Esplorando…
l’inizio del viaggio
(Marco Battaglia e antonio) - “Ciao Marco, come va?” Una
frase semplice, sentita tante volte, e a cui
tante
volte ho risposto con le parole che in quel momento più o meno
condividevo “ad
incontrar ch’incontro - che a scivolar - tra dentro e fuori - di
cucitura - corro i due lembi”. Sembrava
tutto scontato addirittura automatico e semplice “ad
incontrar ch’incontro - di pochi indizi - ruota di mente - monta la
storia”; eppure non mi sono mai chiesto da dove nascono
quelle parole. Una serie di suoni entra dalle mie orecchie e dopo poco
un’altra serie di suoni escono dalla mia bocca “ad
incontrar ch’incontro - specchio m’incontro - che poi - vesto il
riflesso”. La mia conoscenza della scena che ho vissuto e
che vivo da quando sono nato si ferma qua ed io non so che cosa è
successo tra l’arrivo di quei suoni verso di me e la mia risposta.
L’unica cosa che ho sentito è che in qualche modo la risposta mi
sembrava più o meno giusta “e ad incontrar ch’incontro - scena s’accenda
adatta”. È incredibile e a pensarci bene anche un po’
impressionante! Eppure qualche cosa deve essere successo nel mio interno.
Forse esiste un archivio di risposte o di azioni, che nel corso degli anni
ho accresciuto sempre di più “me
- e tutte le scene - e tutti i lampi”, e
che stanno sempre lì pronte ad essere scatenate in base ad un preciso
stimolo esterno; una specie di schedario a molla che scatta prontissimo
quando viene premuto un tasto “è del
passato - il mondo mio d’andare - che a prendere da fuori - di vivere
dentro - sono a trovare”. E infatti,
sto camminando nel viale sotto casa, incontro la ragazza che abita al
piano di sotto, lei mi saluta ed io prontamente rispondo. Tutto bene,
l’archivio a molla ha funzionato perfettamente. Bene, allora il mistero
è risolto: esiste un mondo esterno, il mio corpo che vi è immerso e al
cui interno risiede l’archivio a molla ed io. “colmo
della scena - e navigar volumi” Come
io? E dove risiedo esattamente io? “immersioni
- universi racchiusi - volarci dentro - dimensioni che a me - dalla mia
mente” Ecco un’altra domanda a cui non avevo mai
pensato. E poi io a cosa servo se dato uno stimolo esterno l’archivio a
molla tira fuori autonomamente la risposta? “che
ad incontrare te - della mia storia - interprete mi faccio”. Il
gioco comincia a farsi più serio e quello che prima era incredibile e
anche un po’ impressionante adesso comincia a trasformarsi in una
sensazione di vera inquietudine. Già perché se è vero che il mio corpo
risponde autonomamente allora che fine fanno tutte quelle belle sensazioni
quando aiuto qualcuno o quando suono la chitarra nei locali e la gente
applaude? “albero della vita - e d’esso autonomia - me
sempre presente - intelletto e capacità d’immaginare - teatri e teatri
- scene e scene - me d’immerso all’universo”
L’applauso a questo punto dovrebbero farlo al mio corpo, anzi
addirittura anche io dovrei applaudire a lui. E poi se questo discorso
vale per me allora deve valere anche per gli altri; “di cose
in mente ognuno - d’original sorgente dentro - credetti” l’ammirazione, l’amore, l’odio e tutti i
possibili sentimenti che provo nei riguardi degli altri io li avevo sempre
intesi rispetto alla persone che avevo davanti e mai rispetto al loro
corpo “e ancora adesso - ognuno d’essi -
nell’affermar le scene - d’anima s’avverte - espressitore”.
Non mi sono mai sognato di dire a qualcuno: “io odio il tuo corpo, ma
non te!” “vita d’ingressi - che dentro ognuno - polarità
s’espande - e repulsione o d’attrazione - verso diviene”.
