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Sommario anno XIV numero 4 - aprile 2005

 FILOSOFIA DELLA MENTE

Considerazioni sull’inconscio e sulla coscienza
(Silvia Coletti) - Uno degli scopi del lavoro di John Searle è stato quello di dimostrare che la mente, come la coscienza e la stessa Intenzionalità, sono fenomeni naturali, ossia reali, cioè fanno parte del mondo in cui viviamo. Considerato ciò, la causalità di uno stato mentale cosciente necessita di relazionarsi con stati simili o con stati inconsci, formando così una Rete di relazioni fra i diversi Sfondi, da cui parte la possibilità o meno che gli stati inconsci diventino coscienti e questi ultimi si realizzino.
Cerchiamo di capire allora quale relazione intercorre fra la coscienza e l’incoscio o meglio ancora fra gli stati mentali inconsci e la coscienza. La tesi di Searle è che: “la nozione di stato mentale inconscio implica accessibilità alla coscienza”, ossia non si può concepire l’inconscio se non come qualcosa di potenzialmente cosciente. Affinché uno stato mentale sia inconscio, e quindi intendiamo potenzialmente cosciente, deve possedere in potenza quei requisiti che uno stato mentale cosciente ha in modo estrinseco, ossia deve implicare una certa Intenzionalità e aspettualità. Per aspettualità intendiamo la capacità ontologica ed epistemica del soggetto a pensare, percepire ed agire in un determinato modo. L’aspetto ontologico di uno stato mentale inconscio è dato dai processi neurofisiologici del cervello che lo causano.
Bisogna però distinguere, secondo Searle, fra un inconscio superficiale, cioè accessibile alla coscienza e quello profondo, non accessibile alla coscienza e quindi nemmeno Intenzionale. Scrive Searle, che fu Freud a postulare il fatto che “tutti gli stati mentali sono in sé inconsci, e ciò che chiamiamo coscienza non è altro che un modo di percepire stati la cui modalità di esistere è proprio l’essere inconsci”. Che cos’è uno stato inconscio per Freud? È un’idea a cui impediamo di divenire cosciente. Tuttavia questo stato pur essendo inconscio “può esplicare degli effetti”, scrive Freud, “che alla fine possono raggiungere la coscienza”. A questo punto possiamo dire che paradossalmente veniamo a conoscenza dell’inconscio solo quando si rende cosciente. Va precisato poi che, per Freud, la coscienza è una parte o un aspetto dell’inconscio, dunque le informazioni presenti in uno stato inconscio, una volta esplicitate nella coscienza, vengono da noi conosciute solo in parte. Searle ha ripreso in particolare proprio questo aspetto del pensiero di Freud, sostenendo la possibilità che uno stato inconscio possa divenire cosciente a patto che intervenga una certa condizione, ossia quello che Freud chiama “atto psichico”. Il fatto che Freud nelle Opere abbia considerato la possibilità che addirittura gli stati inconsci, essendo irraggiungibile venirne a conoscenza in un tempo determinato, poiché atemporali, possono essere resi accessibili, porta Searle a contrapporre alla posizione freudiana l’obiezione dell’incapacità di stabilire una corrispondenza fra l’ontologia dell’inconscio e quella dei processi neurofisiologici del cervello, per permettere il passaggio da uno stato inconscio ad uno cosciente, senza la necessità sufficiente di una certa disposizione psicologica. Freud infatti sottolinea la possibilità che il sistema inconscio possa effettuare azioni già organizzate sotto forma di riflessi, ma non dice come questo passaggio avviene.
Un altro aspetto invece che differenzia i due pensieri riguardo all’inconscio e alla coscienza è “la consapevolezza”, che per Freud, a differenza di Searle, “oltre ad essere una caratteristica dei processi psichici, che si rivela con immediatezza, non può fungere da criterio per la distinzione fra i due sistemi”. L’accordo fra i due pensieri, quello di Searle e quello di Freud, pur se con approcci e sfumature differenti, è su questo punto: “il nucleo dell’inconscio si costituisce degli istinti dell’uomo”, ossia di tutto ciò che gli è familiare. Paradossalmente, anche in base a quello che abbiamo detto riguardo alla Rete, sembra che sia proprio l’inconscio a permeare l’intera mente e la coscienza, posizione che sostiene anche Hebb in Mente e pensiero (1982). Del resto possiamo dire che l’inconscio è quell’attività mentale che pur non essendo aperta all’osservazione diretta, avviene e c’è.

 FILOSOFIA DELLA MENTE

Sommario anno XIV numero 4 - aprile 2005