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Sommario anno XIII numero 3 - marzo 2004

 ATTUALITÀ

Luci (rimpiante) della città
(Cristina Stillitano) - Se andate al Teatro Olimpico sino al 28 febbraio potrebbe capitarvi - come è capitato a chi scrive - di rimpiangere di non essere nati più di 70 anni fa’. Quando il cinema varcava la soglia senza ritorno del sonoro e una rivoluzione inarrestabile aveva inizio. Da allora la tecnologia ha percorso la sua rapida strada verso risultati sempre più raffinati e spettacolari. Oggi la generazione de “Il Signore degli Anelli” si gode le sue 10 ore di saga “fantasy” lasciandosi travolgere - vorremmo dire tramortire - dagli imponenti e sofisticati effetti speciali. E, probabilmente, si domanda incredula come sia possibile seguire per quasi due ore un film muto. Forse le verrebbe da sorridere vedendo quell’improponibile figurino con  bombetta e  baffetti che ammicca con i suoi occhi bistrati di nero. Ma, a questo punto, il miracolo di Charlie Chaplin ancora una volta avrebbe magicamente avuto luogo. Tanto più intenso e travolgente, quanto più inavvertitamente riesce ad incantare chi lo osserva. Si torna bambini, ad avere a che fare con un riso che sgorga alla gola improvviso e spensierato. Poi arriva la tenerezza e il paradosso e l’ansia e infine la commozione, quella vera, che avvolge e stupisce. Forse l’arte si riconosce proprio da questo: dalla capacità di toccare le corde più profonde di un’emozione, liberandola nella sua forma più semplice e nuda. Una forma che nemmeno si pensava di possedere ancora.
Chaplin credeva con forza nel potere del riso e delle lacrime come antidoto all’odio e al terrore. Con poesia, con elegante discrezione, con una cura perfetta per ogni dettaglio, danzando più che recitando, il suo Charlot, l’aristocratico e generoso vagabondo solitario, ci conduce attraverso le debolezze e le contraddizioni di un mondo ingiusto, vissute, subite, con un candore che le rende ancora più stridenti e inaccettabili. La polemica contro il conformismo e la miseria diventano disavventura malinconica di un animo gentile, satira sussurrata senza enfasi e senza eccessi. “Quel modo di vestire mi aiuta ad esprimere la mia concezione dell’uomo medio, dell’uomo comune, la concezione di quasi tutti gli uomini, di me stesso.” - diceva a proposito del trucco e dell’abbigliamento di Charlot - “La bombetta troppo piccola rappresenta lo sforzo accanito di poter apparire dignitoso. I baffi esprimono vanità. La giacca abbottonata stretta, il bastoncino e tutto il comportamento del vagabondo rivelano il desiderio di assumere un’aria galante, ardita, disinvolta. Egli cerca di affrontare coraggiosamente il mondo, di andare avanti a forza di bluff: e di questo è consapevole. E ne è così consapevole che riesce a ridere di se stesso e anche a commiserarsi un po’”.
Chaplin non vinse neanche un oscar come miglior attore o regista. Ricevette soltanto quello alla carriera nel 1972 e un secondo - nello stesso anno - come miglior compositore musicale per “Luci della ribalta”, che peraltro aveva realizzato ben 20 anni prima. E, in effetti, non tutti sanno che molte delle musiche che accompagnano i suoi films furono composte ed alcune, come “Swing high little girl” persino cantate, da lui stesso. Al Teatro Olimpico di Roma l’”Orchestra Città Aperta” le esegue splendidamente dal vivo durante la proiezione del film. Il direttore, Timothy Brock, in collaborazione con l’Associazione Chaplin, ha curato anche il restauro delle partiture originali. La programmazione prevede “Luci della Città” (1931) e “Il Circo” (1928), entrambi muti. In verità nella scena iniziale di “Luci della Città”, quella dell’inaugurazione del monumento sul quale si è candidamente addormentato Charlot, i personaggi gracchiano un discorso che, però, Chaplin preferì lasciare alla nostra immaginazione. Per il resto, non volle assolutamente introdurre il sonoro. E fece bene. Il suo capolavoro non ne ha alcun bisogno.

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Sommario anno XIII numero 3 - marzo 2004