“L’année
dernière à Mariembad”, di Alain Resnais
(Caterina
Rosolino) -
L’arte coprotagonista. L’imperfezione come idea di
perfezione?
Ho
avuto la sensazione, guardando il film di Alain Resnais, che le tecniche
cinematografiche, che regolarmente precedono la resa finale di un film, ne
“L’année dernière à Mariembad” non facessero da semplice
impalcatura all’immagine ma fossero incluse nelle scene stesse. Ad
esempio all’inizio del film, in seguito alla rappresentazione teatrale,
si vede il pubblico chiacchierare, improvvisamente rimanere immobile e poi
di nuovo chiacchierare ad intervalli frequenti, come se qualcuno da dietro
la telecamera stesse esaminando la scena e la bloccasse ripetutamente.
Oppure ci sono varie scene in cui X si rivolge ad A, accennandole la
posizione in cui la vede o la vedrebbe. Alcune volte l’attrice obbedisce
alle sue indicazioni e assume la posa dettatale (scena davanti la
balaustra), altre invece sembra non ascoltarlo e comportarsi in modo
diverso da quanto X le suggerisce di fare (scena in camera, A rasenta il
muro, X le dice di andare invece verso il letto). Questi episodi
potrebbero essere paragonati, a mio parere, a delle prove di messa in
scena. Un’altra spia di ciò potrebbe essere il continuo cambiarsi
d’abito di A che durante le prove d’un film si suppone sia più
frequente perché funzionale alla scelta di quale sia il più adatto. Si
potrebbe anche richiamare l’attenzione sulle battute che si scambiano
gli anonimi ospiti dell’albergo. Queste potrebbero far pensare
all’esercizio che fanno gli attori per tenere a memoria una parte, o
alla comodità di ripetere sempre le stesse frasi se devono servire solo
da bisbigli di sottofondo ai dialoghi principali. Inoltre i fotogrammi non
vengono ordinati in una successione logica, ma è come se rimanessero alla
fase preparatoria del film.
Tuttavia è proprio per questa somiglianza con un’opera in fieri, non
completata, che paradossalmente il film è più vicino alla realtà. Perché
appunto nella vita ci sono punti morti, giorni in un cui non accade nulla,
c’è confusione e non ordine, c’è imperfezione…così Robbe-Grillet
sembra voler fare proprio dell’imperfezione la sua idea di perfezione,
la sua forma d’arte.
La critica al cinema tradizionale. Il labirinto della lettura.
Questo modo di fare cinema è, in modo evidente, anche una critica verso i
metodi utilizzati dal cinema tradizionale e soprattutto verso i fruitori
passivi di questo tipo di cinema. Infatti, nella maggior parte dei casi,
il pubblico non deve compiere grandi sforzi per la comprensione del film,
non deve interpretare perché quel che si vuol dire è subito “cotto e
pronto”, non deve far altro che lasciarsi condurre e seguire un percorso
stabilito dal regista per giungere ad una meta precisa. Ciò che invece
interessa a Robbe-Grillet, non è scegliere la strada che porti ad un
punto d’arrivo, ma farci perdere per strada in modo che siamo noi
costretti a cercarne una tra le molte possibili per “uscire”, che non
vuol dire giungere ad una conclusione…La fine non è infatti la
soluzione di un intreccio, ma una fuga possibile, un varco, un’uscita.
Come quando usciamo da un labirinto non abbiamo in mente quello che
abbiamo fatto per ritrovarci finalmente fuori, né sappiamo quale sia la
logica con cui il labirinto è stato progettato, così l’uscita dal film
non è il risultato ovvio di un calcolo cosciente, di cui si sanno le
regole, ma è piuttosto una “salvezza”. Questa salvezza consisterebbe
in un’intuizione che abbiamo avuto dopo la visione del film e che ce lo
fa leggere in un certo modo. Ma l’intuizione (che ci fa sentire un libro
letto, un labirinto superato) è illusoria: la gioia è sempre passeggera.
Infatti se dovessimo essere di nuovo vittime di quel labirinto, ci
perderemo ancora e soprattutto non lo vedremo con gli stessi occhi,
percorreremo altre strade (questa è stata la mia esperienza dopo aver
rivisto il film). La critica mossa ancora al cinema “facile” quindi,
sotto quest’ultimo aspetto, è che si legge una sola volta. Perché una
volta che lo si è visto un film di quel genere non c’è nient’altro
da scoprire, al massimo lo si rivede per riprovare le stesse sensazioni se
ci è piaciuto. “L’année dernière à Mariembad” ci dice quale è
il vero ed unico modo di leggere (che vale non solo per il “nouveau
roman” o le “nouveau cinema”), cioè rileggere e rileggere e
rileggere.
L’atemporalità del ricordo, il ‘mélange’ del presente col passato.
Il rapporto: i personaggi come proiezioni delle nostre paure e desideri,
come fantasmi. Lettere allo specchio. Mariembad…
Il processo di frammentazione della storia oltre a far pensare alla fase
preparatoria d’un film, è legato al tema del ricordo.
Così dice il noto scrittore contemporaneo Milan Kundera ne
“L’ignoranza”: “Il passato di cui ci ricordiamo è senza tempo.
