analisi, una ripresa degli schemi distintivi dell’idealismo ottocentesco e delle relative formule di classificazione degli enti del mondo. Ogni singolo ente deve perciò riconoscere la natura e cercare di prendere parte, nei ruoli ben definiti, alla Verità ultima di riferimento. Per assolvere un simile compito deve servirsi di mezzi comuni, con una cooperazione di suoi simili intenzionati a partecipare alla stessa ricerca. Lo sforzo progressivo è al contempo estraneo e familiare alla natura del Soggetto Assoluto.  Si aspira ad una vita soggettiva che ben distribuisca, durante il suo corso, tutti gli sforzi per giungere alla comunione con lo Spirito che, all’inizio dei tempi, si rivolse alla molteplicità proponendo questa difficile missione.

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