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Sommario anno XIII numero 9 - settembre 2004

 IL RACCONTO

Yujko e la luna
(Vilma Viora) - Yujko aveva la pelle bianca ed era casta come la luna.
La luce del giorno sbiadiva l’incarnato sensibile.
Aveva paura Yujko, paura di invecchiare senza amore, senza assegnare un compito finale alla sua vita.
La luna aveva osservato, indifferentemente, in tutti quegli anni lo svolgersi delle stagioni e dei suoi affanni.
Ogni notte diversa.
Ne ricordava una di dicembre grande come il sentimento che le nasceva dentro, dopo i baci dolcissimi e delicati dell’uomo.
Era come Ciaula di Verga quella sera davanti allo splendore senza fine bello di lui e della luce.
Aveva amato una luna d’agosto tenebrosa sul mare, le nubi la velavano sovrapponendosi, vedova sconsolata.
E poi i falcetti orientali di febbraio su cieli incipriati e settecenteschi.
L’aveva amata di puro arancione mentre saliva sulla Manica blu d’inchiostro e Londra non era “que un faubourg de Bruges, perdu en mer, perdu en mer…”
Tutte le notti prima di chiudere la finestra guardava il cielo e talora la vedeva nei boschi ammaccata e sfigurata in forme poco ortodosse.
La luna di Urbino che roteava nella follia d’estate.
La luna di Montaldo che incendiava il cortile e lei piccola già bruciava di passione per quel paesaggio, con il fienile in fondo che prendeva fuoco, nel blu.
Madre e sorella, luce interiore, purezza, e non era fredda scaldava il cuore.
Luce dei miei occhi…
Aveva cercato il futuro in quel disco di luce, la interrogava la notte come astrologo.
Non riceveva risposta, adagiata sui tetti, nascosta dagli alberi, sbandierata sul fiume, ammiccava e taceva.
A volte amava competere, in bellezza, con la luce del sole, intiepidita dal freddo di gennaio si rincantucciava in un angolo ad attendere l’aurora.
Yujko le affidava i sogni, con la speranza di ascoltare il respiro dell’anima di lui, così vicina e allo stesso tempo inarrivabile.
Luna, o luna, bianca colomba, disco d’argento, vita nuova, lembo di pelle, ruota di luce, spicchio dorato, fata del cielo, viso di donna, spalla nuda, specchio degli angeli, piuma leggera, lama sottile.
Sul mare scintillava nelle notti senza tempo al ritmo della risacca.
Nel rosa dell’aurora si dilatava, si espandeva come un corpo d’amore.
Alla luna, il significato dell’ombra appena intaccata di splendore.
Alla luna estimatrice di sogni e chimere, i pellerossa dopo il sogno anche il più incredibile attendevano che divenisse realtà, lo aspettavano anche tutta la vita.
Yujko aspettava, aspettava con ansia sotto al ciliegio dai fiori di luna, aspettava il suo sguardo dolce e triste, il suo sentimento di uomo vero e sincero.
Affidava alla candida dea la forza dell’affetto, quando piange e quando ride.
Sui tetti della città, neri, in assenza di lei, camminavano strani animali leggeri e felpati, più felini dei gatti e istintivi, felici abitanti delle notti stellate, messaggeri in un soffio all’orecchio di segreti delicati, intimi e nuovi.
Yujko dormiva il sonno di donna matura, un nocciolo d’infanzia dentro, il cuore rosso pulsava sognava l’erba, i fili d’erba e il capitano che tornava, l’ambito premio era vinto.
Era vivo il capitano era dentro di lei.

 IL RACCONTO

Sommario anno XIII numero 9 - settembre 2004