Impossibile rivivere un amore come rileggiamo un libro o rivediamo un
film”. Per spiegare questa frase il personaggio del libro
“L’ignoranza” evoca un ricordo: l’immagine evocata si delinea
davanti ai nostri occhi, ma è priva di movimento, sta immobile davanti a
noi e al personaggio che decide di non resuscitare più il passato
immobile, morto. Così pure ne “L’année dernière a Mariembad” la
nozione di tempo perde valore, non esiste un tempo che ordina le scene in
maniera logica. Inoltre non sono solo i ricordi a procedere ad un ritmo
sincopato, non seguendo un iter regolare, perché anche il presente è
incoerente e s’intreccia con il passato fino a confondersi. Questo “mélange”
è veritiero perché 1) Il passato che si rievoca non è mai ciò che è
stato veramente, si perdono particolari, spesso ci si dimentica di ciò
che è accaduto prima e ciò che è accaduto dopo, dunque il passato è
manipolato dal presente. 2) È il presente a indurci certi ricordi così
come nel film è attraverso il presente che X pensa al passato (dunque il
passato non potrebbe vivere senza il presente). 3) Ciò che è presente
muore e diviene passato nel momento in cui si parla del passato, ciò che
è passato diviene presente nel momento in cui se ne parla, nel senso che
rispecchia i sentimenti presenti di colui che racconta il passato. Il
racconto reinventa il passato, il passato così reinventato è nuovo e per
questo presente.
Vorrei brevemente soffermarmi su questo ultimo punto. Il passato
reiventato dunque non svela le esperienze in sé, ma indica il rapporto
che in quel momento abbiamo con le esperienze del passato, quindi le
nostre paure, i nostri desideri, le attese che sono vive anche se la
“materia” che le suscita è morta. Il tema del legame, del rapporto,
secondo me, è un altro tema importante nel film “L’année dernière a
Mariembad”. Lo si può dedurre dall’importanza che nel film viene data
a questi lunghi corridoi “senza fine” come dice X, e alle scale, alle
porte…In questi luoghi di raccordo, di passaggio, non ci si ferma. Così
le nostre paure, i nostri desideri non si fermano, non cessano quando un
rapporto finisce. Continuano anche dopo che l’oggetto del desiderio o
della paura scompare, e possono fare eco in altri rapporti. Per questo oso
pensare che M non sia un personaggio reale (come X dice nel film ad A:
“la sua immagine rischia di apparire proprio qui dove l’avete pensata
con troppa intensità” e ancora nella camera di lei: “avete paura del
suo ritorno”) ma sia la paura di A personificata, (la paura di fuggire,
della vita vera); e forse neanche A è reale ma è il desiderio incarnato
di X (più volte X dice ad A che è come morta). Dunque A e M sarebbero i
fantasmi di paure e desideri del tutto somiglianti ai nostri. La stessa
parola “fantasma” significa “vedere attraverso”. Quindi attraverso
la realtà visibile, prendono corpo tormenti invisibili. Ma c’è un
altro motivo che ci fa pensare che forse A e M siano proiezioni di paure e
desideri comuni a tutti.
Specchiando le lettere A, M, X ci accorgiamo di un fatto curioso, ogni
lettera può dar luogo alle altre due: A vista allo specchio dall’alto dà
luogo ad una X, lateralmente ad una M; la X contiene già al suo interno
la lettera A e vista allo specchio dall’alto o dal basso dà luogo a una
M; la M contiene al suo interno una A e vista allo specchio dal basso dà
luogo ad una X . Dunque la A non conterebbe al suo interno niente ma solo
dalla “moltiplicazione” di sé attraverso lo specchio dà luogo agli
altri due personaggi. E questo è vero anche nel film! Spesso si sente
dire da X che A è vuota, è come una statua (in una scena in cui lei si
trova nel giardino, delle statue c’è solo il piedistallo, è lei in
quel momento la statua del giardino), con lo sguardo perso nel vuoto, come
morta. E, in effetti, vediamo che non è in grado di provare passione per
niente, è come indifferente, e anche al momento della scelta su cosa fare
non è veramente lei a decidere ma gli eventi, è indecisa tanto da
proporre ad X un altro rinvio…è come vuota, ma allora…se il suo
rapporto con M e con X non è consacrato da sentimenti, cosa lo consente?
A è in rapporto con loro, solo in quanto si specchia in loro (come nel
gioco delle lettere); la sua immagine moltiplicata negli occhi dei suoi
pretendenti è ciò che la tiene legata ad essi: ammaliata, come stregata
dalla sua stessa immagine e bellezza è contenuta nelle lettere X e M, ne
è imprigionata. Forse A è la figura della persona narcisista (il cambio
dei vestiti assumerebbe secondo questa lettura un altro significato). Ma
se lo specchio è una trappola allora anche X è prigioniero, nel suo caso
di M, e viceversa M è prigioniero di X. Dunque non vi sarebbe un vero
vincitore tra i due…perché se è vero che nel finale vediamo X e A
insieme e siamo rassicurati dalle parole che lo saranno “per sempre”
non li vediamo comunque uscire da quell’albergo. Così quel “per
sempre” potrebbe anche indicare che rimarranno imprigionati a Mariembad
per sempre! E se per M s’intendesse proprio Mariembad?
Mariembad, un luogo ipotetico che ostacola l’ipotetico amore di X e
A…o forse è meglio dire un tempo ipotetico? Il tempo come ostacolo,
come Medium che s’interpone tra A e X (vedi la sua posizione in mezzo
all’alfabeto, che separa A da X). Un tempo in cui due persone
s’incontrano e in quel determinato momento non possono manifestare il
loro amore, ma qual’è questo momento? C’è un momento della propria
vita in cui non si correrebbe il rischio d’innamorarsi? Nel film X dice
ad A che le offre l’opportunità di vivere ed A risponde che non gli
interessa forse un’altra vita, X allora prorompe: “non si tratta di
un’altra vita, ma della tua vita!”. Il tempo ipotetico è dunque la
vita. Se così fosse Mariembad è uguale alla morte… infatti se nella
vita non si corre il rischio d’amare la vita è la morte. Allora la
metafora con il labirinto sarebbe legittima, in quanto il labirinto
anticamente non era altro che una spirale in cui si danzava nel momento
della morte di qualcuno. |