Considerazioni sull’inconscio e sulla
coscienza
(Silvia Coletti) - Uno degli scopi del lavoro di John Searle
è stato quello di dimostrare che la mente, come la coscienza e la stessa
Intenzionalità, sono fenomeni naturali, ossia reali, cioè fanno parte del
mondo in cui viviamo. Considerato ciò, la causalità di uno stato mentale
cosciente necessita di relazionarsi con stati simili o con stati inconsci,
formando così una Rete di relazioni fra i diversi Sfondi, da cui parte la
possibilità o meno che gli stati inconsci diventino coscienti e questi
ultimi si realizzino.
Cerchiamo di capire allora quale relazione intercorre fra la coscienza e
l’incoscio o meglio ancora fra gli stati mentali inconsci e la coscienza.
La tesi di Searle è che: “la nozione di stato mentale inconscio implica
accessibilità alla coscienza”, ossia non si può concepire l’inconscio
se non come qualcosa di potenzialmente cosciente. Affinché uno stato
mentale sia inconscio, e quindi intendiamo potenzialmente cosciente, deve
possedere in potenza quei requisiti che uno stato mentale cosciente ha in
modo estrinseco, ossia deve implicare una certa Intenzionalità e
aspettualità. Per aspettualità intendiamo la capacità
ontologica ed epistemica del soggetto a pensare, percepire ed agire in un
determinato modo. L’aspetto ontologico di uno stato mentale inconscio è
dato dai processi neurofisiologici del cervello che lo causano.
Bisogna però distinguere, secondo Searle, fra un inconscio superficiale,
cioè accessibile alla coscienza e quello profondo, non accessibile
alla coscienza e quindi nemmeno Intenzionale. Scrive Searle, che fu Freud
a postulare il fatto che “tutti gli stati mentali sono in sé inconsci,
e ciò che chiamiamo coscienza non è altro che un modo di percepire stati
la cui modalità di esistere è proprio l’essere inconsci”. Che cos’è
uno stato inconscio per Freud? È un’idea a cui impediamo di divenire
cosciente. Tuttavia questo stato pur essendo inconscio “può esplicare
degli effetti”, scrive Freud, “che alla fine possono raggiungere la
coscienza”. A questo punto possiamo dire che paradossalmente veniamo a
conoscenza dell’inconscio solo quando si rende cosciente. Va precisato poi
che, per Freud, la coscienza è una parte o un aspetto dell’inconscio,
dunque le informazioni presenti in uno stato inconscio, una volta
esplicitate nella coscienza, vengono da noi conosciute solo in parte.
Searle ha ripreso in particolare proprio questo aspetto del pensiero di
Freud, sostenendo la possibilità che uno stato inconscio possa divenire
cosciente a patto che intervenga una certa condizione, ossia quello che
Freud chiama “atto psichico”. Il fatto che Freud nelle Opere
abbia considerato la possibilità che addirittura gli stati inconsci,
essendo irraggiungibile venirne a conoscenza in un tempo determinato,
poiché atemporali, possono essere resi accessibili, porta Searle a
contrapporre alla posizione freudiana l’obiezione dell’incapacità di
stabilire una corrispondenza fra l’ontologia dell’inconscio e quella dei
processi neurofisiologici del cervello, per permettere il passaggio da uno
stato inconscio ad uno cosciente, senza la necessità sufficiente di una
certa disposizione psicologica. Freud infatti sottolinea la possibilità
che il sistema inconscio possa effettuare azioni già organizzate sotto
forma di riflessi, ma non dice come questo passaggio avviene.
Un altro aspetto invece che differenzia i due pensieri riguardo
all’inconscio e alla coscienza è “la consapevolezza”, che per Freud,
a differenza di Searle, “oltre ad essere una caratteristica dei
processi psichici, che si rivela con immediatezza, non può fungere da
criterio per la distinzione fra i due sistemi”. L’accordo fra i due
pensieri, quello di Searle e quello di Freud, pur se con approcci e
sfumature differenti, è su questo punto: “il nucleo dell’inconscio si
costituisce degli istinti dell’uomo”, ossia di tutto ciò che gli è
familiare. Paradossalmente, anche in base a quello che abbiamo detto
riguardo alla Rete, sembra che sia proprio l’inconscio a permeare l’intera
mente e la coscienza, posizione che sostiene anche Hebb in Mente e
pensiero (1982). Del resto possiamo dire che l’inconscio è quell’attività
mentale che pur non essendo aperta all’osservazione diretta, avviene e
c’è. |