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Sommario anno XIV numero 3 - marzo 2005

 I NOSTRI PAESI - pagina 14

Le storie della Sindone (3)
(Claudio Comandini) - Un primo riferimento ad un culto cristiano delle immagini può trovarsi in Contro le eresie (sec. II), dove s. Ireneo di Lione riferisce che i seguaci dello gnostico egiziano Carpocrate possedevano e veneravano “alcune immagini dipinte, altre fabbricate anche con altro materiale (…) realizzate sul modello fatto eseguire da Ponzio Pilato (…) nel tempo in cui Gesù era con gli uomini”. Nelle immagini dal III al VI sec. Cristo viene rappresentato con gli schemi tipici dell’arte imperiale, in scene didattiche e pastorali, come nella statua del Buon Pastore rinvenuta e custodita a Istanbul, mentre tra il VI e il VII sec. si fissano le caratteristiche del suo ritratto: visto di fronte, capelli lunghi divisi al centro, occhi grandi, naso lungo, bocca piccola e carnosa, baffi e barba moderatamente lunghi. Il passaggio può essere osservato nei mosaici di Ravenna, e un esemplare ne è l’Icona dei ss. Sergio e Bacco proveniente dalla Siria e conservata a Kiev. Se un primo cenno ad una tipologia di reliquie legate strettamente alla Passione risale al 570, dove un anonimo piacentino riferisce che a Gerusalemme si trovi il sudario posto “sul capo” di Gesù, la prima immagine su stoffa del volto di Cristo che abbia goduto della definizione di acheiropoietos, “non fatta da mano umana” sembra invece essere la Camulia, di cui però attualmente ignoriamo le effettive caratteristiche. Questa immagine, proveniente dal centro monastico di Camulia (Kamuliane) in Cappadocia, viene trasferita dalla capitale della regione Cesarea a Costantinopoli da Giustino II nel 574 per sostituire il Labarum, la bandiera creata da Costantino e perduta ai tempi di Giuliano l’Apostata, il restauratore del paganesimo.
Con Giustino II inizia una lunga guerra con la Persia e il crollo della restaurazione di Giustiniano, e la Camulia assume uno spiccato significato militare in importanti battaglie, in Africa a Costantina nel 581 con Tiberio I Costantino, e in Armenia sul fiume Arzaman nel 586, dove Teofilo Simocatta riferisce che lo strategos Philippikos la utilizza per incitare alla vittoria, favorendo a Maurizio la riorganizzazione dell’impero. La Camulia non sembra offrire però protezione né dal regime terrorista di Foca (602-610) che riscuote clientelare approvazione a Roma da Gregorio I Magno, né dalle disfatte e dagli assedi subiti dal 613 al 619. Sappiamo però che Eraclio, in partenza per una decisiva campagna in Persia nel 622, stringe in mano uno stendardo con la riproduzione dell’immagine, che inoltre nel 626 durante l’assedio degli Avari a Costantinopoli viene esposta sulle mura a difesa della città.
Il Basileus (e non più Imperator) Eraclio sconfigge i Persiani, e consolida l’unità amministrativa (costituzione dei temi) e linguistica (adozione del greco per la cancelleria) dell’Impero Bizantino, di fronte al quale però ora si profila la formidabile espansione degli Arabi recentemente islamizzati: se nel 622 Maometto fugge a Medina (egira), nel 630 conquista la Mecca. Nel 634 il califfo Omar entra nei territori dell’impero, e Edessa diventa dominio arabo già nel 637, mentre il Mandylion vi rimane come patrimonio cittadino. A questo periodo, forse proprio per sottolineare l’unicità del profeta dei cristiani contro la diffusione della predicazione di Maometto che già coinvolge la Siria, la Palestina, la Persia, l’Armenia e l’Egitto, risalgono i primi riferimenti diretti alla Sindone: nel 646 il vescovo di Saragozza afferma che crederci “non costituisca superstizione”; nel 650 il pellegrino a Gerusalemme (araba dal 638) Arculfo ne segnala l’esistenza e che sia “lungo circa 8 piedi”; nel testo liturgico del Messale Mozarabico (VI-VII sec.) si legge che Pietro e Giovanni corsero al sepolcro e videro “nei lini le recenti impronte del morto che era risorto”. Mentre si diffonde l’Islam, come l’Ebraismo contrario alla rappresentazione antropomorfa del divino, nel Cristianesimo di area bizantina si profilano i conflitti fra i sostenitori e gli avversari del