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Sommario anno XIII numero 3 - marzo 2004

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Politica di strumenti e politica di valori
(Cristina Stillitano) - Nell’imminenza delle elezioni europee, si torna a parlare di bipolarismo. L’attuale struttura del sistema partitico italiano, dopo la riforma elettorale del 1993 e l’introduzione del maggioritario, ha in effetti assunto una fisionomia abbastanza peculiare, in grado di suscitare critiche da più fronti e sotto vari punti di vista. Vi è chi rimpiange gli schieramenti proporzionali, per la possibilità che fornivano di configurare un’offerta politica più ampia, variegata, meno appiattita e maggiormente attenta alle esigenze delle minoranze. D’altro canto, è rimasto deluso dagli attuali esiti anche chi aveva accolto con favore l’effetto aggregante che il maggioritario comporta. La speranza era che trovasse fine la pratica perversa di costringere il cittadino a votare per un partito dandogli carta bianca e confidando, passivamente e senza verifiche, nella “fetta” di potere che lo stesso sarebbe riuscito a ritagliarsi nella coalizione postelettorale che avrebbe dato vita ad un governo. Come è noto, infatti, la scelta di un sistema come il maggioritario viene in genere effettuata per ridurre, o, quantomeno, contenere la moltiplicazione delle correnti e dei partiti politici, ostacolare le tendenze consociative ed, anzi, stimolare dinamiche di alternanza maggioranza-opposizione e - soprattutto - obbligare gli schieramenti a formare alleanze ed esprimere un programma prima delle elezioni. In tal modo il cittadino ha la possibilità di scegliere non solo un colore politico ed uno o più leaders che lo rappresentino, ma anche un programma più o meno definito, che, si presume, verrà attuato qualora la coalizione “maggioritaria” dovesse risultare vincente. Il sistema proporzionale, viceversa, non consente sicurezze sotto questo punto di vista perché, con lo “spezzettamento” di seggi in cui per definizione si traduce, salvo correzioni e ritocchi di vario genere ed efficacia, rende necessaria la formazione di alleanze che - per essere appunto concluse dopo la verifica delle urne - sono sciolte da ogni impegno elettorale e, per questa via, più soggette a compromessi e completamente prive di possibilità di verifica e sanzione da parte dell’elettorato, almeno fino alle successive votazioni. Detto questo, occorre però anche considerare l’attuale effettivo sistema partitico italiano e, soprattutto, le sue differenze con quello a cui ci si è voluti in qualche modo ispirare e che, da secoli, costituisce forse uno dei più funzionali e lineari esempi di vera democrazia: il sistema inglese. Il paragone può illuminarci in modo istantaneo già riflettendo sui due diversi termini di confronto: “bipolarismo all’italiana” e “bipartitismo all’inglese”. In Gran Bretagna vi sono solo due partiti che contano, laburisti e conservatori. Le elezioni, con sistema maggioritario uninominale ad un turno, decretano la vittoria dell’uno o dell’altro schieramento alla Camera dei Comuni. A questo punto si sa già - e nessun inglese si sognerebbe mai di mettere in discussine questa “convenzione” costituzionale - che la Regina nominerà Primo ministro il leader del partito che ha ottenuto la maggioranza in Parlamento. In virtù di questo tipo di legittimazione popolare “quasi diretta”, costui concentrerà nelle proprie mani il potere necessario per attuare la politica per la quale è stato votato e godrà - a tale scopo - del saldo sostegno della maggioranza della Camera, assicurato dalla rigida disciplina di partito vigente in Inghilterra. Bipartitismo è cosa, quindi, assai diversa dal nostro attuale bipolarismo, che - semplicemente - indica la tendenza dell’assetto partitico a strutturarsi su due poli competitivi, che, però, risultano al loro interno composti da più partiti, con tutti gli inconvenienti, le incertezze, i compromessi e le difficoltà che l’alleanza e la convivenza di più schieramenti comporta. Certamente non si può pretendere di stravolgere una realtà, come quella italiana, che ha assunto un determinato profilo per numerose ragioni storiche, politiche, istituzionali, né si può pensare di trovare soluzioni per essa adatte con la semplice imitazione di istituti realizzati in altri paesi. Il confronto esige necessariamente anche la valutazione attenta e consapevole della diversità in termini di storia, valori, mentalità, base sociale ed abitudini. Può allora accadere che ci si renda conto che non è tanto un congegno elettorale o una pratica o un assetto particolari a rendere saldo un gabinetto, o funzionale una modalità di governo, quanto - piuttosto - la cultura politica che ne è a fondamento e li presuppone, col dare loro significato e possibilità di funzionare in maniera corretta e costruttiva. In Inghilterra questa mentalità esiste davvero ed è la garanzia più forte, ma anche più difficile da realizzare ed imitare. Ai critici del bipolarismo, pur condividendone l’insoddisfazione, rivolgiamo perciò l’invito a voler riflettere con onestà anche - tenuto conto delle nostre peculiarità ed esigenze - su qualcosa di diverso e forse più essenziale: la realtà politica italiana, con la sua trama di valori, identità, correttezza, coscienza che - a nostro giudizio - è talmente carente e contraddittoria, da rendere inefficace qualsiasi strumento di ingegneria elettorale o costituzionale.

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Sommario anno XIII numero 3 - marzo 2004