Le
storie della Sindone (3)
(Claudio Comandini) - Un primo riferimento ad un culto
cristiano delle immagini può trovarsi in Contro
le eresie (sec. II), dove s. Ireneo di Lione riferisce che i seguaci dello
gnostico egiziano Carpocrate possedevano e veneravano “alcune immagini
dipinte, altre fabbricate anche con altro materiale (…) realizzate sul
modello fatto eseguire da Ponzio Pilato (…) nel tempo in cui Gesù era
con gli uomini”. Nelle immagini dal III al VI sec. Cristo viene
rappresentato con gli schemi tipici dell’arte imperiale, in scene
didattiche e pastorali, come nella statua del Buon Pastore rinvenuta e
custodita a Istanbul, mentre tra il VI e il VII sec. si fissano le
caratteristiche del suo ritratto: visto di fronte, capelli lunghi divisi
al centro, occhi grandi, naso lungo, bocca piccola e carnosa, baffi e
barba moderatamente lunghi. Il passaggio può essere osservato nei mosaici
di Ravenna, e un esemplare ne è l’Icona dei ss. Sergio e Bacco
proveniente dalla Siria e conservata a Kiev. Se un primo cenno ad una
tipologia di reliquie legate strettamente alla Passione risale al 570,
dove un anonimo piacentino riferisce che a Gerusalemme si trovi il sudario
posto “sul capo” di Gesù, la prima immagine su stoffa del volto di
Cristo che abbia goduto della definizione di acheiropoietos, “non fatta
da mano umana” sembra invece essere la Camulia, di cui però attualmente
ignoriamo le effettive caratteristiche. Questa immagine, proveniente dal
centro monastico di Camulia (Kamuliane) in Cappadocia, viene trasferita
dalla capitale della regione Cesarea a Costantinopoli da Giustino II nel
574 per sostituire il Labarum, la bandiera creata da Costantino e perduta
ai tempi di Giuliano l’Apostata, il restauratore del paganesimo.
Con Giustino II inizia una lunga guerra con la Persia e il crollo della
restaurazione di Giustiniano, e la Camulia assume uno spiccato significato
militare in importanti battaglie, in Africa a Costantina nel 581 con
Tiberio I Costantino, e in Armenia sul fiume Arzaman nel 586, dove Teofilo
Simocatta riferisce che lo strategos Philippikos la utilizza per incitare
alla vittoria, favorendo a Maurizio la riorganizzazione dell’impero. La
Camulia non sembra offrire però protezione né dal regime terrorista di
Foca (602-610) che riscuote clientelare approvazione a Roma da Gregorio I
Magno, né dalle disfatte e dagli assedi subiti dal 613 al 619. Sappiamo
però che Eraclio, in partenza per una decisiva campagna in Persia nel
622, stringe in mano uno stendardo con la riproduzione dell’immagine,
che inoltre nel 626 durante l’assedio degli Avari a Costantinopoli viene
esposta sulle mura a difesa della città.
Il Basileus (e non più Imperator) Eraclio sconfigge i Persiani, e
consolida l’unità amministrativa (costituzione dei temi) e linguistica
(adozione del greco per la cancelleria) dell’Impero Bizantino, di fronte
al quale però ora si profila la formidabile espansione degli Arabi
recentemente islamizzati: se nel 622 Maometto fugge a Medina (egira), nel
630 conquista la Mecca. Nel 634 il califfo Omar entra nei territori
dell’impero, e Edessa diventa dominio arabo già nel 637, mentre il
Mandylion vi rimane come patrimonio cittadino. A questo periodo, forse
proprio per sottolineare l’unicità del profeta dei cristiani contro la
diffusione della predicazione di Maometto che già coinvolge la Siria, la
Palestina, la Persia, l’Armenia e l’Egitto, risalgono i primi
riferimenti diretti alla Sindone: nel 646 il vescovo di Saragozza afferma
che crederci “non costituisca superstizione”; nel 650 il pellegrino a
Gerusalemme (araba dal 638) Arculfo ne segnala l’esistenza e che sia
“lungo circa 8 piedi”; nel testo liturgico del Messale Mozarabico (VI-VII
sec.) si legge che Pietro e Giovanni corsero al sepolcro e videro “nei
lini le recenti impronte del morto che era risorto”. Mentre si diffonde
l’Islam, come l’Ebraismo contrario alla rappresentazione antropomorfa
del divino, nel Cristianesimo di area bizantina si profilano i conflitti
fra i sostenitori e gli avversari del culto delle immagini (iconoduli e
