Piero
Martinetti. L’evoluzione della parola ‘amore’
(Manlio Della Serra) - Nell’ambito dello Spiritualismo italiano,
Martinetti rimane una figura di grande rilievo soprattutto in rapporto
alla
critica
rivolta, se pur indirettamente, ai sostenitori delle teorie positiviste:
si ricordi a questo proposito quale considerazione il filosofo possieda
nei riguardi della filosofia, disciplina decisamente più completa
rispetto alla scienza che invece si caratterizza per un proprio costante
sviluppo. Privilegiando così l’essere della coscienza oltre la semplice
possibilità oggettivante (quella stessa che nel cap. II § 10
spiegherebbe la mancata fortuna dei fisiologi nel determinare il fine
erotico), giunge ad affermare nella celeberrima Introduzione alla
metafisica (1904):
“La filosofia ha il
proprio fondamento nelle scienze; le scienze hanno il proprio fine nella
filosofia”.
La scienza può limitarsi a
progettare il transito dalla conoscenza sensibile a quella razionale nella
speranza di progredire verso l’Unità del Soggetto Assoluto. Sarà
proprio tale Unità a ritornare frequentemente ne L’Amore con la
coerenza e con la regolarità imposte dalla filosofia, secondo i tempi che
ad essa sono propri.
L’amore, per natura e
definizione, richiama nell’immediato la partecipazione di due esseri
umani che convengono in un punto comune secondo modalità imprevedibili:
si costituiscono perciò regole di attrazione difficili da definire che,
tuttavia, esibiscono un’assoluta verità congiunta alle proprietà
intrinseche degli esseri coinvolti; come entità morali si richiamano
vicendevolmente, obbedendo alle leggi superiori della morale (parte prima,
cap. IV § 1). Questa specie di postulato è in realtà il punto di
partenza istituito a giustificare la pienezza del rapporto attrattivo,
proiettato all’interno di una visione più ampia e facilmente
riassumibile nei caratteri di un percorso evolutivo. La coppia costituita
è, per così dire, un punto d’arrivo rispetto alle forme germinali
dell’amore biologico che il filosofo scandaglia accuratamente per
delineare la tappa iniziale di un viaggio più articolato. Si potrebbe
dunque individuare un tracciato proteso al raggiungimento di un fine
ultimo, capace di guardare avanti senza voltarsi ad osservare gli stadi
incompleti. In tutta l’opera permane il senso del superamento inquadrato
nei termini di un rapporto dialettico tra individui di sesso opposto:
parlare dell’amore quasi per giustificare l’arrivo ad una meta
superiore che esige il passaggio obbligato nelle passioni erotiche della
coppia.
Nella genesi dell’amore
biologico sono coinvolti organismi cellulari ancora distanti dalle forme
animali ma ugualmente interessanti, soprattutto se analizzati in rapporto
alle loro attitudini comportamentali: il mito platonico dell’androgino e
la relativa scissione possono avere dei precedenti nella divisione
cellulare, sintomatica manifestazione di un desiderio di estensione; se da
un lato le parti si evolvono ricercando la distensione spaziale
dall’altro coesistono per arricchirsi e completarsi in una forma più
organica (non in senso biologico ma meccanico). Questa indistinta
molteplicità ha generato in seguito i presupposti per una differenza
tra i sessi. Nella misura in cui si avverte una dicotomia tra la divisione
e la congiunzione si stabilizzano le basi della ricerca individuale, un
meccanismo complesso perché causato da innumerevoli fattori di carattere
storico, sociale, culturale, ecc.