A questo punto la sensazione da lievemente inquietante comincia a
diventare di vero fastidio, anzi io mi sento prigioniero all’interno del
mio corpo. E come ad un prigioniero il primo pensiero che mi si presenta
è la fuga. “prigioniero - vado cercando l’infinito della
provenienza” Solo che pensare alla fuga ed immaginarmi al di
fuori di esso è un pensiero che non mi tranquillizza per niente, anzi è
forse più inquietante questo che l’idea della prigionia stessa “assistere sgomento - alla vita che si svolge
dentro di me - senza più me”. Eppure non
posso rimanere fermo in balia delle sue azioni. E allora penso che se non
posso fuggire almeno potrei provare a contrastarlo nel suo funzionamento
autonomo. La prossima volta farò il contrario di quello che vorrebbe fare
lui e vediamo chi comanda. Sono
di nuovo nel vialetto sotto casa e camminando avanti e indietro aspetto
che arrivi qualcuno per fare il mio esperimento “con
te sperimentar presenza - che d’essere presente - soffri quando senza
riscontro”. Ecco che arriva il signore che abita al primo
piano, è in fondo al vialetto e sta camminando verso di me velocemente.
Anche io inizio a camminare verso di lui e man mano che mi avvicino sento
i miei muscoli che si tendono sempre di più ed il respiro che diventa
irregolare, quasi trattenuto. Quasi vicini, ormai praticamente sono in
apnea; lui alza lo sguardo e mi vede, si avvicina ancora e quando siamo a
non più di un metro mi guarda dritto negli occhi, apre la bocca dalla
quale escono le fatidiche parole: “ciao Marco, come va? “. A questo
punto sento la mia bocca che si sta aprendo e tra poco, penso, risponderò.
Ma con uno sforzo di volontà non da poco e vincendo la forza dei muscoli
delle mascelle richiudo la bocca e tiro dritto, accelerando anche un po’
il passo “del mondo
mio - dentro la pelle - d’umoralità sorgente - padronanza ho perso -
che di rivalità con essa - a tenzonar so’ andato - anche di fuori”. Ormai è alle mie spalle e sento nei suoi passi
una certa indecisione che però lascia poco dopo il posto alla solita
regolarità in allontanamento. Ma io, io ho vinto, è stata dura e c’è
stato un momento in cui stavo per essere sconfitto ma ce l’ho fatta “a
trasgredir sue attese - d’oblio - fuori di scena - orfano divego — ed
anche il padrone”. È una
soddisfazione quasi ubriacante; tanto più bella proprio perché sofferta
e ad un certo punto quasi insperata “devastatrice
volontà di cambiare”.
Rivivo la scena mentalmente più e più volte ed ogni volta ne traggo
sempre un gran piacere “di quanto
ho fatto ed assistito - ad appuntar del mio volume - fa sedimento”
“che a ritornar - d’evocazione accesa - di pilotar si va d’umori -
persino ad arroganza”. All’incirca alla decima ripetizione cominciano
ad affiorare alcuni particolari a cui non avevo fatto caso. Per esempio
mentre mi avvicinavo a quel signore oltre all’irrigidimento dei muscoli
e al respiro affannoso mi ricordo che l’archivio a molla in effetti era
scattato e comunque aveva fatto emergere dal suo interno la scena che
avrei vissuto se lo avessi lasciato fare: io che rispondevo al saluto
dell’inquilino del primo piano. Man mano che mi avvicinavo a lui, quella
scena io la vedevo come in una anteprima ripetuta più e più volte ed
ogni volta cresceva la sensazione di trasgredire ad essa “dei
sedimenti - che di memoria fan la sostanza - spessori su spessori - tempo
per tempo - a ritrovar - d’evocazione so’ andato - e intorno a me -
dentro la pelle mia d’adesso - a proiettar d’ambiente - di volta in
volta - rendono scena”. Era come una precisa sequenza: scena in
anteprima, lieve nausea, di nuovo scena in anteprima, di nuovo nausea in
una convoluzione sempre più stretta tanto da non riuscire più a
distinguere tra l’una e l’altra. Altro esperimento: adesso è sera e
sono sul balcone di casa mia aspettando che dai castelli arrivi, come
tutte le sere ad una certa ora, un po’ di frescura. Faccio sempre così
nelle calde sere d’estate e già mi pregusto il senso di fresco sulla
pelle che tra poco arriverà. Ecco un primo timido soffio poi un altro e
poco dopo il leggero venticello è diventato stabile. Si sta proprio bene
e, penso, per completare la scena adesso ci vorrebbe una bella
sigaretta…. Ed è a questo punto che CLICK è scattato di nuovo lo
schedario a molla: prima di un mio qualsiasi movimento sono di nuovo
nell’anteprima e questa volta faccio caso ad un altro particolare “d’anticipar
si tratta - che il corpo mio fatto di mente - scene soggetti e storie - ad
incontrar d’ambiente - lampo mi veste”.
