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Sommario anno XIII numero 8 - agosto 2004

 DENTRO L'UOMO

Esplorando…  l’inizio del viaggio
(Marco Battaglia e antonio) - “Ciao Marco, come va?” Una frase semplice, sentita tante volte, e a cui antonio - L’anello mancantetante volte ho risposto con le parole che in quel momento più o meno condividevo
“ad incontrar ch’incontro - che a scivolar - tra dentro e fuori - di cucitura - corro i due lembi”.  Sembrava tutto scontato addirittura automatico e semplice “ad incontrar ch’incontro - di pochi indizi - ruota di mente - monta la storia”; eppure non mi sono mai chiesto da dove nascono quelle parole. Una serie di suoni entra dalle mie orecchie e dopo poco un’altra serie di suoni escono dalla mia bocca “ad incontrar ch’incontro - specchio m’incontro - che poi - vesto il riflesso”. La mia conoscenza della scena che ho vissuto e che vivo da quando sono nato si ferma qua ed io non so che cosa è successo tra l’arrivo di quei suoni verso di me e la mia risposta. L’unica cosa che ho sentito è che in qualche modo la risposta mi sembrava più o meno giusta “e ad incontrar ch’incontro - scena s’accenda adatta”. È incredibile e a pensarci bene anche un po’ impressionante! Eppure qualche cosa deve essere successo nel mio interno. Forse esiste un archivio di risposte o di azioni, che nel corso degli anni ho accresciuto sempre di più “me - e tutte le scene - e tutti i lampi”, e che stanno sempre lì pronte ad essere scatenate in base ad un preciso stimolo esterno; una specie di schedario a molla che scatta prontissimo quando viene premuto un tasto “è del passato - il mondo mio d’andare - che a prendere da fuori - di vivere dentro - sono a trovare”. E infatti, sto camminando nel viale sotto casa, incontro la ragazza che abita al piano di sotto, lei mi saluta ed io prontamente rispondo. Tutto bene, l’archivio a molla ha funzionato perfettamente. Bene, allora il mistero è risolto: esiste un mondo esterno, il mio corpo che vi è immerso e al cui interno risiede l’archivio a molla ed io. “colmo della scena - e navigar volumi” Come io? E dove risiedo esattamente io? “immersioni - universi racchiusi - volarci dentro - dimensioni che a me - dalla mia mente” Ecco un’altra domanda a cui non avevo mai pensato. E poi io a cosa servo se dato uno stimolo esterno l’archivio a molla tira fuori autonomamente la risposta? “che ad incontrare te - della mia storia - interprete mi faccio”. Il gioco comincia a farsi più serio e quello che prima era incredibile e anche un po’ impressionante adesso comincia a trasformarsi in una sensazione di vera inquietudine. Già perché se è vero che il mio corpo risponde autonomamente allora che fine fanno tutte quelle belle sensazioni quando aiuto qualcuno o quando suono la chitarra nei locali e la gente applaude? “albero della vita - e d’esso autonomia - me sempre presente - intelletto e capacità d’immaginare - teatri e teatri - scene e scene - me d’immerso all’universo” L’applauso a questo punto dovrebbero farlo al mio corpo, anzi addirittura anche io dovrei applaudire a lui. E poi se questo discorso vale per me allora deve valere anche per gli altri; “di cose in mente ognuno - d’original sorgente dentro - credetti” l’ammirazione, l’amore, l’odio e tutti i possibili sentimenti che provo nei riguardi degli altri io li avevo sempre intesi rispetto alla persone che avevo davanti e mai rispetto al loro corpo “e ancora adesso - ognuno d’essi - nell’affermar le scene - d’anima s’avverte - espressitore”. Non mi sono mai sognato di dire a qualcuno: “io odio il tuo corpo, ma non te!” “vita d’ingressi - che dentro ognuno - polarità s’espande - e repulsione o d’attrazione - verso diviene”. A questo punto la sensazione da lievemente inquietante comincia a diventare di vero fastidio, anzi io mi sento prigioniero all’interno del mio corpo. E come ad un prigioniero il primo pensiero che mi si presenta è la fuga. “prigioniero - vado cercando l’infinito della provenienza” Solo che pensare alla fuga ed immaginarmi al di fuori di esso è un pensiero che non mi tranquillizza per niente, anzi è forse più inquietante questo che l’idea della prigionia stessa “assistere sgomento - alla vita che si svolge dentro di me - senza più me”. Eppure non posso rimanere fermo in balia delle sue azioni. E allora penso che se non posso fuggire almeno potrei provare a contrastarlo nel suo funzionamento autonomo. La prossima volta farò il contrario di quello che vorrebbe fare lui e vediamo chi comanda.  