Dell’origine della diversità
si dovrebbe trattare a lungo ma mi limiterò ad associare questo momento
ai caratteri peculiari della speculazione di Martinetti. Uomini e donne
non sono uguali: un’affermazione che di fatto si auto-definisce per una
retorica mancanza d’originalità. Esistono molteplici manifestazioni
dell’uguaglianza già a partire da quella estetica. Certo, della
disuguaglianza estetica ci accorgiamo con immediatezza, ma a stento
comprendiamo (o addirittura condividiamo) l’uguaglianza morale. Tutto
questo per ricordare che qualsiasi definizione del tipo “l’amore
prevede l’unione di esseri opposti” non chiarisce affatto
la continuità antropologica della naturalezza attrattiva, tantomeno i
riferimenti palesi dell’opposizione. Il filosofo analizza la diversità,
prima di tutto, nelle attitudini o propensioni: la donna vigile ed attenta
è, in molte circostanze, preda dell’emotività cadendo così
nell’errore dell’impulsività; mancando di riflessione si abbandona ad
atti sconsiderati ed ingiustificabili che, in altre occasioni, avrebbe
evitato portando un motivo di vanto. La tendenza frequente nel soggetto
maschile è la ricerca di armonia e riflessione: ogni processo
intellettuale è generalmente accompagnato dalla creatività personale
nella forma dall’immaginazione creativa, per lo più assente nella
donna. Progettare, elaborare in vista del futuro, riflettere sulle
possibilità del domani, sono facoltà proprie dell’uomo. Interessante
il passaggio che Martinetti utilizza per assottigliare le divergenze e
restituire compattezza alla figura femminile:
“I pregi e difetti
della donna hanno in questa sua specificazione biologica la loro origine:
essa fa della donna un essere diverso dall’uomo, ma in complesso non
inferiore”
Quali allora le cause di
questa presunta e storica inferiorità? È probabile che esistano delle
divergenze rientranti nella “diversità” secondo cui è possibile
individuare alcune deficienze fisiche rispetto al sesso maschile. La donna
assoggettata e privata delle libertà originaria perché incapace di
ribellarsi, di far valere le proprie ragioni. Non meno rilevanti gli
effetti derivanti da tali differenze quando uomo e donna convivono in
società: è in quel momento che si manifestano le propensioni e che non
si cerca nulla al di fuori dell’azione. Impulsività e veemenza faranno
della donna una creatura inadatta alle procedure astratte del diritto e
della giustizia; riflessività e contemplazione renderanno l’uomo capace
di vedere di fronte a sé l’inesistente. Alla base della diversità
coesiste anche un disprezzo generico verso le altre donne, spesso
inquadrate nella logica della competizione; questo spunto non è così
vivo nei rapporti maschili. E’ inevitabile, infatti, che il filosofo
rifletta prima di tutto sulla donna con tanta sicurezza: non perché
desideri osannare la forza brutale del proprio sesso ma per ristabilire
una condizione rispettosa di affermazione dell’attrazione erotica nella
quale i due sessi si coinvolgono vicendevolmente. Nella visione più ampia
di un contatto immutabile tra i due compare anche l’annullamento di ogni
barriera, che possa fare di uno dei poli un punto privo di carica.
“L’esame delle
particolarità che vengono al sesso femminile dalla sua originaria
funzione biologica ci fa concludere alla sua necessaria dipendenza
dall’uomo ma per nulla alla sua inferiorità”
[ Parte I, cap. 1 § 8]
Si tratta di una posizione
chiara, estranea a ripensamenti ma in grado di sottolineare il punto di
vista maschile: è l’uomo che parla della donna; la dipendenza di
quest’ultima si riflette nel suo contrario mantenendo lo stesso valore
positivo ma senza che possano chiarire quanto evidenziato. Stabilita
l’uguaglianza morale rimane la sola donna studiata con gli occhi di un
uomo. Da questa possibilità si articolano alcuni interventi contro una
forma di femminismo rivoluzionario, che incita le donne ha ricercare
l’indipendenza totale dall’uomo, l’autonomia mai trovata,
accadimento deleterio per il
disegno finale a cui ogni cosa fa riferimento. D’altra parte invece,
questo disprezzo verso l’eccesso manifesta simpatia per una possibilità
di allentare i legami, convalidati dall’istituzione erotica del
matrimonio; la passione erotica può affievolirsi fino a scomparire
soprattutto nei rapporti fondati sull’improvvisazione: la costrizione
del matrimonio non prospetta vie alternative di realizzazione. Questo
libertinismo finirebbe per scoraggiare le possibilità matrimoniali,
cancellando la tempestività dai consueti atteggiamenti umani.
