Tele
mattutina
(Davide Riccio) - Io sono stato bambino tra la fine degli
anni Sessanta e gli anni Settanta. In casa
avevamo
un solo televisore: era un monumentale pesantissimo teutonico Damaiter
bianco e nero sul classico carrello con le ruote e i due piani di vetro, e
aveva grandi valvole di vetro che dietro si illuminavano di luce rossa,
affascinanti, quasi inquietanti, da cambiare con attenzione quando si
bruciavano. Ci voleva un minuto perché quella televisione si accendesse,
e aveva due soli canali memorizzabili sullo stesso grande bottone a due
posizioni. Tanto, due canali soltanto esistevano: mamma Rai Uno e Due. In
seguito vennero canali “esotici”, ognuno dei quali richiedeva una
specifica antenna sul tetto: Montecarlo, Koper Capodistria e Svizzera. E
vennero anche le prime televisioni a colori, e certi accessori da comprare
per corrispondenza, come lo schermo a bande colorate per fare del tv
bianco e nero un deludente posticcio tv a colori fissi. Tipica
paccottiglia kitsch anni Settanta oggi oggetto di culto per i
collezionisti di modernariato.
E c’erano i programmi. Pochi. Più che sceglierli, ti sceglievano. Ma
andava bene così: non c’era nulla di negativo in questo, perché così
scoprivi cose che non avresti scelto potendo scegliere. Le trasmissioni
cominciavano nel pomeriggio inoltrato. Ma a noi bambini “d’epoca”
non era concesso di guardarla fino alle 19.20, salvo eccezioni educative
tra le 18 e le 18.30 (“Immagini dal mondo”, dove si vedevano gli
animali e i ragazzi di terre lontane, o “Avventura”, quello che
iniziava con le gloriose note di “A salty dog” dei Procol Harum).
Prima c’erano invece tassativi i compiti della scuola, i pomeriggi con
gli altri bambini a studiare e giocare (andavano molto le bilie, la
bicicletta da cross, i giochi con le figurine e il celo celo manca). Le
19.20 erano invece un appuntamento importante, attesissimo, riconosciutoci
dagli adulti e quindi concesso, anche condiviso in allegria. C’erano i
telefilm come La casa nella prateria, Nata libera, Orzowey, Wobinda,
Furia, Arsenio Lupin, Un amore in soffitta, George e Mildred, Mia mamma è
una Ford (si intitolava così?), Papermoon, Tre nipoti e un maggiordomo,
Spazio 1999 e avanti. La domenica si trasmetteva di più. E che
appuntamenti! Ufo, The Prisoner, Il Santo (Simon Templar), Attenti a quei
due, le comiche di Buster Keaton o di Stanlio e Ollio…
Tutti insieme in famiglia, ogni serata della settimana era invece scandito
da un rassicurante appuntamento fisso. Il film del lunedì, l’attualità
o lo sceneggiato del martedì o mercoledì (e che sceneggiati, che attori
e registi: A come Andromeda, l’Odissea - per presentare il quale si era
chiamato perfino Ungaretti -, Ritratto di donna velata, Belfagor, ESP, Il
segno del comando, L’amaro caso della baronessa di Carini, Gamma…!
Scusate, senza nulla togliere ai maestri di oggi: ma cos’è la odierna
fiction in confronto?). Il mercoledì trasmettevano anche i telefilm
(polizieschi per lo più, come Kojak, Baretta, Ironside, Charlie’s
Angels, Uno sceriffo a New York. Serpico, Starsky e Hutch, Le strade di
San Francisco e avanti). Il giovedì era tempo di cartoni animati, come
quelli di Supergulp, dove si vedevano cose come i Fantastici Quattro,
Spider Man e il gruppo T.N.T.. O di serie come Sandokan. E dei quiz. In
estate invece dei mitici “Giochi senza frontiera”. I varietà erano
tutti rigorosamente trasmessi il sabato sera. E tra bambini nessuno si
immaginava potesse esistere una televisione 24 ore su 24, e neanche ci si
poneva il problema. Dopo la cosiddetta prima serata, a mezzanotte eravamo
già a letto da un pezzo, e in ogni caso anche la televisione chiudeva i
suoi programmi. Solo un monoscopio e poi l’effetto neve di cui talvolta
oggi sento perfino una mancanza e una nostalgia quasi “zen”. Al
mattino non c’era nulla. O quasi. C’erano soltanto prove di
trasmissione a colori: tre o quattro filmati di vita quotidiana: un
rappresentante di stoffe nella bella casa moderna di tre belle signore,
una visita al giardino zoologico romano… Tutto senza audio, soltanto le
ouvertures di Rossini. Qualche volte le guardavo di nascosto, quando
rimanevo a casa da solo. Perché era strano guardare la tv al mattino.