Sono di nuovo nel vialetto sotto casa e camminando avanti e indietro aspetto che arrivi qualcuno per fare il mio esperimento “con te sperimentar presenza - che d’essere presente - soffri quando senza riscontro”. Ecco che arriva il signore che abita al primo piano, è in fondo al vialetto e sta camminando verso di me velocemente. Anche io inizio a camminare verso di lui e man mano che mi avvicino sento i miei muscoli che si tendono sempre di più ed il respiro che diventa irregolare, quasi trattenuto. Quasi vicini, ormai praticamente sono in apnea; lui alza lo sguardo e mi vede, si avvicina ancora e quando siamo a non più di un metro mi guarda dritto negli occhi, apre la bocca dalla quale escono le fatidiche parole: “ciao Marco, come va? “. A questo punto sento la mia bocca che si sta aprendo e tra poco, penso, risponderò. Ma con uno sforzo di volontà non da poco e vincendo la forza dei muscoli delle mascelle richiudo la bocca e tiro dritto, accelerando anche un po’ il passo “del mondo mio - dentro la pelle - d’umoralità sorgente - padronanza ho perso - che di rivalità con essa - a tenzonar so’ andato - anche di fuori”. Ormai è alle mie spalle e sento nei suoi passi una certa indecisione che però lascia poco dopo il posto alla solita regolarità in allontanamento. Ma io, io ho vinto, è stata dura e c’è stato un momento in cui stavo per essere sconfitto ma ce l’ho fatta “a trasgredir sue attese - d’oblio - fuori di scena - orfano divego — ed anche il padrone”. È una soddisfazione quasi ubriacante; tanto più bella proprio perché sofferta e ad un certo punto quasi insperata “devastatrice volontà di cambiare”. Rivivo la scena mentalmente più e più volte ed ogni volta ne traggo sempre un gran piacere “di quanto ho fatto ed assistito - ad appuntar del mio volume - fa sedimento” “che a ritornar - d’evocazione accesa - di pilotar si va d’umori - persino ad arroganza”. All’incirca alla decima ripetizione cominciano ad affiorare alcuni particolari a cui non avevo fatto caso. Per esempio mentre mi avvicinavo a quel signore oltre all’irrigidimento dei muscoli e al respiro affannoso mi ricordo che l’archivio a molla in effetti era scattato e comunque aveva fatto emergere dal suo interno la scena che avrei vissuto se lo avessi lasciato fare: io che rispondevo al saluto dell’inquilino del primo piano. Man mano che mi avvicinavo a lui, quella scena io la vedevo come in una anteprima ripetuta più e più volte ed ogni volta cresceva la sensazione di trasgredire ad essa “dei sedimenti - che di memoria fan la sostanza - spessori su spessori - tempo per tempo - a ritrovar - d’evocazione so’ andato - e intorno a me - dentro la pelle mia d’adesso - a proiettar d’ambiente - di volta in volta - rendono scena”. Era come una precisa sequenza: scena in anteprima, lieve nausea, di nuovo scena in anteprima, di nuovo nausea in una convoluzione sempre più stretta tanto da non riuscire più a distinguere tra l’una e l’altra. Altro esperimento: adesso è sera e sono sul balcone di casa mia aspettando che dai castelli arrivi, come tutte le sere ad una certa ora, un po’ di frescura. Faccio sempre così nelle calde sere d’estate e già mi pregusto il senso di fresco sulla pelle che tra poco arriverà. Ecco un primo timido soffio poi un altro e poco dopo il leggero venticello è diventato stabile. Si sta proprio bene e, penso, per completare la scena adesso ci vorrebbe una bella sigaretta…. Ed è a questo punto che CLICK è scattato di nuovo lo schedario a molla: prima di un mio qualsiasi movimento sono di nuovo nell’anteprima e questa volta faccio caso ad un altro particolare “d’anticipar si tratta - che il corpo mio fatto di mente - scene soggetti e storie - ad incontrar d’ambiente - lampo mi veste”. Quello che a cui sto assistendo non è solo uno spettacolo visivo; io la sigaretta me la “sento” gia in mano, e poi in bocca con il calore del fumo che scende in gola… Insomma è tutto il mio corpo che fa da schermo per l’anteprima. È come assistere ad uno spettacolo a mio uso e consumo che però non viene dall’esterno ma dall’interno “la mente mia - d’anticipar la storia - m’elenca tutto il da fare - e a stare in essa - mi circonda”. Dopo un po’ però, continuando a rimanere fermo, sento nascere quella piccola nausea che mi aveva preso nel vialetto sotto casa “scena s’è immessa - che di spettacolar tutta sé stessa - d’uscir - rende negletto”. Più sto fermo e più la nausea cresce. Ma questa volta non ho intenzione di contrastare il mio padrone e quindi prendo una sigaretta e l’accendo. Subito dopo arriva un gran sollievo e sento tutto il mio corpo rilassarsi e rimanere fermo quasi appagato. Dunque è questo il modo in cui il nostro corpo ci fa prigionieri: una specie di pugno di ferro e guanto di velluto emozionale a seconda della nostra ubbidienza “di rimaner dentro i binari - che sono fatti d’angoscia - e tregua in mezzo”.