Spesso nella storia
dell’uomo si tende a demonizzare l’istinto sessuale, cercando di
svilire l’impulso alla riproduzione e le forme estetiche che possano
suscitarlo e dilatarlo. Sebbene quest’istinto sia originario e
costitutivo, non sempre è accompagnato da un piacere estetico: esistono
forme estetiche che non sono in grado di attrarre il senso. Ancora più
irrilevante è la bellezza e l’armonia se si pensa alla finalità ultima
del rapporto di coppia o se ci si sofferma sul fatto che ogni razza
consideri, relativamente ai propri canoni, la bellezza. Ecco perché
dinanzi all’obiettivo finale ogni particolarismo appare insignificante.
Nelle fasi precedenti all’unione esiste quindi una scelta che spesso è
indipendente e ingovernabile. Nella vastità sconfinata di questo
argomento ci si potrebbe soffermare sulle possibilità di un disprezzo, di
un rapporto violento generato dalla repressione degli istinti e perfino da
una repulsione per la sessualità. Nelle strategie di Schopenhauer, ad
esempio, il piacere riposto nell’atto sessuale tenderebbe ad oscurare la
crudeltà del gesto, mascherando le sofferenze della vita con un godimento
fisico. Ma questo non è il caso di Martinetti per il quale l’atto
erotico della riproduzione è un effetto inferenziale dell’istinto
sessuale, ma non il vero fine: la vita in sé non è il fine bensì
l’amore che attraverso la vita si evolve. L’unione genera creature più
evolute, sensibili alle ricerche dello Spirito; questo è il completamento
progressivo che si accennava in precedenza. Nell’istinto sessuale si
conserva l’attenzione per la ricerca di un completamento superiore della
moralità. L’atto egoistico del piacere si dissolve fino a scomparire
nelle regioni dell’agire morale e degli ideali ad esso connessi.
“Ciò che agisce con
tanta potenza nell’amore non è il genio della specie ma l’intuizione
istintiva di un’unità che rappresenta una beatitudine infinitamente
superiore ad ogni soddisfazione egoistica”
[Parte I, cap.2 § 10 ]
Quanto irrilevante divenga il
singolo di fronte al gesto supremo di completamento, si evince anche dai
capitoli dedicati alla prostituzione. Nelle forme di “istituzioni
erotiche”, prostituzione e matrimonio feriscono qualsiasi animo disposto
a compiere una ricerca nelle prospettive precedentemente proposte: se
gradualmente si tornasse all’adorazione dell’io soddisfacendo gli
istinti e le pulsioni più scellerate, si raggiungerebbe l’annullamento
della forza spirituale e della relativa Unità.
Provando un senso di piacere
anche nell’osservare l’alterità femminile, si raggiunge presto il
limite che impone una scelta; preferire una donna alle altre e coltivare
l’amore per garantire la corretta riuscita del viaggio verso il
completamento: questo è il luogo dell’amore sentimentale. La bellezza
femminile dispersa nel mondo si raccoglie nella sola figura che rimane di
fronte e che ricorda i passi della missione. Con questa selezione si
procede verso atteggiamenti irripetibili, che finiscono per appartenere ad
una sola coppia; dall’organizzazione al pudore, dalla gelosia alla
fiducia: questi i lineamenti restrittivi della capacità erotica. Sebbene
esista un effettivo restringimento della scelta e della distribuzione dei
piaceri, ci si avvia al mantenimento e alla devozione mostrando fiducia
alla persona amata. Ancora imponenti gli stimoli sessuali ma non sempre
corrisposti e costretti dal ricordo della singolarità. L’aspetto
grossolano ha bisogno di emergere senza appassire nella repressione:
quando si accenna ad un “idealismo sperduto”, si tenta di
cogliere il contatto accecante tra la spinta verso l’elevazione e il
ristagno nella passionalità.
