tuscolo
Il
“Teatro di Roma” al Teatro Romano di Tuscolo
(Armando Guidoni) - Ancora una magica serata! Immersi in un
clima “frizzantino”, circa 450 spettatori hanno assistito alla
“prima”
mondiale dello spettacolo “Cicerone, la lingua pugnalata” che ha
concluso il laboratorio di scrittura scenica condotto da Sergio Basile e
Andrea di Bari, ideato dal direttore del Teatro di Roma, Giorgio
Albertazzi. Il progetto del Maestro, con la regia di Andrea Di Bari e
l’interpretazione magistrale di Sergio Basile e degli undici giovani
attori che hanno partecipato al laboratorio, ha debuttato martedì 27
luglio al teatro romano della Città di Tusculum, che rivive gli
antichi fasti imperiali recuperando la sua primaria funzione di cavea per
le rappresentazioni teatrali. Lo scorso anno fu proprio il Maestro che -
con i frammenti delle Memorie di Adriano, regia di Maurizio
Scaparro, tratto dall’omonimo romanzo di Margherite Yourcenar - “riaprì”
il teatro romano. In quell’occasione dichiarò che “Aprire un
teatro è come aprire uno spazio di civiltà, è come aprire una nuova via
di cultura e di comunicazione fra
gli uomini”. E quest’anno, sempre lui, ha mantenuto la promessa
allora fatta di “rianimarlo”. Questo sito si conferma, dunque, la
terza struttura archeologica fuori Roma che ospita spettacoli, dopo i
teatri di Ostia Antica e di Villa Adriana a Tivoli.
Prima della
rappresentazione, la Comunità Montana ha conferito la cittadinanza
onoraria dei Castelli Romani e Prenestini a Giorgio Albertazzi e Maurizio
Scaparro, per esprimere la propria riconoscenza alla collaborazione
prestata all’inaugurazione del teatro dello scorso anno.
Un grande evento, un
grande risultato ottenuto dall’XI Comunità Montana che ha promosso e
organizzato la serata con il patrocinio della Regione Lazio e della
Provincia di Roma. La realizzazione dell’evento, voluto dal presidente
Giuseppe de Righi, è stata curata dall’assessore alle politiche
archeologiche Franco Belleggia e organizzato da Salvatore Aricò.
Ispirato all’opera di
Cicerone, illustre personaggio dell’antichità che a lungo visse presso
la città di Tuscolo, “Cicerone, la lingua pugnalata” è una
straordinaria sperimentazione linguistica in una straordinaria
rappresentazione scenica. I giovani attori e drammaturghi hanno seguito un
itinerario nel quale, studiando Cicerone ed elaborandone i testi,
studiando antiche fonti biografiche, sono riusciti a penetrare il pensiero
dei protagonisti e si sono trovati a “scivolare” all’interno dei
personaggi e a giungere, quasi spontaneamente, al punto d´arrivo di
questo percorso: il copione!
Lo
spettacolo vive dinamicamente nello spazio della scena del teatro romano
il cui sito archeologico diviene scenario effettivo, collegato realmente
alla figura ideale di Cicerone, che qui certamente è passato. Il Custode
del sito è un certo Tirone, lo stesso nome del liberto segretario
particolare del grande oratore. Giunge un gruppo di sette turisti. La
magia del luogo, rappresentata figurativamente da una strana macchina
sonora nel cui interno vivono, immerse nell’acqua, quattro magiche
figure femminili, riesce ad esprimere una forza evocatrice. I turisti
vengono avvolti in un gioco in cui ognuno di essi si trova immerso in un
personaggio che ha, nella realtà antica, frequentato, amato, odiato,
ucciso Cicerone.
La città dimenticata di
Tusculum, la città fantasma, sembra riemergere dal suo sonno… i
personaggi iniziano a ricordare il loro passato roteando i pensieri in una
sequenza asfissiante di piani narrativi e stili linguistici. Tirone
ascolta e inizia a comporre domande sempre più precise, quasi nel
tentativo di ricostruire e far riemergere l´immagine di una figura -
quella di Cicerone - che, in modo pirandelliano, chiede lei stessa di
essere rappresentata, di tornare a rivivere fra quelle pietre attraverso
la magica immedesimazione dei sette turisti nei sette personaggi che hanno
vissuto allora e che hanno accompagnato, osservato o anche determinato la
sua efferata uccisione.
Attraverso i dialoghi si
stagliano netti i temi legati alla morte, al dolore, alla tristezza, ai
turbamenti dell’animo e della virtù come garanzia della felicità.
Uno spettacolo
sprizzante originalità e intelligenza espressiva.
Uno spettacolo intriso
di cultura.
Uno spettacolo che fa
riflettere.
Uno spettacolo da
vedere.
trevi
nel lazio
Il
Castello Caetani
(Tania Simonetti-Marco Cacciotti) - Località di
villeggiatura estiva, Trevi nel Lazio sorge al centro di un’ampia
vallata dei Monti Cantari, in cui
scorre
il fiume Aniene, oggi sbarrato da una diga che forma un lago artificiale
per la produzione di energia elettrica. Trevi costituisce sin
dall’antichità il centro principale ed il riferimento amministrativo
dell’intera Valle dell’Aniene. Il paese è composto da tre zone:
l’antico abitato arroccato sul colle la Civita; una cinquecentesca detta
“in mezzo alla terra”; una terza fuori le mura rinascimentali,
sviluppatasi in epoca recente. Ai confini comunali è l’area turistica
degli Altipiani. Una piccola strada “Mezzo la terra” separa il paese
antico sull’alto colle dalla parte sviluppatasi in epoca recente.