Mentre continuo a godermi la sigaretta ripenso a quello che è successo al mio interno e, questa volta noto, che è come mandare avanti e indietro una cassetta in un videoregistratore e decidere di volta in volta da quale punto del film riprendere la visione “di quel ch’avvenne al tempo - è ancora in piedi - che stesso filmato - d’adesso - a catturar le cose - monta la scena - e di commedia - rende i passaggi”. Oltretutto questo significa che l’archivio a molla adesso non sta scattando per l’effetto di uno stimolo esterno ma in qualche maniera, che ancora non conosco, attivato da me. E allora forza con la moviola!!! “che di reticolar la mente - scene s’accende - e intera storia - d’esser rivista - d’ologrammar mi passa” Dunque, io seduto in balcone, caldo afoso di una sera d’estate, io che aspetto il fresco che ancora non arriva, sensazione di sospeso in attesa di qualcosa che ancora non c’è,     e poi … un momento, a pensarci bene l’archivio a molla era già scattato qui. Mentre attendevo il vento, io già me lo pregustavo, cioè già me lo sentivo sulla pelle “schermo che inscena - il corpo mio - mi bagna”; ma subito dopo tornavo a far caso che non c’era ancora ed era in quel momento che nasceva quella sensazione di sospeso che avevo chiamato attesa. Era come se in quella specie di spettacolo virtuale che tutto il mio corpo stava mettendo in scena fossero presenti non una ma due rappresentazioni e l’emozione che seguiva fosse il risultato della loro compartecipazione “d’immaginar degl’andamenti - che a rimbalzar comando a scena che manca - di sentimento fatto - emerge il sapore”. Era successo così anche il giorno prima, quando avvicinandomi a quel signore sentivo l’ansia crescermi dentro. Anche allora erano contemporaneamente presenti nel mio cinema due storie contrapposte: quella suggerita dall’archivio, che prevedeva di rispondere al saluto, e quella nuova, che volevo realizzare, di non rispondere “che la presenza mia - diviene in esso - e a trapassar - posso o non posso - rinuncio o lotto”. Ed anche il quel caso era tutto il mio corpo che stava partecipando alla rappresentazione. Ricordo infatti la bocca che quasi impercettibilmente vibrava, i muscoli del collo tesi un pò più del normale, gli occhi che velocemente cercavano la figura di quel signore e poi tornavano a guardare il terreno. La nausea e l’ansia che avvertivo ad ogni passo in avanti era dunque il risultato del contrasto tra queste due scene interne vissute contemporaneamente “di tante storie - una alla volta - padrone e servo il soggetto”. Le scene erano virtuali ma l’effetto del loro contrasto era ben concreto tanto da spingermi ad agire in un senso o nell’altro pur di recuperare uno stato di tranquillità, che a questo punto suppongo sia niente altro che il non contrasto tra le due storie accese nel mio corpo……che di virtualità a confronto - pezzo per pezzo - a differenziar diverso - d’umori - dentro la pelle - fanno concerto”.    (continua)

 DENTRO L'UOMO

Sommario anno XIII numero 8 - agosto 2004