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Sommario anno XIV numero 3 - marzo 2005

 SPETTACOLI

Baricco (delude) a Macondo
(Serena Grizi) - Chi non ha apprezzato le doti di romanziere di Alessandro Baricco può aver più facilmente apprezzato le sue doti di divulgatore letterario (dai tempi del televisivo Totem) per le quali egli stesso, negli ultimi anni, si è andato ritagliando maggiori spazi per dare voce alle pagine di molti autori americani ed europei. Più curiosità ha destato il suo immergersi nel mondo di Gabriel Garcia Marquez in una delle tre serate di lettura al teatro Palladium di Roma. Baricco ha subito proposto alla platea di non entrare nello specifico letterario del libro, ma di sondare i tanti perché affacciatiglisi alla mente già dalla prima volta giovanile in cui, da lettore, incontrò Cent’anni di solitudine (Cds). Sorpreso dalla complessità del giocattolo, l’impianto del romanzo, sembra che in anni recenti, da scrittore, lo abbia smembrato per capirne finalmente i segreti e ne abbia tratto una serie di personali conclusioni. Il romanzo, citando l’incipit di una serie di capoversi, sembra essere costruito per proposizioni sempre uguali ed elementari che fanno il verso al parlato. Sembra inoltre che l’autore non essendo in grado di cavarsela con i dialoghi li abbia quasi del tutto estromessi dal suo stile, limitandosi a quattro o cinque in tutto il libro e riservando ai pochi esistenti battute tanto proverbiali quanto impossibili, secondo Baricco, da rintracciarsi nel parlato della vita di tutti i giorni. Eppure basterebbe pensare al fatto che, anche nella vita di tutti i giorni, ogni narratore orale che riporta aneddotica o storie tradizionali sceglierà solo le migliori e le più dense di significato. Baricco nega che questa serie di trovate siano in realtà lo stile di Marquez, ma solo modi per evitare quello che non sa fare. Baricco, oltre lo stile, racconta come Cds sia privo di umanità e di amore e porta a testimonianza le troppe scene di sesso dense di calore e umori a tinte forti che, se isolate dal contesto, esalano un gusto troppo forte e volgare per qualsiasi lettore. Infatti, in ultimo, consiglia Baricco, quando la sua abituale platea e ormai soggiogata, “provate a sbianchettare (coprire con il bianchetto n.d.r.) le parti dedicate agli amplessi e le parti preparatorie agli stessi e di Cds non rimarrà granchè”.
La novità di questo Baricco conferenziere, in cattedra al centro del palcoscenico, i riccioli ormai domati e imbiancati illuminati da una lampada che lo aiuta a leggere nel buio del teatro, è questo suo approccio destruens e poi intorno ad un autore latinoamericano, terreno nel quale non si era mai addentrato più di tanto se non con Osvaldo Soriano, ma solo per affrontare il facile tema del calcio, fra gli argomenti leggeri così amati dalle sue platee (alle quali un Borges sarebbe stato difficile da ammannire?).
Si potrebbe pensare che la superficialità con cui affronta un premio Nobel è frutto di una sua antipatia verso un autore impostogli (eppure l’intento dichiarato delle tre serate al Palladium è “provare a raccontare quel che so di tre testi che hanno (…) segnato il mio apprendistato di scrittore”), mentre non si vuole credere che Baricco non abbia letto la genesi di Cds e di tanti altri romanzi in Vivere per raccontarla di Marquez uscito nel 2002. Qui, chi ha ammirato il talento visionario di Gabo, troverà l’infanzia vissuta nella casa-ventre miracoloso dei nonni sulla costa caraibica della Colombia (è in quegli anni che comincia a sognare ad occhi aperti) e l’adolescenza nella casa abitata con i genitori, immerso in una povertà nella quale vivrà il sentimento conflittuale di amore-odio per il padre, farmacista e affascinante ballerino, spesso lontano da casa ed incapace di provvedere alla sua famiglia composta da una frotta di figli legittimi e naturali. La stessa casa che Marquez, in preda al rifiuto per la miseria e la promiscuità, abbandonerà non dimenticando di aiutare la sua famiglia e condannandosi per lunghi anni alle privazioni più pesanti non possedendo altro che un paio di sandali, qualche camicia dozzinale e una cartella con i suoi scritti che non lascia mai. Ma Vivere per raccontarla non ha avuto la stessa risonanza cosmica di Cent’anni di solitudine, fosse solo perché è un romanzo autobiografico, non sempre ispirato, ma sempre follemente umano.
Alla fine la platea, seppure con un Baricco che è sembrato fuori-forma, dall’eloquio più spento e meno ricco di argomenti, ha comunque applaudito a lungo. Se ridurre a brandelli un premio Nobel è una nuova trovata per ammannire capolavori a platee stanche e troppo stimolate che si pensa soffrano di nanismo intellettuale, ma che alla fine, in ogni caso, applaudono, allora è inutile criticarlo. Intanto, ignaro delle proprie lacune di romanziere, Marquez è di nuovo in libreria con Memoria delle mie puttane tristi.

 SPETTACOLI

Sommario anno XIV numero 3 - marzo 2005