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Sommario anno XIII numero 9 - settembre 2004

 ARTE

L’arte della gioia di Goliarda Sapienza
Stampa Alternativa , 616 pag. a cura di A.M. Pellegrino
(Federico Scrimaglio) - Goliarda Sapienza morì a Gaeta dove amava stare a lungo sulla spiaggia a guardare il mare. Ne aveva passate tante: dal successo come attrice negli anni ’40 all’abbandono della carriera per un’intensa attività di scrittura; vicende giudiziarie che l’avevano portata in carcere a Rebibbia - dove è nato il libro “L’Università di Rebibbia” - e verso la fine della sua vita l’insegnamento al Centro Sperimentale di Cinematografia. Veniva dalla Sicilia e nella sua scrittura si avverte il ritmo fluente del mare che s’increspa e si acquieta. Una scrittura diretta, corporale perché vibra di tutte le impressioni di quella intelligenza dei sensi fisici pronta a cogliere ogni sfumatura, ogni trasformazione lì dentro nel nostro compagno di lungo corso, il corpo. E quindi può parlare della sessualità, dell’amore fisico in modo libero, diretto, arioso, profondo mai volgare o gratuito. Colpisce subito nelle prime pagine la netta presenza della fisicità dell’amore, della sua bellezza e necessità. Questa capacità non di descrivere ma di entrare nell’intimo di una situazione erotica svelandone ogni piega nascosta: la dolcezza, i trasalimenti e gli abbandoni. La copertina di questo libro scritto nell’arco di nove anni - dal 1967 al 1976, anni densi, tormentati, felici - è di un arancio che quasi sconcerta se non fosse per quella maschera etrusca che fa la linguaccia a mò di sfida: “E adesso, se ti va, prova a leggermi!”. Sul retro c’è lei, Goliarda, che fuma una sigaretta stesa su un’amaca e quel suo sguardo mite, con gli occhi sofferti e comprensivi, sembra di ritrovarlo nelle pagine del libro. Cos’è l’arte della gioia, misteriosa eppure chiara protagonista dell’opera, che s’incarna nella vita del personaggio principale, Modesta?
Ragazzina che conosce precocemente la felicità e il dolore, cresciuta in un monastero di suore, poi in una nobile dimora retta da una poderosa e anziana signora, la principessa Gaia, sua avversaria e maestra di vita; Modesta crescerà, saprà cavarsela e vivere intensamente ogni esperienza portando il suo pensiero a quella volontà lucida di essere felice perché pienamente autrice di se stessa, in grado di non soccombere ai pregiudizi, a quello che una donna deve fare o essere. La storia, quella a lettere maiuscole che percorre la prima metà del secolo scorso, rivive nel libro attraverso le sue sensazioni, non irrompe mai come protagonista, emerge solo dallo sfondo. Gli occhi del libro sono quelli di Modesta che racconta la sua vicenda ma anche quelli di una narratrice che si confonde con lei, così che i passaggi dalla prima alla terza persona sono fludi, senza alcuno stacco. Il tempo scorre e a volte salta in modo netto da un capitolo all’altro ma più che una cesura, un taglio deciso è un tempo interiore ritmato dalla volontà di Modesta di comprendere tutto quello che le accade intorno e non farsene dominare. Sono ore, minuti, giorni, anni di chi è autore della propria storia. Modesta, diventata principessa, darà vita a una comunità di figli naturali e acquisiti, amici che si perdono e si ritrovano, dove i personaggi crescono secondo la necessità del loro percorso interiore, senza vincoli od obblighi di sorta. Un luogo segnato dai ritmi delle stagioni, dalla presenza del mare, dalla vita scandalosa per occhi estranei che vi si svolge dentro. Un libro cinematografico perché fatto d’immagini che restano impresse per la loro vivacità e per una ricchezza nella capacità di descriverle e farle vedere allo sguardo interiore sicuramente originale. Una gioia, quella che attraversa la vita di Modesta e dei suoi compagni, cercata, odiata, allontanata, desiderata. Una gioia che coincide con la lucidità del pensiero e del dubbio che Modesta coltiva come sola possibilità di essere indipendente dalla pastoie del conformismo.
Goliarda Sapienza scriveva di mattina con delle penne bic su dei piccoli quaderni che le ricordavano quelli della sua infanzia. Finito di scrivere scendeva le scale e talvolta piangeva. Lacrime di gioia per quel tempo rubato anche alla felicità, come amava definire la scrittura. Eppure quanto di guadagnato alla fine!
Quella gioia che nasce dalla necessità, dalla bellezza di portare a termine qualcosa che spinge a tutti i costi per vivere.

 ARTE

Sommario anno XIII numero 9 - settembre 2004