Yujko
e la luna
(Vilma Viora) - Yujko aveva la pelle bianca ed era casta
come la luna.
La luce del giorno sbiadiva l’incarnato sensibile.
Aveva paura Yujko, paura di invecchiare senza amore, senza assegnare un
compito finale alla sua vita.
La luna aveva osservato, indifferentemente, in tutti quegli anni lo
svolgersi delle stagioni e dei suoi affanni.
Ogni notte diversa.
Ne ricordava una di dicembre grande come il sentimento che le nasceva
dentro, dopo i baci dolcissimi e delicati dell’uomo.
Era come Ciaula di Verga quella sera davanti allo splendore senza fine
bello di lui e della luce.
Aveva amato una luna d’agosto tenebrosa sul mare, le nubi la velavano
sovrapponendosi, vedova sconsolata.
E poi i falcetti orientali di febbraio su cieli incipriati e
settecenteschi.
L’aveva amata di puro arancione mentre saliva sulla Manica blu
d’inchiostro e Londra non era “que un faubourg de Bruges, perdu en mer,
perdu en mer…”
Tutte le notti prima di chiudere la finestra guardava il cielo e talora la
vedeva nei boschi ammaccata e sfigurata in forme poco ortodosse.
La luna di Urbino che roteava nella follia d’estate.
La luna di Montaldo che incendiava il cortile e lei piccola già bruciava
di passione per quel paesaggio, con il fienile in fondo che prendeva
fuoco, nel blu.
Madre e sorella, luce interiore, purezza, e non era fredda scaldava il
cuore.
Luce dei miei occhi…
Aveva cercato il futuro in quel disco di luce, la interrogava la notte
come astrologo.
Non riceveva risposta, adagiata sui tetti, nascosta dagli alberi,
sbandierata sul fiume, ammiccava e taceva.
A volte amava competere, in bellezza, con la luce del sole, intiepidita
dal freddo di gennaio si rincantucciava in un angolo ad attendere
l’aurora.
Yujko le affidava i sogni, con la speranza di ascoltare il respiro
dell’anima di lui, così vicina e allo stesso tempo inarrivabile.
Luna, o luna, bianca colomba, disco d’argento, vita nuova, lembo di
pelle, ruota di luce, spicchio dorato, fata del cielo, viso di donna,
spalla nuda, specchio degli angeli, piuma leggera, lama sottile.
Sul mare scintillava nelle notti senza tempo al ritmo della risacca.
Nel rosa dell’aurora si dilatava, si espandeva come un corpo d’amore.
Alla luna, il significato dell’ombra appena intaccata di splendore.
Alla luna estimatrice di sogni e chimere, i pellerossa dopo il sogno anche
il più incredibile attendevano che divenisse realtà, lo aspettavano
anche tutta la vita.
Yujko aspettava, aspettava con ansia sotto al ciliegio dai fiori di luna,
aspettava il suo sguardo dolce e triste, il suo sentimento di uomo vero e
sincero.
Affidava alla candida dea la forza dell’affetto, quando piange e quando
ride.
Sui tetti della città, neri, in assenza di lei, camminavano strani
animali leggeri e felpati, più felini dei gatti e istintivi, felici
abitanti delle notti stellate, messaggeri in un soffio all’orecchio di
segreti delicati, intimi e nuovi.
Yujko dormiva il sonno di donna matura, un nocciolo d’infanzia dentro,
il cuore rosso pulsava sognava l’erba, i fili d’erba e il capitano che
tornava, l’ambito premio era vinto.
Era vivo il capitano era dentro di lei. |