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Sommario anno XIV numero 3 - marzo 2005

 CULTURA E COSTUME

Il venir meno di un ideale illuministico
(Silvia Coletti) - Nel 1787 a seguito del Trattato di Campoformio,Venezia veniva ceduta da Napoleone all’Austria con la conseguenza che portava a pensare alla libertà, come ad una condizione rubata. Pertanto, traditi i suoi ideali di liberista passionale, Foscolo avvilito e traumatizzato, scrive in una critica il Coretti, “…varcò il confine svizzero per intraprendere la strada dell’esilio, consolato solo ed esclusivamente dalla poesia”. È in questo stato d’animo che Foscolo decide di compiere la stesura delle Ultime lettere di Jacopo Ortis (1817), definite, per questo motivo, un’autobiografia indiretta dello scrittore, avendo affidato al personaggio protagonista le sue passioni e disillusioni. La storia delle epistole è quella di un patriota (Jacopo Ortis), che saputo dell’evento storico relativo alla cessione di Venezia, decide di recarsi verso la madre terra (Venezia), dove s’innamora di Teresa, che, pur ricambiando il suo amore, è costretta dal padre a sposare un certo Odoardo, portando Ortis al suicidio presso i Monti Euganei.
I temi fondamentali di queste epistole sono: l’amore e la passione politica. Entrambe, per il critico Amoretti e secondo un attento studio psicanalitico, sono il risultato di sentimenti quali la paura e la violenza causata e subita da Jacopo Ortis. Soprattutto la violenza dei sentimenti e degli ideali tende a soffocare Jacopo, che, per questo motivo, vede solo nel suicidio una via di scampo verso la libertà tanto cercata e amata, non solo politica, ma anche sentimentale. Il suicidio, atto tragico, è anche visto dall’Ortis e rappresentato dal Foscolo, come immediatezza e fatale solennità in cui la morte, larva da fissare senza temere, “rompe la quiete della sera”. È un destino inevitabile per chi, come Jacopo, possiede un animo troppo fragile e sensibile, incapace di sostenere una società tanto vile e meschina. A questo proposito l’asocialità del protagonista, chiuso nel suo microcosmo, fa scrivere al Foscolo: “…Poiché ho disperato e della mia patria e di me, aspetto tranquillamente la prigione e la morte. Il mio cadavere almeno non cadrà fra le braccia straniere; il mio nome sarà sommessamente compianto da’ pochi uomini, compagni delle nostre miserie; e le mie ossa poseranno su la terra de’ miei padri…” La storia, il cui senso è dato dalle età che passando travolgono i popoli e gli Stati, porta Jacopo a scrivere lettere travolgenti, in un tono lirico, mettono in evidenza la sua passione struggente per la patria e per Teresa, definita dal poeta come generatrice di poesia. La necessità del ritorno all’affetto materno, in un antagonismo evidente verso la figura maschile, identificata in Odoardo, fa emergere la polemica destino/uomo in cui si evidenzia una costante foscoliana nell’aspetto laico e materialistico non solo della morte ma anche della vita. Quest’ultima è vista dallo scrittore come un’esperienza breve, infelice, come un sogno illusorio e uno spaziare attonito e spaventato nel nulla. Sono tutti questi elementi che fondano i pensieri del Foscolo su una filosofia della protesta e della rinuncia di un uomo, che deluso storicamente, abbraccia quella concezione sensista causata dalla caduta dell’ideale illuminista di una società moderna fondata sulla ragione e che si è invece rivelata machiavellicamente malvagia.

 CULTURA E COSTUME

Sommario anno XIV numero 3 - marzo 2005