Notizie in... Controluce Notizie in... Controluce
 Versione digitale del mensile di cultura e attualità dei Castelli Romani e Prenestini

sei il visitatore n.

 

home | indice giornali | estratti | info | agenda | cont@tti | cerca nel sito | pubblicità

 

Sommario anno XIII numero 9 - settembre 2004

 CINEMA

“L’année dernière à Mariembad”, di Alain Resnais
(Caterina Rosolino) - 
L’arte coprotagonista. L’imperfezione come idea di perfezione?
Ho avuto la sensazione, guardando il film di Alain Resnais, che le tecniche cinematografiche, che regolarmente precedono la resa finale di un film, ne “L’année dernière à Mariembad” non facessero da semplice impalcatura all’immagine ma fossero incluse nelle scene stesse. Ad esempio all’inizio del film, in seguito alla rappresentazione teatrale, si vede il pubblico chiacchierare, improvvisamente rimanere immobile e poi di nuovo chiacchierare ad intervalli frequenti, come se qualcuno da dietro la telecamera stesse esaminando la scena e la bloccasse ripetutamente. Oppure ci sono varie scene in cui X si rivolge ad A, accennandole la posizione in cui la vede o la vedrebbe. Alcune volte l’attrice obbedisce alle sue indicazioni e assume la posa dettatale (scena davanti la balaustra), altre invece sembra non ascoltarlo e comportarsi in modo diverso da quanto X le suggerisce di fare (scena in camera, A rasenta il muro, X le dice di andare invece verso il letto). Questi episodi potrebbero essere paragonati, a mio parere, a delle prove di messa in scena. Un’altra spia di ciò potrebbe essere il continuo cambiarsi d’abito di A che durante le prove d’un film si suppone sia più frequente perché funzionale alla scelta di quale sia il più adatto. Si potrebbe anche richiamare l’attenzione sulle battute che si scambiano gli anonimi ospiti dell’albergo. Queste potrebbero far pensare all’esercizio che fanno gli attori per tenere a memoria una parte, o alla comodità di ripetere sempre le stesse frasi se devono servire solo da bisbigli di sottofondo ai dialoghi principali. Inoltre i fotogrammi non vengono ordinati in una successione logica, ma è come se rimanessero alla fase preparatoria del film.
Tuttavia è proprio per questa somiglianza con un’opera in fieri, non completata, che paradossalmente il film è più vicino alla realtà. Perché appunto nella vita ci sono punti morti, giorni in un cui non accade nulla, c’è confusione e non ordine, c’è imperfezione…così Robbe-Grillet sembra voler fare proprio dell’imperfezione la sua idea di perfezione, la sua forma d’arte.
La critica al cinema tradizionale. Il labirinto della lettura.
Questo modo di fare cinema è, in modo evidente, anche una critica verso i metodi utilizzati dal cinema tradizionale e soprattutto verso i fruitori passivi di questo tipo di cinema. Infatti, nella maggior parte dei casi, il pubblico non deve compiere grandi sforzi per la comprensione del film, non deve interpretare perché quel che si vuol dire è subito “cotto e pronto”, non deve far altro che lasciarsi condurre e seguire un percorso stabilito dal regista per giungere ad una meta precisa. Ciò che invece interessa a Robbe-Grillet, non è scegliere la strada che porti ad un punto d’arrivo, ma farci perdere per strada in modo che siamo noi costretti a cercarne una tra le molte possibili per “uscire”, che non vuol dire giungere ad una conclusione…La fine non è infatti la soluzione di un intreccio, ma una fuga possibile, un varco, un’uscita. Come quando usciamo da un labirinto non abbiamo in mente quello che abbiamo fatto per ritrovarci finalmente fuori, né sappiamo quale sia la logica con cui il labirinto è stato progettato, così l’uscita dal film non è il risultato ovvio di un calcolo cosciente, di cui si sanno le regole, ma è piuttosto una “salvezza”. Questa salvezza consisterebbe in un’intuizione che abbiamo avuto dopo la visione del film e che ce lo fa leggere in un certo modo. Ma l’intuizione (che ci fa sentire un libro letto, un labirinto superato) è illusoria: la gioia è sempre passeggera. Infatti se dovessimo essere di nuovo vittime di quel labirinto, ci perderemo ancora e soprattutto non lo vedremo con gli stessi occhi, percorreremo altre strade (questa è stata la mia esperienza dopo aver rivisto il film). La critica mossa ancora al cinema “facile” quindi, sotto quest’ultimo aspetto, è che si legge una sola volta. Perché una volta che lo si è visto un film di quel genere non c’è nient’altro da scoprire, al massimo lo si rivede per riprovare le stesse sensazioni se ci è piaciuto. “L’année dernière à Mariembad” ci dice quale è il vero ed unico modo di leggere (che vale non solo per il “nouveau roman” o le “nouveau cinema”), cioè rileggere e rileggere e rileggere.
L’atemporalità del ricordo, il ‘mélange’ del presente col passato. Il rapporto: i personaggi come proiezioni delle nostre paure e desideri, come fantasmi. Lettere allo specchio. Mariembad…
Il processo di frammentazione della storia oltre a far pensare alla fase preparatoria d’un film, è legato al tema del ricordo.