iconoclasti) e il potere si consolida attorno al Basileus. Giustiniano II
nel 680-691 per affermare le specificità della fede cristiana e la sua
autorità religiosa stabilisce nei Concili Trullano e Quintosesto anche i
canoni per la rappresentazione delle immagini sacre. Il volto del
Mandylion è definito come acheiropoietos “non fatto da mano umana”,
ma il modello iconografico e numismatico
che prevale nel secondo regno di Giustiniano II sembra essere
quello della Camulia già glorificata da Eraclio, suo capostipite: e ciò
accade proprio mentre l’immagine scompare da Costantinopoli, in un
contesto politico e diplomatico piuttosto complesso che accompagna il
definitivo declino della dinastia armena. Giustiniano II nelle
disposizioni del Concilio Quintosesto aveva contestato anche il celibato
dei preti e il digiuno del sabato, reclamando per la sede vescovile di
Costantinopoli le stesse prerogative di Roma. A Roma trova ferma
opposizione in papa Sergio I, di Palermo e di origine siriana, che nel 692
umilia il protospatario Zaccaria inviato per arrestarlo. La caduta di
prestigio ha contraccolpi anche a Bisanzio, dove nel 695 Giustiniano II
perde il trono, e le guerre civili oppongono il partito degli Azzurri a
quello dei Verdi e si succedono i due imperatori di estrazione militare
Leonzio e Tiberio II.
Giustiniano II riprende la sua carica nel 705, incurante di esibire
l’amputazione nasale impartitagli quando era stato spodestato, e
perpetrando inoltre atroci vendette sui suoi nemici. Sempre nel 705 papa
Giovanni VII, greco, peraltro piuttosto succube all’imperatore, fa
costruire un oratorio in S. Pietro, denominato successivamente Oratorio di
Santa Maria della Veronica. Nel 710 papa Costantino, di origine siriana,
che conferma il rifiuto da parte di Roma degli articoli del Concilio già
ricusati, è l’ultimo pontefice di Roma a recarsi a Bisanzio, dove è
accolto con sorprendente deferenza dall’imperatore ormai impazzito; un
anno dopo, Giustiniano II è definitivamente spodestato, e viene ucciso da
un suo ufficiale.
Tuscolo
verso la distruzione (4)
(Claudio Comandini) – Il conflitto fra Papato e Impero
sulla questione delle investiture coinvolge aspetti
concreti come l’ereditarietà dei feudi, le cui implicazioni scuotono la
struttura sociale dell’Europa cristiana nel momento del suo incremento
demografico. E come nota Franco Cardini, alla base del fenomeno delle
Crociate ci sono anche tanti “cavalieri erranti”, nobili non
primogeniti e quindi privati di un feudo, e una società in crisi che
cerca di rinnovare il riferimento ai suoi principi; questa stessa crisi
richiede l’incremento dei traffici, e giustifica nuove forme di guerre,
comportando anche l’estroflessione dei conflitti interni verso un nemico
esterno, “infedele”.
Questa ampia serie di processi prendono importanti sviluppi con il
richiamo a Gerusalemme, luogo della passione, morte e resurrezione di
Gesù Cristo, città distrutta dai Romani, già ebrea e ora musulmana; il
riferimento aveva avuto formulazione con Silvestro II, era stato
sollecitato da Gregorio VII, e trova in Pietro l’Eremita un diretto
antesignano. La situazione è in pieno fermento: mentre i Turchi
selgiuchidi muovono conquiste ai Bizantini, fra loro coinvolti in un
alternanza di guerre e alleanze, il pontefice Urbano II, fortemente
contrastato a Roma, diventa l’aperto sostenitore di un movimento di
portata continentale che combinando fra loro elementi come il pellegrinaggio, il culto delle
reliquie e l’impresa militare arriva a
prescindere dall’autorità imperiale e a ben vedere anche dal prevalente
culto di s. Pietro, riaprendo le rotte verso terre non europee, a contatto
con popolazioni non cristiane e cristiani non cattolici. Intanto, Roma ha
due papi: Urbano II, la cui ispirazione è coerente con la riforma di
Gregorio VII, eletto nel 1088 ma che s’insedia in Laterano soltanto nel
1094; e Clemente III, antipapa (non riconosciuto nei Liber
Pontificalis)
nominato dall’imperatore, che resiste fino al 1096 a Castel s. Angelo,
sotto l’attacco dalle armate mercenarie francesi di Ugo di Vermandois e
dalle milizie cittadine di Pierleone.