L’intero abitato conserva un assetto che potrebbe definirsi romano in
quanto sono riconoscibili il cardo e il decumano maggiori. L’area
sommitale è caratterizzata dall’imponente Castello Caetani. Castello
sorto sulle rovine della città devastata dai Saraceni nel sec. IX. Dal
secolo XI fu feudo dei Conti di Segni e poi passò ai Caetani, che non si
preoccuparono di tutelare l’economia agraria e l’allevamento del
bestiame, per cui ci fu una rivolta, che li costrinse a fuggire nel 1636.
Il castello divenne allora feudo dei monaci di Subiaco, che però non
ebbero alcun dominio effettivo su Trevi per l’opposizione dei suoi
maggiorenti. Nel XII secolo “domini et milites” di Trevi
costituiscono una consorteria e danno origine al Comune. È da
sottolineare che la presenza dei “milites” tra i signori di
Trevi indica chiaramente l’importanza del castello di Trevi in questo
periodo, come postazione difensiva militare dell’alta valle dell’Aniene.
Dal secolo XIII in poi, Trevi divenne una postazione militare
particolarmente importante: la Chiesa vedeva i confini orientali dello
Stato ben difesi dal castello che dominava l’alta valle dell’Aniene.
Alessandro IV, originario della vicina Jenne, fu il primo Papa che si
interessò al dominio di Trevi, affidandola al nipote Rinaldo, detto Rubeo,
il 21 novembre 1257. Il 15 marzo 1262 affidò al Monastero di Subiaco il
castello che apparteneva a Rinaldo. Questi, sdegnato dell’atteggiamento
del Papa, l’11 maggio 1262 “arma sumpsit et ad Castrum trebarum…fecit
incendio devastari…”. La custodia del castello
venne allora affidata dal Papa a “Frati Martino de ordine
Militiate Templi” il 3 gennaio 1263. Nei secoli XII e XIII la lotta
tra Papato ed Impero fece sì che Trevi venisse affidata in feudo alle
famiglie dei papi: i Conti ed i Caetani. Nel 1299 fu acquistato da Pietro
Caetani, fratello di Bonifacio VII. Questo è il periodo in cui il
castello visse il suo massimo splendore, protrattosi per tutta la durata
della signoria dei Caetani, fino al 1471. Fu però caratterizzato da
rivolte, rapine, uccisioni per il malcontento generale, dovuto alle misere
condizioni in cui la comunità era costretta a vivere. Nel 1471 l’ultimo
dei Caetani, Cristoforo, fu
cacciato dalla cittadina a furore di popolo, per malgoverno. Nel 1473
Sisto IV legò il comune di Trevi alla giurisdizione temporale degli
“abati commendatari” Sublacensi, finendo con il fare assorbire la
comunità Trebana nella struttura politico-amministrativa dell’Abbazia
Benedettina.
Nei secoli precedenti le
fonti non parlano mai di mura urbane, ma si riferiscono sempre al castello
ed alle fortificazioni. Il castello sorge su uno sperone di roccia
calcarea nella piazza principale della Civita. Nel XIII secolo sono
numerosi i documenti che citano il castello e tra le notizie più
interessanti vi è quella dell’incendio, dove gran parte dell’edificio
andò in rovina. Il castello fu riedificato, nella forma attuale. Ai
Caetani, che occuparono stabilmente il castello per due secoli, si deve la
disposizione degli ambienti di abitazione che occupano i lati nord ed
ovest dell’edificio, oggi completamente diroccati. Una “sala
solitae habitationis” viene citata nel testamento dettato da Miozia
Caetani al notaio Giacomo di Luca Conversi il 10 gennaio 1468.
Del castello non restano
che i muri perimetrali e il mastio al centro della corte, coronato da una
cornice di beccatelli.
Sul lato ovest si apre
la porta d’entrata cui si doveva accedere tramite un ponte levatoio. I
muri perimetrali conservano ancora (in parte crollati) le aperture
originali, per lo più tamponate, i merli, le decorazioni originali. I
lati nord ed ovest sono quelli meglio conservati, sul lato nord resta
ancora un bel motivo ad archetti pensili, sopra le finestre del piano
secondo.
Per l’accesso si hanno
due ingressi: uno sul lato nord, tramite una porta ad arco acuto, adibita
ai servizi, l’altro sul lato ovest, a piano terra con un grande arco
acuto, da cui si accedeva ad un vano d’ingresso che portava alle
abitazioni e alla corte. Gli altri due lati, sud ed est, che formavano con
il mastio il nucleo militare del castello, sono coronati da merlatura. Su
questi due lati si vedono molto chiaramente tre tipi di muratura diversi,
dal basso verso l’alto. Il primo tipo è formato da grossi blocchi di
calcare rozzamente tagliati, il secondo presenta filari regolari di pietra
cardellina, il terzo, formato da una muratura mista su cui si aprono
numerose bocche di cannone, appartiene ad un restauro di epoca tarda. Nel
XIX secolo Trevi nel Lazio era tra i più importanti castelli
dell’Abbazia di Subiaco per popolazione e per vastità di territori. Nel
1915, dopo il terremoto, con la ricostruzione dell’abitato, una parte
del castello venne inglobata nelle case adiacenti. Da allora il castello
è stato completamente abbandonato con il conseguente crollo di alcune
porzioni di muratura e di tutti i solai lignei. Nel 1984 iniziarono i
lavori di restauro ormai terminati. Bibliografia: (Istituto Italiano
Castelli-www.castit.it- Manieri del Lazio - Itinerari Ciociari-
Rendina- Bonechi- Centra). |