Così dice il noto scrittore contemporaneo Milan Kundera ne “L’ignoranza”: “Il passato di cui ci ricordiamo è senza tempo. Impossibile rivivere un amore come rileggiamo un libro o rivediamo un film”. Per spiegare questa frase il personaggio del libro “L’ignoranza” evoca un ricordo: l’immagine evocata si delinea davanti ai nostri occhi, ma è priva di movimento, sta immobile davanti a noi e al personaggio che decide di non resuscitare più il passato immobile, morto. Così pure ne “L’année dernière a Mariembad” la nozione di tempo perde valore, non esiste un tempo che ordina le scene in maniera logica. Inoltre non sono solo i ricordi a procedere ad un ritmo sincopato, non seguendo un iter regolare, perché anche il presente è incoerente e s’intreccia con il passato fino a confondersi. Questo “mélange” è veritiero perché 1) Il passato che si rievoca non è mai ciò che è stato veramente, si perdono particolari, spesso ci si dimentica di ciò che è accaduto prima e ciò che è accaduto dopo, dunque il passato è manipolato dal presente. 2) È il presente a indurci certi ricordi così come nel film è attraverso il presente che X pensa al passato (dunque il passato non potrebbe vivere senza il presente). 3) Ciò che è presente muore e diviene passato nel momento in cui si parla del passato, ciò che è passato diviene presente nel momento in cui se ne parla, nel senso che rispecchia i sentimenti presenti di colui che racconta il passato. Il racconto reinventa il passato, il passato così reinventato è nuovo e per questo presente.
Vorrei brevemente soffermarmi su questo ultimo punto. Il passato reiventato dunque non svela le esperienze in sé, ma indica il rapporto che in quel momento abbiamo con le esperienze del passato, quindi le nostre paure, i nostri desideri, le attese che sono vive anche se la “materia” che le suscita è morta. Il tema del legame, del rapporto, secondo me, è un altro tema importante nel film “L’année dernière a Mariembad”. Lo si può dedurre dall’importanza che nel film viene data a questi lunghi corridoi “senza fine” come dice X, e alle scale, alle porte…In questi luoghi di raccordo, di passaggio, non ci si ferma. Così le nostre paure, i nostri desideri non si fermano, non cessano quando un rapporto finisce. Continuano anche dopo che l’oggetto del desiderio o della paura scompare, e possono fare eco in altri rapporti. Per questo oso pensare che M non sia un personaggio reale (come X dice nel film ad A: “la sua immagine rischia di apparire proprio qui dove l’avete pensata con troppa intensità” e ancora nella camera di lei: “avete paura del suo ritorno”) ma sia la paura di A personificata, (la paura di fuggire, della vita vera); e forse neanche A è reale ma è il desiderio incarnato di X (più volte X dice ad A che è come morta). Dunque A e M sarebbero i fantasmi di paure e desideri del tutto somiglianti ai nostri. La stessa parola “fantasma” significa “vedere attraverso”. Quindi attraverso la realtà visibile, prendono corpo tormenti invisibili. Ma c’è un altro motivo che ci fa pensare che forse A e M siano proiezioni di paure e desideri comuni a tutti.
Specchiando le lettere A, M, X ci accorgiamo di un fatto curioso, ogni lettera può dar luogo alle altre due: A vista allo specchio dall’alto dà luogo ad una X, lateralmente ad una M; la X contiene già al suo interno la lettera A e vista allo specchio dall’alto o dal basso dà luogo a una M; la M contiene al suo interno una A e vista allo specchio dal basso dà luogo ad una X . Dunque la A non conterebbe al suo interno niente ma solo dalla “moltiplicazione” di sé attraverso lo specchio dà luogo agli altri due personaggi. E questo è vero anche nel film! Spesso si sente dire da X che A è vuota, è come una statua (in una scena in cui lei si trova nel giardino, delle statue c’è solo il piedistallo, è lei in quel momento la statua del giardino), con lo sguardo perso nel vuoto, come morta. E, in effetti, vediamo che non è in grado di provare passione per niente, è come indifferente, e anche al momento della scelta su cosa fare non è veramente lei a decidere ma gli eventi, è indecisa tanto da proporre ad X un altro rinvio…è come vuota, ma allora…se il suo rapporto con M e con X non è consacrato da sentimenti, cosa lo consente? A è in rapporto con loro, solo in quanto si specchia in loro (come nel gioco delle lettere); la sua immagine moltiplicata negli occhi dei suoi pretendenti è ciò che la tiene legata ad essi: ammaliata, come stregata dalla sua stessa immagine e bellezza è contenuta nelle lettere X e M, ne è imprigionata. Forse A è la figura della persona narcisista (il cambio dei vestiti assumerebbe secondo questa lettura un altro significato). Ma se lo specchio è una trappola allora anche X è prigioniero, nel suo caso di M, e viceversa M è prigioniero di X. Dunque non vi sarebbe un vero vincitore tra i due…perché se è vero che nel finale vediamo X e A insieme e siamo rassicurati dalle parole che lo saranno “per sempre” non li vediamo comunque uscire da quell’albergo. Così quel “per sempre” potrebbe anche indicare che rimarranno imprigionati a Mariembad per sempre! E se per M s’intendesse proprio Mariembad?
Mariembad, un luogo ipotetico che ostacola l’ipotetico amore di X e A…o forse è meglio dire un tempo ipotetico? Il tempo come ostacolo, come Medium che s’interpone tra A e X (vedi la sua posizione in mezzo all’alfabeto, che separa A da X). Un tempo in cui due persone s’incontrano e in quel determinato momento non possono manifestare il loro amore, ma qual’è questo momento? C’è un momento della propria vita in cui non si correrebbe il rischio d’innamorarsi? Nel film X dice ad A che le offre l’opportunità di vivere ed A risponde che non gli interessa forse un’altra vita, X allora prorompe: “non si tratta di un’altra vita, ma della tua vita!”. Il tempo ipotetico è dunque la vita. Se così fosse Mariembad è uguale alla morte… infatti se nella vita non si corre il rischio d’amare la vita è la morte. Allora la metafora con il labirinto sarebbe legittima, in quanto il labirinto anticamente non era altro che una spirale in cui si danzava nel momento della morte di qualcuno.

 CINEMA

Sommario anno XIII numero 9 - settembre 2004