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Sommario anno XIII numero 3 - marzo 2004

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Intervento in Iraq: “cooperazione internazionale”?
(Giovanna Ardesi) - Esprimo il mio parere sull’intervento italiano in Iraq. Fin dall’inizio sono stata contraria all’intervento militare in quel paese per risolvere un problema, che si sapeva essere falso: la eliminazione di armi di distruzione di massa tali da costituire una minaccia per tutto il mondo. Infatti, dopo gli ispettori dell’ONU, nessuno più si è preoccupato di cercare queste armi. Se la guerra si fosse conclusa bene, neanche il democratico popolo inglese si sarebbe preoccupato di trovarle per giustificare l’intervento. Ma la guerriglia armata dei civili iracheni impone la necessità di dare una giustificazione alla presenza militare in quel paese arabo. Questa necessità, non soddisfatta, ha indebolito sia il governo di Blair che quello di Bush!

La missione italiana in Iraq è stata, ed è, una missione d’appoggio ad una guerra feroce e sterile, che mira ad ottenere soltanto la sottomissione degli iracheni. Gli anglo-americani hanno occupato una nazione che non voleva pagare un prezzo tanto alto per liberarsi di Saddam: 50mila morti, distruzione e disoccupazione. Questa guerra sì che è stata terrorismo nei confronti di un popolo, che ha avuto la iattura (comune a tante altre nazioni) di essere governato da un dittatore!
I 50mila morti erano civili e non terroristi. Ora, anziché chiedere scusa per quanto dolore hanno causato, gli anglo-americani ed i loro giullari italiani pretendono di definire questi morti “effetti collaterali”, quando dovrebbero riconoscere, invece, che proprio questi sono gli effetti primari di una guerra mostruosa. Senza contare, poi, gli effetti devastanti a lungo termine, come i campi minati. Può essere tanta ingiustizia un esempio di democrazia per il mondo arabo?
Intanto nei loro paesi, Bush e Blair devono rispondere davanti ai cittadini delle loro scelte, messi di fronte alla situazione di guerriglia armata che sta giungendo in Iraq da ogni dove. In Italia, invece, Berlusconi, che non sente il dovere di fare altrettanto, non viene chiamato da nessuno a rispondere di aver prestato fede a chi diceva che Saddam era in possesso di armi di distruzione di massa e che era in procinto di usarle contro l’Occidente.
Mi chiedo: chissà se di fronte allo stravolgimento dei significati delle parole, come “aiuti umanitari (inseriti nella finanziaria di quest’anno), effetti collaterali, missione di pace”, ecc., arriveremo un giorno a chiamare la guerra e le bombe “cooperazione internazionale” in quanto finalizzate a distruggere, appunto, il sistema economico-politico di un paese per dotarlo di un altro più funzionale al mantenimento dell’influenza economica e politica del paese dominante?  Con il risultato che il dominatore costringerà, grazie alla guerra, la popolazione dominata  a tenere bassi i prezzi delle materie prime pregiate in suo possesso (come il petrolio), mantenendo in tal modo il controllo su tutto il processo produttivo e finanziario.

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Sommario anno XIII numero 3 - marzo 2004