Quello che a cui sto assistendo non è solo uno spettacolo visivo; io la
sigaretta me la “sento” gia in mano, e poi in bocca con il calore del
fumo che scende in gola… Insomma è tutto il mio corpo che fa da schermo
per l’anteprima. È come assistere ad uno spettacolo a mio uso e consumo
che però non viene dall’esterno ma dall’interno “la
mente mia - d’anticipar la storia - m’elenca tutto il da fare - e a
stare in essa - mi circonda”. Dopo un
po’ però, continuando a rimanere fermo, sento nascere quella piccola
nausea che mi aveva preso nel vialetto sotto casa “scena
s’è immessa - che di spettacolar tutta sé stessa - d’uscir - rende
negletto”. Più sto fermo e più la nausea cresce. Ma questa
volta non ho intenzione di contrastare il mio padrone e quindi prendo una
sigaretta e l’accendo. Subito dopo arriva un gran sollievo e sento tutto
il mio corpo rilassarsi e rimanere fermo quasi appagato. Dunque è questo
il modo in cui il nostro corpo ci fa prigionieri: una specie di pugno di
ferro e guanto di velluto emozionale a seconda della nostra ubbidienza “di rimaner dentro i binari - che sono fatti
d’angoscia - e tregua in mezzo”.
Mentre continuo a
godermi la sigaretta ripenso a quello che è successo al mio interno e,
questa volta noto, che è come mandare avanti e indietro una cassetta in
un videoregistratore e decidere di volta in volta da quale punto del film
riprendere la visione “di quel ch’avvenne al tempo - è ancora in
piedi - che stesso filmato - d’adesso - a catturar le cose - monta la
scena - e di commedia - rende i passaggi”.
Oltretutto questo significa che l’archivio a molla adesso non sta
scattando per l’effetto di uno stimolo esterno ma in qualche maniera,
che ancora non conosco, attivato da me. E allora forza con la moviola!!! “che
di reticolar la mente - scene s’accende - e intera storia - d’esser
rivista - d’ologrammar mi passa” Dunque, io seduto in balcone, caldo afoso di una
sera d’estate, io che aspetto il fresco che ancora non arriva,
sensazione di sospeso in attesa di qualcosa che ancora non c’è,
e poi … un momento, a pensarci bene l’archivio a molla era già
scattato qui. Mentre attendevo il vento, io già me lo pregustavo, cioè
già me lo sentivo sulla pelle “schermo
che inscena - il corpo mio - mi bagna”; ma
subito dopo tornavo a far caso che non c’era ancora ed era in quel
momento che nasceva quella sensazione di sospeso che avevo chiamato
attesa. Era come se in quella specie di spettacolo virtuale che tutto il
mio corpo stava mettendo in scena fossero presenti non una ma due
rappresentazioni e l’emozione che seguiva fosse il risultato della loro
compartecipazione “d’immaginar
degl’andamenti - che a rimbalzar comando a scena che manca - di
sentimento fatto - emerge il sapore”. Era
successo così anche il giorno prima, quando avvicinandomi a quel signore
sentivo l’ansia crescermi dentro. Anche allora erano contemporaneamente
presenti nel mio cinema due storie contrapposte: quella suggerita
dall’archivio, che prevedeva di rispondere al saluto, e quella nuova,
che volevo realizzare, di non rispondere “che la presenza mia - diviene in esso - e a
trapassar - posso o non posso - rinuncio o lotto”.
Ed anche il quel caso era tutto il mio corpo che stava partecipando alla
rappresentazione. Ricordo infatti la bocca che quasi impercettibilmente
vibrava, i muscoli del collo tesi un pò più del normale, gli occhi che
velocemente cercavano la figura di quel signore e poi tornavano a guardare
il terreno. La nausea e l’ansia che avvertivo ad ogni passo in avanti
era dunque il risultato del contrasto tra queste due scene interne vissute
contemporaneamente “di
tante storie - una alla volta - padrone e servo il soggetto”. Le scene erano virtuali ma l’effetto del loro
contrasto era ben concreto tanto da spingermi ad agire in un senso o
nell’altro pur di recuperare uno stato di tranquillità, che a questo
punto suppongo sia niente altro che il non contrasto tra le due storie
accese nel mio corpo……“che di virtualità a confronto - pezzo per pezzo -
a differenziar diverso - d’umori - dentro la pelle - fanno concerto”. (continua)
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