Giunti ad una definizione
autentica dei valori connessi alla spiritualità è lecito proporre un
confronto con il Fedro platonico i cui passi rappresentano da sempre una
testimonianza filosofica di grande spessore. Per cogliere la ragione del
distanziamento martinettiano dall’idea platonica di “amore” è
necessario ricordare la valenza filosofica di quest’ultima nel seguente
passo:
“E per sua natura non
è né mortale né immortale, ma, in uno stesso giorno, talora fiorisce e
vive, quando riesce nei suoi espedienti, talora, invece, muore, ma poi
torna in vita, a causa della natura del padre. E ciò che si procura gli
sfugge sempre di mano, sicché Eros non è mai né povero di risorse, né
ricco”
[ Simposio 203 E ]
Eros è figlio di Poros
(Espediente) e Penia (Povertà) e, proprio derivando dall’unione di un
amante di Afrodite e dalla natura mortale della madre: è dunque un demone
che ama la bellezza come il padre Poros. Se nel mito platonico è fornita
una definizione di Amore come desiderio continuo di bellezza, ricerca
costante del piacere della bellezza, nell’idea di Martinetti il limite
non è così immediato: si aspira all’Unità ultima che procede da due
distinte singolarità secondo un’attrazione che trascende la semplice
amicizia. Si parla di singolarità - e non di soggettività- nel senso
fenomenologico dell’empatia, cioè del riconoscimento nell’altro della
vicinanza e della predisposizione ad essere simile al soggetto.
L’amore platonico è virtuale, supposto come aspirazione mentre
l’altro affonda le radici nella certezza della conversione di linee
divergenti nel centro morale. La predisposizione spirituale delle anime
conferma questa certezza, mentre il desiderio di bellezza limita
all’idea di bellezza senza aspirare al sommo bene in primo luogo: è per
così dire un insieme compreso all’interno di un insieme più ampio che
porta il nome di Bene o Felicità. Già ai tempi di Eraclito di Efeso (VI
sec. a.C.), si accennava all’armonia dei contrari come una condizione di
convivenza delle realtà mondane, dispiegate al fine di giustificarsi in
virtù del proprio contrario: fu questo, in occidente, il parametro del
confronto tra bene e male. Nelle culture orientali sembra più
inconsistente o di scarso valore, l’attenzione rivolta al “migliore”
o al “meglio”. L’ordine di riferimento è cosmico e non condivide
affatto queste sottigliezze pur comprendendole. L’unione erotica
spirituale non può essere soltanto rappresentata dalla convergenza in un
punto mediano di elementi opposti, ma anche dalla proiezione contemporanea
in avanti: questo perché il risultato dipenda fino all’ultimo dagli
estremi ma, una volta costituito diventi indipendente e capace di voltarsi
indietro, ma scoraggiato a farlo.
Lo spiritualismo di Martinetti
prevede, in ultima analisi, una ripresa degli schemi distintivi
dell’idealismo ottocentesco e delle relative formule di classificazione
degli enti del mondo. Ogni singolo ente deve perciò riconoscere la natura
e cercare di prendere parte, nei ruoli ben definiti, alla Verità ultima
di riferimento. Per assolvere un simile compito deve servirsi di mezzi
comuni, con una cooperazione di suoi simili intenzionati a partecipare
alla stessa ricerca. Lo sforzo progressivo è al contempo estraneo e
familiare alla natura del Soggetto Assoluto.
Si aspira ad una vita soggettiva che ben distribuisca, durante il
suo corso, tutti gli sforzi per giungere alla comunione con lo Spirito
che, all’inizio dei tempi, si rivolse alla molteplicità proponendo
questa difficile missione.
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