culto delle immagini (iconoduli e iconoclasti) e il potere si consolida attorno al Basileus. Giustiniano II nel 680-691 per affermare le specificità della fede cristiana e la sua autorità religiosa stabilisce nei Concili Trullano e Quintosesto anche i canoni per la rappresentazione delle immagini sacre. Il volto del Mandylion è definito come acheiropoietosnon fatto da mano umana”, ma il modello iconografico e numismatico  che prevale nel secondo regno di Giustiniano II sembra essere quello della Camulia già glorificata da Eraclio, suo capostipite: e ciò accade proprio mentre l’immagine scompare da Costantinopoli, in un contesto politico e diplomatico piuttosto complesso che accompagna il definitivo declino della dinastia armena. Giustiniano II nelle disposizioni del Concilio Quintosesto aveva contestato anche il celibato dei preti e il digiuno del sabato, reclamando per la sede vescovile di Costantinopoli le stesse prerogative di Roma. A Roma trova ferma opposizione in papa Sergio I, di Palermo e di origine siriana, che nel 692 umilia il protospatario Zaccaria inviato per arrestarlo. La caduta di prestigio ha contraccolpi anche a Bisanzio, dove nel 695 Giustiniano II perde il trono, e le guerre civili oppongono il partito degli Azzurri a quello dei Verdi e si succedono i due imperatori di estrazione militare Leonzio e Tiberio II.
Giustiniano II riprende la sua carica nel 705, incurante di esibire l’amputazione nasale impartitagli quando era stato spodestato, e perpetrando inoltre atroci vendette sui suoi nemici. Sempre nel 705 papa Giovanni VII, greco, peraltro piuttosto succube all’imperatore, fa costruire un oratorio in S. Pietro, denominato successivamente Oratorio di Santa Maria della Veronica. Nel 710 papa Costantino, di origine siriana, che conferma il rifiuto da parte di Roma degli articoli del Concilio già ricusati, è l’ultimo pontefice di Roma a recarsi a Bisanzio, dove è accolto con sorprendente deferenza dall’imperatore ormai impazzito; un anno dopo, Giustiniano II è definitivamente spodestato, e viene ucciso da un suo ufficiale.


Tuscolo verso la distruzione (4)
(Claudio Comandini) – Il conflitto fra Papato e Impero sulla questione delle investiture coinvolge aspetti concreti come l’ereditarietà dei feudi, le cui implicazioni scuotono la struttura sociale dell’Europa cristiana nel momento del suo incremento demografico. E come nota Franco Cardini, alla base del fenomeno delle Crociate ci sono anche tanti “cavalieri erranti”, nobili non primogeniti e quindi privati di un feudo, e una società in crisi che cerca di rinnovare il riferimento ai suoi principi; questa stessa crisi richiede l’incremento dei traffici, e giustifica nuove forme di guerre, comportando anche l’estroflessione dei conflitti interni verso un nemico esterno, “infedele”.
Questa ampia serie di processi prendono importanti sviluppi con il richiamo a Gerusalemme, luogo della passione, morte e resurrezione di Gesù Cristo, città distrutta dai Romani, già ebrea e ora musulmana; il riferimento aveva avuto formulazione con Silvestro II, era stato sollecitato da Gregorio VII, e trova in Pietro l’Eremita un diretto antesignano. La situazione è in pieno fermento: mentre i Turchi selgiuchidi muovono conquiste ai Bizantini, fra loro coinvolti in un alternanza di guerre e alleanze, il pontefice Urbano II, fortemente contrastato a Roma, diventa l’aperto sostenitore di un movimento di portata continentale che combinando fra loro elementi come il pellegrinaggio, il culto delle reliquie e l’impresa militare arriva a prescindere dall’autorità imperiale e a ben vedere anche dal prevalente culto di s. Pietro, riaprendo le rotte verso terre non europee, a contatto con popolazioni non cristiane e cristiani non cattolici. Intanto, Roma ha due papi: Urbano II, la cui ispirazione è coerente con la riforma di Gregorio VII, eletto nel 1088 ma che s’insedia in Laterano soltanto nel 1094; e Clemente III, antipapa (non riconosciuto nei Liber Pontificalis) nominato dall’imperatore, che resiste fino al 1096 a Castel s. Angelo, sotto l’attacco dalle armate mercenarie francesi di Ugo di Vermandois e dalle milizie cittadine di Pierleone.
