Conferenza
di Gibuti: no all’infibulazione
(Elisabetta Robinson) - Si è svolta il 2 e il 3 febbraio
scorso a Gibuti, in Corno d’Africa, la conferenza sub-regionale in
materia di mutilazioni genitali femminili sulle donne africane, uno dei
crimini più atroci commessi contro un diritto umano universale:
l’inviolabilità e l’integrità del corpo, intesa anche come simbolo
dell’integrità di una comunità. La conferenza, che fa parte della
campagna internazionale STOP MGF, condotta in partenariato con l’UNICEF
dalle associazioni italiane “Non c’è Pace senza Giustizia” e AIDOS,
ha visto la partecipazione delle autorità religiose del Paese, dei
rappresentanti governativi e degli esponenti della società civile dei
Paesi della regione (Eritrea, Etiopia, Somalia, Sudan e Yemen), di altri
Stati africani (Kenya, Mali, Burkina Faso e Senegal) e di alcune
personalità internazionali.
La prima parte della conferenza, è stata dedicata al dibattito in merito
alla posizione dell’Islam sulle mutilazioni genitali femminili,
approvate e favorite dagli ulema musulmani; la seconda parte ha
riguardato, invece, la ratifica del Protocollo di Maputo, che sancisce il
divieto in tutta l’Africa della pratica delle mutilazioni.
Si è trattato di un traguardo importantissimo, Gibuti verrà ricordata
come la prima volta della sconfessione aperta e pubblica di questo
crimine, in una regione dove non solo l’incidenza delle mutilazioni
femminili è pressoché totale ma dove queste sono praticate nella loro
forma più devastante per l’integrità fisica delle donne e delle
bambine. Gibuti rappresenta, tuttavia, soltanto l’inizio di un cammino
ancora molto lungo. Il problema delle MGF, infatti, non riguarda soltanto
l’Africa, ma interessa anche altri Paesi, dall’Italia fino
all’Australia. Sono circa 2 milioni ogni anno le ragazze interessate dal
fenomeno e 120 milioni le donne vittime nel mondo.
Nel frattempo, la data del 6 febbraio è stata istituita
come la Giornata “Tolleranza Zero”, che si celebra in tutto il
mondo contro la pratica delle MGF. |