Il venir meno di un
ideale illuministico
(Silvia Coletti) - Nel 1787 a seguito del Trattato di
Campoformio,Venezia veniva ceduta da Napoleone all’Austria con la
conseguenza
che portava a pensare alla libertà, come ad una condizione rubata.
Pertanto, traditi i suoi ideali di liberista passionale, Foscolo avvilito
e traumatizzato, scrive in una critica il Coretti, “…varcò il confine
svizzero per intraprendere la strada dell’esilio, consolato solo ed
esclusivamente dalla poesia”. È in questo stato d’animo che Foscolo decide
di compiere la stesura delle Ultime lettere di Jacopo Ortis (1817),
definite, per questo motivo, un’autobiografia indiretta dello scrittore,
avendo affidato al personaggio protagonista le sue passioni e
disillusioni. La storia delle epistole è quella di un patriota
(Jacopo Ortis), che saputo dell’evento storico relativo alla cessione di
Venezia, decide di recarsi verso la madre terra (Venezia), dove s’innamora
di Teresa, che, pur ricambiando il suo amore, è costretta dal padre a
sposare un certo Odoardo, portando Ortis al suicidio presso i Monti
Euganei.
I temi fondamentali di queste epistole sono: l’amore e la passione
politica. Entrambe, per il critico Amoretti e secondo un attento studio
psicanalitico, sono il risultato di sentimenti quali la paura e la
violenza causata e subita da Jacopo Ortis. Soprattutto la violenza dei
sentimenti e degli ideali tende a soffocare Jacopo, che, per questo
motivo, vede solo nel suicidio una via di scampo verso la libertà tanto
cercata e amata, non solo politica, ma anche sentimentale. Il suicidio,
atto tragico, è anche visto dall’Ortis e rappresentato dal Foscolo, come
immediatezza e fatale solennità in cui la morte, larva da fissare senza
temere, “rompe la quiete della sera”. È un destino inevitabile per
chi, come Jacopo, possiede un animo troppo fragile e sensibile, incapace
di sostenere una società tanto vile e meschina. A questo proposito
l’asocialità del protagonista, chiuso nel suo microcosmo, fa scrivere al
Foscolo: “…Poiché ho disperato e della mia patria e di me, aspetto
tranquillamente la prigione e la morte. Il mio cadavere almeno non cadrà
fra le braccia straniere; il mio nome sarà sommessamente compianto da’
pochi uomini, compagni delle nostre miserie; e le mie ossa poseranno su la
terra de’ miei padri…” La storia, il cui senso è dato dalle età che
passando travolgono i popoli e gli Stati, porta Jacopo a scrivere lettere
travolgenti, in un tono lirico, mettono in evidenza la sua passione
struggente per la patria e per Teresa, definita dal poeta come generatrice
di poesia. La necessità del ritorno all’affetto materno, in un antagonismo
evidente verso la figura maschile, identificata in Odoardo, fa emergere la
polemica destino/uomo in cui si evidenzia una costante foscoliana
nell’aspetto laico e materialistico non solo della morte ma anche della
vita. Quest’ultima è vista dallo scrittore come un’esperienza breve,
infelice, come un sogno illusorio e uno spaziare attonito e spaventato nel
nulla. Sono tutti questi elementi che fondano i pensieri del Foscolo su
una filosofia della protesta e della rinuncia di un uomo, che deluso
storicamente, abbraccia quella concezione sensista causata dalla caduta
dell’ideale illuminista di una società moderna fondata sulla ragione e che
si è invece rivelata machiavellicamente malvagia. |