Osteggiato nella sede ufficiale del cattolicesimo, Urbano II rinnova l’esclusività nelle questioni ecclesiastiche della Chiesa di Roma sviluppandone le relazioni internazionali: nel 1095 a Piacenza, di fronte a duecento vescovi e duemila ecclesiastici italiani e francesi, e alla presenza degli ambasciatori dell’imperatore bizantino Alessio I Comneno, dichiara l’intenzione di recuperare a Roma le Chiese d’Oriente, scavalcando inoltre gli stessi sovrani per rivolgere l’appello “contro gli infedeli per la difesa della Santa Chiesa” direttamente al “popolo cristiano”. L’appello è ripetuto nel Concilio di Clermont, promettendo ai partecipanti una indulgenza “plenaria” religiosa, con anche condoni giudiziari e fiscali. Nel 1096 orde di pellegrini crociati che scendevano il Reno massacrano le comunità ebraiche di Colonia e Magonza; dal 1097 al 1099 piccoli e grandi nobili sbandati, privi del supporto dei loro sovrani, con nessun tedesco e pochi italiani, e in secondo tempo supportati dalle repubbliche marinare di Genova, Pisa e Venezia, compongono un esercito cristiano ed europeo  che conquista Antiochia (Turchia), Nicea (Iznick, Turchia), Edessa (Sanliurfa, Turchia) e Gerusalemme, compiendo stermini sistematici della popolazione locale. Contro gli accordi presi con i Bizantini (a cui Nicea si consegna per evitare saccheggi) le città divengono sede di piccoli stati crociati, retti da figure dette Advocatus e infeudati alla Chiesa; Goffredo di Buglione, già alleato di Enrico IV (e quindi nelle Crociate per “riqualificarsi”), diventa Custode del Santo Sepolcro. I risultati della Crociata raggiungono Roma, rimasta piuttosto estranea alla spedizione, mentre il papa è morente e sotto assedio a sua volta. Un nuovo attacco di Clemente III lo costringe a riparare al palazzo fortificato del console Giovanni Frangipane (La Torre Cartularia sull’arco di Tito, deposito degli archivi papali), difeso dalle milizie di Pierleone, che hanno sede presso s. Nicola in Carcere: per una suggestiva coincidenza, mentre nell’immaginario crociato la Gerusalemme terrena si trasfigura nella Gerusalemme celeste, i rifugi romani del papa delle crociate hanno riferimenti ebraici: l’arco di Tito, che commemora la conquista romana di Gerusalemme, e i Pierleoni, una famiglia di ebrei convertiti. Successivamente, nel 1100 Clemente III, già oppositore di tre papi, viene scacciato da Albano, dove si era insediato, e infine sconfitto a Civita Castellana dal re normanno Ruggero II, e dal nuovo papa Pasquale II, il cardinale Raniero di Blera, cluniacense, prete a s. Clemente e già legato pontificio in Spagna, dove si muove la reconquista contro i musulmani.
Pasquale II è sostenuto dagli emergenti Pierleoni e dai Normanni, ha comprato l’alleanza di Albano col denaro e di Velletri definendone ampi confini, e viene contrastato con l’aperta accusa di simonia dall’aristocrazia, che comprende perlopiù i Conti di Tuscolo e i loro congiunti. Nel 1102 si succedono due antipapi, uno eletto dai Colonna e uno dai Frangipane, che privi del sostegno imperiale vengono presto imprigionati in monastero dai Normanni. Lo stesso anno Enrico IV è di nuovo scomunicato, e muore anche suo figlio Corrado, mentre l’anno successivo a Magonza dichiara l’intenzione di intraprendere una sua Crociata. Poco dopo aver compiuto questo proposito, fra 1104 e il 1106 viene spodestato dal figlio Enrico V, che avvia trattative di grande apertura con la Chiesa, mentre nel 1105 un’alleanza di esponenti dell’aristocrazia romana, con inoltre Stefano Corso della Tuscia marina (ex-alleato e ora nemico della Chiesa) e Guarniero marchese di Spoleto e Ancona (prima con il papa Leone IX e poi con l’imperatore Enrico IV) arrivano ad opporre a Pasquale II l’antipapa Silvestro IV, l’arciprete Aginulfo o Maginolfo, eletto presso l’insolita sede del Pantheon, che contrastato dai Pierleoni deve riparare a Tivoli protetto da Guarniero, che poi lo porta con sé ad Osimo.
