Politica di strumenti e politica di valori
(Cristina Stillitano) - Nell’imminenza delle elezioni
europee, si torna a parlare di bipolarismo. L’attuale struttura del
sistema partitico italiano, dopo la riforma elettorale del 1993 e
l’introduzione del maggioritario, ha in effetti assunto una fisionomia
abbastanza peculiare, in grado di suscitare critiche da più fronti e sotto
vari punti di vista. Vi è chi rimpiange gli schieramenti proporzionali,
per la possibilità che fornivano di configurare un’offerta politica più
ampia, variegata, meno appiattita e maggiormente attenta alle esigenze
delle minoranze. D’altro canto, è rimasto deluso dagli attuali esiti anche
chi aveva accolto con favore l’effetto aggregante che il maggioritario
comporta. La speranza era che trovasse fine la pratica perversa di
costringere il cittadino a votare per un partito dandogli carta bianca e
confidando, passivamente e senza verifiche, nella “fetta” di potere che lo
stesso sarebbe riuscito a ritagliarsi nella coalizione postelettorale che
avrebbe dato vita ad un governo. Come è noto, infatti, la scelta di un
sistema come il maggioritario viene in genere effettuata per ridurre, o,
quantomeno, contenere la moltiplicazione delle correnti e dei partiti
politici, ostacolare le tendenze consociative ed, anzi, stimolare
dinamiche di alternanza maggioranza-opposizione e - soprattutto -
obbligare gli schieramenti a formare alleanze ed esprimere un programma
prima delle elezioni. In tal modo il cittadino ha la possibilità di
scegliere non solo un colore politico ed uno o più leaders che lo
rappresentino, ma anche un programma più o meno definito, che, si presume,
verrà attuato qualora la coalizione “maggioritaria” dovesse risultare
vincente. Il sistema proporzionale, viceversa, non consente sicurezze
sotto questo punto di vista perché, con lo “spezzettamento” di seggi in
cui per definizione si traduce, salvo correzioni e ritocchi di vario
genere ed efficacia, rende necessaria la formazione di alleanze che - per
essere appunto concluse dopo la verifica delle urne - sono sciolte da ogni
impegno elettorale e, per questa via, più soggette a compromessi e
completamente prive di possibilità di verifica e sanzione da parte
dell’elettorato, almeno fino alle successive votazioni. Detto questo,
occorre però anche considerare l’attuale effettivo sistema partitico
italiano e, soprattutto, le sue differenze con quello a cui ci si è voluti
in qualche modo ispirare e che, da secoli, costituisce forse uno dei più
funzionali e lineari esempi di vera democrazia: il sistema inglese. Il
paragone può illuminarci in modo istantaneo già riflettendo sui due
diversi termini di confronto: “bipolarismo all’italiana” e “bipartitismo
all’inglese”. In Gran Bretagna vi sono solo due partiti che contano,
laburisti e conservatori. Le elezioni, con sistema maggioritario
uninominale ad un turno, decretano la vittoria dell’uno o dell’altro
schieramento alla Camera dei Comuni. A questo punto si sa già - e nessun
inglese si sognerebbe mai di mettere in discussine questa “convenzione”
costituzionale - che la Regina nominerà Primo ministro il leader del
partito che ha ottenuto la maggioranza in Parlamento. In virtù di questo
tipo di legittimazione popolare “quasi diretta”, costui concentrerà nelle
proprie mani il potere necessario per attuare la politica per la quale è
stato votato e godrà - a tale scopo - del saldo sostegno della maggioranza
della Camera, assicurato dalla rigida disciplina di partito vigente in
Inghilterra. Bipartitismo è cosa, quindi, assai diversa dal nostro attuale
bipolarismo, che - semplicemente - indica la tendenza dell’assetto
partitico a strutturarsi su due poli competitivi, che, però, risultano al
loro interno composti da più partiti, con tutti gli inconvenienti, le
incertezze, i compromessi e le difficoltà che l’alleanza e la convivenza
di più schieramenti comporta. Certamente non si può pretendere di
stravolgere una realtà, come quella italiana, che ha assunto un
determinato profilo per numerose ragioni storiche, politiche,
istituzionali, né si può pensare di trovare soluzioni per essa adatte con
la semplice imitazione di istituti realizzati in altri paesi. Il confronto
esige necessariamente anche la valutazione attenta e consapevole della
diversità in termini di storia, valori, mentalità, base sociale ed
abitudini. Può allora accadere che ci si renda conto che non è tanto un
congegno elettorale o una pratica o un assetto particolari a rendere saldo
un gabinetto, o funzionale una modalità di governo, quanto - piuttosto -
la cultura politica che ne è a fondamento e li presuppone, col dare loro
significato e possibilità di funzionare in maniera corretta e costruttiva.
In Inghilterra questa mentalità esiste davvero ed è la garanzia più forte,
ma anche più difficile da realizzare ed imitare. Ai critici del
bipolarismo, pur condividendone l’insoddisfazione, rivolgiamo perciò
l’invito a voler riflettere con onestà anche - tenuto conto delle nostre
peculiarità ed esigenze - su qualcosa di diverso e forse più essenziale:
la realtà politica italiana, con la sua trama di valori, identità,
correttezza, coscienza che - a nostro giudizio - è talmente carente e
contraddittoria, da rendere inefficace qualsiasi strumento di ingegneria
elettorale o costituzionale. |