Fino allora avevo pensato non potesse esistere una cosa del genere. Ed era
altresì strano guardare quella cosa in particolare ripetersi ogni volta
uguale, come davanti al naufrago sull’isola dell’invenzione di Morel.
La televisione era insomma un affascinante, misurato affacciarsi domestico
a una finestra di misteri da grandi. Guardarla da soli o senza permesso e
vaglio genitoriale era impensabile. Accenderla quando si rimaneva un po’
da soli, semmai una trasgressione eccitante.
A cambiare le cose arrivarono le televisioni private (allora si chiamavano
libere). Bisognava smanettare il pomello della sintonia della quinta
banda, e togliere temporaneamente i due canali fissi della Rai, tutto di
nascosto, perché i genitori erano convinti che questa fosse una insana
pratica di rottura precoce del prezioso televisore. Erano trasmissioni però
decisamente poco interessanti, sovente “casalinghe”: qualche film
vietato ai 14, qualche sexy-varietà ma soprattutto i primi clip musicali
pop e rock. Il segnale era disturbato, attraversato da miriadi di puntini
e tribolato da un ancor più fastidioso audio frusciante. Poi bisognava
stare accorti e a portata di televisore perché non esisteva il
telecomando. All’arrivo imprevisto del genitore non si riusciva a
rimettere il primo o il secondo, bisognava spegnere, poi aspettare il
momento giusto, riaccendere prima di sera e non visti rimettere il canale
giusto al posto giusto. Furono comunque le tv libere a rendere finalmente
concepibile l’inconcepito fino allora: la programmazione non stop e una
sempre più ampia possibilità di scelta di canali e programmi.
Coincidendo con la sempre inquieta adolescenza, ci parve la giusta novità,
praticamente una rivoluzione, uno dei tanti segnali apparenti che
l’infanzia con le sue limitazioni dettate dagli adulti finiva anche così.
Il resto è un’altra storia: miriadi di canali, parabole satellitari e
televisioni da tutto il mondo, trasmissioni incessanti, tv via cavo e
decoder, canali tematici e televisione interattiva, televideo e auditel,
il dibattito infinito sulla televisione, fa bene, fa male…? Il glossario
della televisione si è enormemente ingrossato, arricchito da parole e
“format” come fiction e real tv, serials e soap opera, videoclip e
film-tv, telenovelas e talk-show, televendita e magazine, velina e
letterina, spot e zapping. Nessuno sembra poter più vivere un solo giorno
senza televisione e tutti vogliono comparirvi, almeno per quindici minuti
di gloria nella vita. Andy Warhol docet. E cosa c’è di più pop della televisione? Quel
che non appare in televisione, è come se non esistesse. Esiste il poeta
che va al talk-show, non quello che pubblica il suo libro rimanendo nella
sua “torre d’avorio”. E’ comunque più famoso l’uomo gatto che
va da Papi del più grande poeta italiano Mario Luzi; anzi, per molti uno
esiste, l’altro no. La televisione è cambiata e sono cambiate le
abitudini degli italiani. Un tempo era evento domestico, momento di
raccoglimento silenzioso e di concentrazione (tra coetanei, i programmi più
sopra citati li ricordiamo ancora tutti uno per uno con precisione, e con
entusiasmo nostalgico ce ne ricordiamo i titoli e le puntate e, come
dimostrato, i giorni della settimana e l’ora in cui venivano trasmessi).
Oggi non è peggio e non è meglio. E’ solo diverso. Spero soltanto che
la televisione, come già è stato per noi, possa essere un giorno
ricordata dalle nuove generazioni con la stessa forma di non indifferenza,
in un modo invece frammentato, sovraccarico e vago, e che qualcosa di
buono sempre colpisca oggi per rimanere domani nella memoria. E che perciò,
qualunque sia l’ora di visione, la televisione non si riduca a mera
finestra d’ambiente, sempre accesa compagna di sottofondo, trionfo delle
teorie pur eccellenti di arte ambientale alla Satie o alla Brian Eno:
l’indefinito disimpegno del consumo incalzante e caleidoscopico-onnivoro
di cui fruire contemporaneamente ad altre attività: lavorando, cucinando,
mangiando, pulendo casa, parlando, telefonando e quant’altro. O forse è
proprio ciò che la televisione e ogni altro semplice oggetto merita,
perché parafrasando Brian Eno, il vero spettacolo è quello che accade
alle persone, dentro o fuori di loro, mentre la radio o la televisione
sono accese e mentre ogni altra cosa esiste. |