Osteggiato nella sede ufficiale del cattolicesimo, Urbano II rinnova
l’esclusività nelle questioni ecclesiastiche della Chiesa di Roma
sviluppandone le relazioni internazionali: nel 1095 a Piacenza, di fronte
a duecento vescovi e duemila ecclesiastici italiani e francesi, e alla
presenza degli ambasciatori dell’imperatore bizantino Alessio I Comneno,
dichiara l’intenzione di recuperare a Roma le Chiese d’Oriente,
scavalcando inoltre gli stessi sovrani per rivolgere l’appello “contro
gli infedeli per la difesa della Santa Chiesa” direttamente al “popolo
cristiano”. L’appello è ripetuto nel Concilio di Clermont,
promettendo ai partecipanti una indulgenza “plenaria” religiosa, con
anche condoni giudiziari e fiscali. Nel 1096 orde di pellegrini crociati
che scendevano il Reno massacrano le comunità ebraiche di Colonia e
Magonza; dal 1097 al 1099 piccoli e grandi nobili sbandati, privi del
supporto dei loro sovrani, con nessun tedesco e pochi italiani, e in
secondo tempo supportati dalle repubbliche marinare di Genova, Pisa e
Venezia, compongono un esercito cristiano ed europeo
che conquista Antiochia (Turchia), Nicea (Iznick, Turchia), Edessa
(Sanliurfa, Turchia) e Gerusalemme, compiendo stermini sistematici della
popolazione locale. Contro gli accordi presi con i Bizantini (a cui Nicea
si consegna per evitare saccheggi) le città divengono sede di piccoli
stati crociati, retti da figure dette Advocatus e infeudati alla Chiesa;
Goffredo di Buglione, già alleato di Enrico IV (e quindi nelle Crociate
per “riqualificarsi”), diventa Custode del Santo Sepolcro. I risultati
della Crociata raggiungono Roma, rimasta piuttosto estranea alla
spedizione, mentre il papa è morente e sotto assedio a sua volta. Un
nuovo attacco di Clemente III lo costringe a riparare al palazzo
fortificato del console Giovanni Frangipane (La Torre Cartularia
sull’arco di Tito, deposito degli archivi papali), difeso dalle milizie
di Pierleone, che hanno sede presso s. Nicola in Carcere: per una
suggestiva coincidenza, mentre nell’immaginario crociato la Gerusalemme
terrena si trasfigura nella Gerusalemme celeste, i rifugi romani del papa
delle crociate hanno riferimenti ebraici: l’arco di Tito, che commemora
la conquista romana di Gerusalemme, e i Pierleoni, una famiglia di ebrei
convertiti. Successivamente, nel 1100 Clemente III, già oppositore di tre
papi, viene scacciato da Albano, dove si era insediato, e infine sconfitto
a Civita Castellana dal re normanno Ruggero II, e dal nuovo papa Pasquale
II, il cardinale Raniero di Blera, cluniacense, prete a s. Clemente e già
legato pontificio in Spagna, dove si muove la reconquista contro i
musulmani.
Pasquale II è sostenuto dagli emergenti Pierleoni e dai Normanni, ha
comprato l’alleanza di Albano col denaro e di Velletri definendone ampi
confini, e viene contrastato con l’aperta accusa di simonia
dall’aristocrazia, che comprende perlopiù i Conti di Tuscolo e i loro
congiunti. Nel 1102 si succedono due antipapi, uno eletto dai Colonna e
uno dai Frangipane, che privi del sostegno imperiale vengono presto
imprigionati in monastero dai Normanni. Lo stesso anno Enrico IV è di
nuovo scomunicato, e muore anche suo figlio Corrado, mentre l’anno
successivo a Magonza dichiara l’intenzione di intraprendere una sua
Crociata. Poco dopo aver compiuto questo proposito, fra 1104 e il 1106
viene spodestato dal figlio Enrico V, che avvia trattative di grande
apertura con la Chiesa, mentre nel 1105 un’alleanza di esponenti
dell’aristocrazia romana, con inoltre Stefano Corso della Tuscia marina
(ex-alleato e ora nemico della Chiesa) e Guarniero marchese di Spoleto e
Ancona (prima con il papa Leone IX e poi con l’imperatore Enrico IV)
arrivano ad opporre a Pasquale II l’antipapa Silvestro IV, l’arciprete
Aginulfo o Maginolfo, eletto presso l’insolita sede del Pantheon, che
contrastato dai Pierleoni deve riparare a Tivoli protetto da Guarniero,
che poi lo porta con sé ad Osimo.