Successivamente, il Lazio è scosso da rivolte e guerre. Nel 1108, recandosi a Benevento per incontrare i Normanni, Pasquale II affida il governo della città ai consoli Pierleone e Frangipane, la vigilanza sulle campagne a Tolomeo I di Tuscolo, e il comando delle truppe cittadine a Gualfredo, nipote del papa. Tolomeo organizza una rivolta con Beraldo abate di Farfa, Pietro Colonna (figlio di Gregorio III, e fratello di Tolomeo), coinvolgendo con Tuscolo anche Anagni, Preneste, Tivoli e la Sabina. La rivolta viene contrastata dai Normanni di Riccardo duca di Gaeta, che assediano Tivoli, mentre l’antipapa Silvestro IV si rifugia ad Albano, che però resta fedele al papato, come anche Velletri. Pasquale II riorganizza i confini e si assicura milizie spronando la nobiltà senatoria a fare guerra al minaccioso Stefano Corso della Tuscia che capitola a Montalto; poi, l papa assedia Ponzia (Avezzano) e Affile per darle in feudo all’abbazia di Subiaco, e assalta anche Ninfa. Enrico V scende verso Roma, potente dei rapporti di vassallaggio da lui intrattenuti con i nobili italiani e armato di 30.000 cavalieri, distruggendo le città che gli si oppongono come Novara, ottenendo a suo favore il Concordato di Sutri e i successivi Accordi di Ponte Mammolo, le cui cui condizioni hanno implicazioni enormi: le proprietà della chiesa sono rivendicate dall’imperatore, papa e clero rinunciano definitivamente a possedimenti e poteri. Grossi disordini accompagnano l’elezione imperiale di Enrico V del 1111: smentendo le trattative intercorse, i vescovi rifiutano di perdere la sovranità temporale e il ruolo politico, mentre Enrico V manifesta la volontà di mantenere il potere di investitura religiosa. Il papa e il suo seguito sono presi in ostaggio, e da s. Pietro fuggono travestiti per chiedere aiuto alla popolazione, che insorge violentemente, guidata dai vescovi di Ostia Leone e di Tuscolo Giovanni Marsicano. Ed è proprio il vescovo della diocesi tuscolana (suburbicaria, la cui sede fisica è stata comunque “mobile”) a governare la chiesa nei sessanta giorni in cui il papa è condotto a Ponte Lucano presso Tivoli, da dove l’imperatore intende unirsi ai Conti di Tuscolo per contrastare i Normanni, chiamati a difesa di Roma dal vescovo tuscolano. Se è evidente la spaccatura di interessi fra aristocrazia e clero di una stessa città, il rapporto fra i vertici dei due poteri della cristianità è esattamente questo: Enrico V viene incoronato, secondo condizioni che è esclusivamente lui a porre, da un papa che già era stato suo prigioniero. Anche i Normanni sono in conflitto interno per la perdita di Ruggero e Beomondo (morto nelle Crociate), e se inizialmente intervengono con 300 cavalieri di Roberto di Capua, del tutto inefficaci, poi rendono addirittura omaggio all’imperatore. A causa della sua capitolazione, Pasquale II viene inevitabilmente fatto oggetto di ampi contrasti da parte del clero, e si rifugia a Terracina e poi all’isola di Ponza; per la pressione di 150 vescovi fra cui i legati a latere delle province della Chiesa, diretti soprattutto da quelli di Ostia e Tuscolo, i Concili Lateranensi del 1112 e 1116 rinnovano i decreti di Gregorio VII e Urbano II, annullando i patti intercorsi con l’imperatore, che viene scomunicato. La scomunica, per fine tatto diplomatico, non è fatta dal papa di Roma, ma parte da Gerusalemme, e per iniziativa di Conone vescovo di Praeneste. In questo dissidio cerca di trovare spazio l’imperatore bizantino Alessio Comneno, che esprime la sua vicinanza al papa e reclama secondo antico diritto la corona imperiale di Roma, trovando risposta a questa sua richiesta solo in sparuti esponenti dell’aristocrazia. Intanto, a Ceprano, gli ex domini bizantini di Puglie, Calabrie e Sicilia sono conferiti in feudo da Pasquale II al normanno Guglielmo, successore di Ruggero.

 I NOSTRI PAESI - pagina 14

Sommario anno XIV numero 3 - marzo 2005