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Sommario anno XIV numero 3 - marzo 2005

 DAL MONDO

A Roma il Tribunale mondiale sull’Iraq
(Giovanna Ardesi) - Si è svolta a Roma dal 10 al 13 febbraio scorso, nell’Aula Magna del Rettorato dell’Università Roma Tre, la decima sessione del World Tribunal on Iraq (Tribunale mondiale sull’Iraq). Le precedenti sessioni si sono svolte in altre città del mondo, la prima delle quali a Bruxelles. Qui nel giugno 2003, durante il meeting europeo sulla Pace e i Diritti umani, organizzato dalla Fondazione per la Pace Bertrand Russel, i rappresentanti dei vari movimenti contrari alla guerra, nati dal basso, lanciarono l’idea di organizzare un “Tribunale internazionale” (WTI) che giudicasse i crimini perpetrati contro il popolo iracheno e contro la pace. Le conclusioni finali di tale Tribunale sono previste con la sessione di Istanbul a giugno 2005.
La sessione di Roma si è proposta di mettere a fuoco il ruolo specifico svolto dai mezzi d’informazione ed il loro mancato rispetto del dovere di correttezza dell’informazione.
Facciamo alcuni esempi. Come sono state raccontate dai media le elezioni irachene? Al contrario dei dati trionfalistici forniti dalla stragrande maggioranza di essi sull’affluenza alle urne, la Commissione elettorale irachena ha comunicato che ha votato il 57% degli “elettori iscritti”. Ma il dato sugli elettori che si sono iscritti, superando la paura dei terroristi e che, di conseguenza, hanno potuto ritirare la scheda elettorale, non si conosce. Il Centro Carter poi, che ha il compito di valutare la regolarità delle elezioni nel Terzo Mondo, ha bocciato le procedure elettorali adottate in Iraq. Secondo la regista irachena Hana Al Bayaty, che vive in Belgio e che fa parte del WTI, facendo una stima della percentuale dei votanti iracheni sulla base degli aventi diritto si arriva al 44% di quelli residenti in Iraq, e al 23% di quelli residenti all’estero.
Altro obiettivo che si è posto di raggiungere il Tribunale Mondiale sull’Iraq è quello di analizzare come sia stata raccontata la guerra. Tale analisi dovrà essere condotta attraverso testimonianze oculari ed una puntuale ricostruzione dei fatti accaduti.
In particolare, per giungere alla verità sulla battaglia di Fallujah sono state prese in considerazione le testimonianze rese da giornalisti che si sono trovati sul posto dopo i combattimenti. Alcuni giornalisti erano al seguito della Mezza Luna Rossa, che ha cercato di portare aiuto e medicine a quella popolazione, nonostante il divieto americano posto per motivi di sicurezza. Si vuole che i loro nomi restino al momento segreti.
Sono ormai note alcune testimonianze dei profughi. Secondo Abu Hammad, residente di 35 anni a Fallujah hanno usato di tutto: carri armati, artiglieria, fanteria e gas tossici. La città è stata rasa al suolo dai bombardamenti. Un altro residente Abu Sabah ha detto che “hanno usato strane bombe che producono fumi, del tutto simili a quelli del fungo atomico, lasciando cadere dal cielo frammenti che lasciano dietro di sé lunghe code di fumo”. Ha aggiunto poi che quelle bombe fanno bruciare la pelle anche quando l’acqua viene gettata sulle ustioni.
Dai siti internet arabi si viene pure a sapere che circa 500 civili innocenti sono stati uccisi dagli attacchi al napalm (lo stesso gas tossico che veniva usato in Vietnam). Si tratta, dunque, di armi di distruzione di massa. Eppure, il Pentagono ha scatenato una guerra all’Iraq di Saddam proprio perché avrebbe posseduto armi micidiali non convenzionali. Una tesi, questa del governo Bush, che è stata recentemente smentita da una Commissione d’inchiesta americana.
Le giornaliste Giuliana Sgrena del “Manifesto” e Florence Aubenas di “Liberation” stavano raccogliendo le testimonianze di profughi di Fallujah, sfuggiti ai bombardamenti nei giorni della battaglia. Uno dei compiti che si è posto il WTI è, dunque, quello di stabilire il modo di fare informazione dei media nel mondo. Ebbene, come sta reagendo la stampa dei Paesi alleati degli americani a questo uso illegale di armi, vietate nel 1980 dalle Nazioni Unite?  In Gran Bretagna la stampa ha reso noto che nel mese di novembre alcuni parlamentari laburisti hanno chiesto che Blair riferisse alla Camera dei Comuni. In particolare, a proposito della guerra al napalm, la deputata Alice Mahon ha detto: “Blair deve spiegare i motivi di quanto sta accadendo… Era a conoscenza del fatto che in Iraq si sta facendo uso di questa arma spaventosa?”. Già il 28 novembre sul “Daily Mirror” il commentatore politico Paul Gilfeather in un suo servizio sulla battaglia di Fallujah scriveva: “Le truppe statunitensi stanno usando in segreto dei gas al napalm proibiti per spazzare via i restanti ribelli a Fallujah e nei dintorni”. Altre località bombardate con armi chimiche sono riportate dal giornale on line “Asia Time”: Jolan, ash-Shuhada e al-Jubayl, giornale che riferisce pure che sono state scaricate nei dintorni bombe a grappolo. Altro che bombardamenti di precisione! Secondo il commentatore politico Paul Gilfeather, il napalm era stato usato già durante l’assedio di Bagdad. Come risponde il Pentagono a queste accuse? Non si tratterebbe di bombe al napalm tradizionale, bensì di bombe incendiarie Mark 77, una cosa diversa, dunque! Invece, proprio i marines che tornano a casa dall’Iraq chiamano queste bombe “Napalm”.
A parte i giornalisti embedded (che prestano servizio dalle stazioni militari), gli altri corrono il rischio di essere fatti sparire o uccisi, ogni volta che si tenti di alzare il velo su qualcosa che si vuole lasciare segreto. Sarebbe giusto non dimenticare, a tal proposito, il giornalista Baldoni del “Diario”, anche lui esperto delle questioni irachene, ucciso mentre era al seguito della Croce Rossa.
Il giornale inglese “Guardian” da un anno parla di assassini politici effettuati dagli squadroni della morte. Lo stesso giornale scrive che i candidati alle elezioni irachene, sgraditi agli americani, sono stati esclusi dalla competizione o assassinati probabilmente dagli squadroni della morte.
Scrive Gino Strada di Emergency su “Avvenimenti” (autore del libro Pappagalli verdi) che “sono finite la neutralità e l’indipendenza del lavoro umanitario” da quando già “un mese prima della guerra, militari e agenti dei servizi segreti americani entrarono direttamente nel mondo degli aiuti umanitari, non più limitandosi a fornire danaro alle varie agenzie delle Nazioni Unite, ma assumendo il compito di coordinare le attività umanitarie dei diversi soggetti, dalle Agenzie ONU, alla Croce rossa internazionale, alle Organizzazioni non governative”. “Una sorta di gestione diretta - dice Strada - in cui i promotori della guerra diventarono in prima persona il soggetto responsabile degli aiuti, lasciando alle organizzazioni il ruolo di subcontractors.”
Le torture in Iraq potrebbero essere state considerate come non gravi dai responsabili, perché tanto sarebbero state compensate dalla gestione diretta degli aiuti umanitari!

 DAL MONDO

Sommario anno XIV numero 3 - marzo 2005