Successivamente, il Lazio è scosso da rivolte e guerre. Nel 1108,
recandosi a Benevento per incontrare i Normanni, Pasquale II affida il
governo della città ai consoli Pierleone e Frangipane, la vigilanza sulle
campagne a Tolomeo I di Tuscolo, e il comando delle truppe cittadine a
Gualfredo, nipote del papa. Tolomeo organizza una rivolta con Beraldo
abate di Farfa, Pietro Colonna (figlio di Gregorio III, e fratello di
Tolomeo), coinvolgendo con Tuscolo anche Anagni, Preneste, Tivoli e la
Sabina. La rivolta viene contrastata dai Normanni di Riccardo duca di
Gaeta, che assediano Tivoli, mentre l’antipapa Silvestro IV si rifugia
ad Albano, che però resta fedele al papato, come anche Velletri. Pasquale
II riorganizza i confini e si assicura milizie spronando la nobiltà
senatoria a fare guerra al minaccioso Stefano Corso della Tuscia che
capitola a Montalto; poi, l papa assedia Ponzia (Avezzano) e Affile per
darle in feudo all’abbazia di Subiaco, e assalta anche Ninfa. Enrico V
scende verso Roma, potente dei rapporti di vassallaggio da lui
intrattenuti con i nobili italiani e armato di 30.000 cavalieri,
distruggendo le città che gli si oppongono come Novara, ottenendo a suo
favore il Concordato di Sutri e i successivi Accordi di Ponte
Mammolo, le
cui cui condizioni hanno implicazioni enormi: le proprietà della chiesa
sono rivendicate dall’imperatore, papa e clero rinunciano
definitivamente a possedimenti e poteri. Grossi disordini accompagnano
l’elezione imperiale di Enrico V del 1111: smentendo le trattative
intercorse, i vescovi rifiutano di perdere la sovranità temporale e il
ruolo politico, mentre Enrico V manifesta la volontà di mantenere il
potere di investitura religiosa. Il papa e il suo seguito sono presi in
ostaggio, e da s. Pietro fuggono travestiti per chiedere aiuto alla
popolazione, che insorge violentemente, guidata dai vescovi di Ostia Leone
e di Tuscolo Giovanni Marsicano. Ed è proprio il vescovo della diocesi
tuscolana (suburbicaria, la cui sede fisica è stata comunque
“mobile”) a governare la chiesa nei sessanta giorni in cui il papa è
condotto a Ponte Lucano presso Tivoli, da dove l’imperatore intende
unirsi ai Conti di Tuscolo per contrastare i Normanni, chiamati a difesa
di Roma dal vescovo tuscolano. Se è evidente la spaccatura di interessi
fra aristocrazia e clero di una stessa città, il rapporto fra i vertici
dei due poteri della cristianità è esattamente questo: Enrico V viene
incoronato, secondo condizioni che è esclusivamente lui a porre, da un
papa che già era stato suo prigioniero. Anche i Normanni sono in
conflitto interno per la perdita di Ruggero e Beomondo (morto nelle
Crociate), e se inizialmente intervengono con 300 cavalieri di Roberto di
Capua, del tutto inefficaci, poi rendono addirittura omaggio
all’imperatore. A causa della sua capitolazione, Pasquale II viene
inevitabilmente fatto oggetto di ampi contrasti da parte del clero, e si
rifugia a Terracina e poi all’isola di Ponza; per la pressione di 150
vescovi fra cui i legati a latere delle province della Chiesa, diretti
soprattutto da quelli di Ostia e Tuscolo, i Concili Lateranensi del 1112 e
1116 rinnovano i decreti di Gregorio VII e Urbano II, annullando i patti
intercorsi con l’imperatore, che viene scomunicato. La scomunica, per
fine tatto diplomatico, non è fatta dal papa di Roma, ma parte da
Gerusalemme, e per iniziativa di Conone vescovo di Praeneste. In questo
dissidio cerca di trovare spazio l’imperatore bizantino Alessio Comneno,
che esprime la sua vicinanza al papa e reclama secondo antico diritto la
corona imperiale di Roma, trovando risposta a questa sua richiesta solo in
sparuti esponenti dell’aristocrazia. Intanto, a Ceprano, gli ex domini
bizantini di Puglie, Calabrie e Sicilia sono conferiti in feudo da
Pasquale II al normanno Guglielmo, successore di Ruggero. |