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2020: la politica delle cose. Le Sardine, il lavoro, il territorio, il nostro sguardo di cittadini…

2020: la politica delle cose. Le Sardine, il lavoro, il territorio, il nostro sguardo di cittadini…
Dicembre 28
19:41 2019

L’anno si chiude meglio di come s’è aperto. O si chiude peggio. Chi può dirlo? Per chiuderlo siamo andati tutti in pescheria, non solo per i cenoni ma anche per capire le caratteristiche di queste nuove Sardine, che si sono moltiplicate a dismisura. Cosa buona. Cosa pessima. Chi lo sa? Un meme, divertente, ha impazzato su internet (dove tutto ha vita brevissima): un Salvini interdetto prega un Gesù, altrettanto tale, di non fare la moltiplicazione di ‘questi pesci’. Pensiero condiviso se veramente intendono amplificare il gene dell’antipolitica la quale dando i suoi ‘risultati’ continua ad affossare la società. Ma pare non sia così, le sardine non sono antipolitiche ma vogliono restare apartitiche, ‘un movimento’, ma anche questa l’abbiamo già sentita da qualche parte? Comunque ci si ‘travesta’ se è la cosa pubblica che non funziona, la gestione della polis, in qualunque modo si approcci all’argomento si fa politica e poi si fa anche partito: né l’una né l’altra sono parole sporche, che siano state sporcate da loschi individui e da fini poco chiari a volte (anche da troppi segreti di stato per noi italiani) sarà anche vero ma questo non consente di seppellire nella riprovazione la storia politica e partitica del nostro Paese. E questo vale per tutti i partiti ancora ben accetti da tutti nell’arco costituzionale: quelli, per capirci, nominando i quali nella Penisola italiana non si commette reato d’apologia del furfantesimo, della dittatura o, peggio, dell’omicidio politico commesso a mano armata o attraverso la soppressione di tutte le libertà, compresa quella di curarsi, perché rinchiusi in prigione.

Andare in piazza a ripetere che la Costituzione ce la siamo data tutti assieme e quali sono i confini del nostro patto sociale, i paletti, le lapidi sulle quali è scolpita la nostra dignità di popolo, non è una bella cosa da doversi fare ma se serve… Occorre ricordare ad alcuni che i cittadini non devono combattersi fra loro, ma restare uniti per capire dov’è l’inganno, lo sfruttamento, per abbattere eventualmente, quando occorresse, il segreto di stato per non doversi additare fra concittadini quali colpevoli d’uno o d’un altro misfatto, commesso da poteri più grandi dei singoli, i quali poteri agiscono a loro sfavore (i veri cattivi Maestri?), al netto dei complottismi tanto di moda.

Il lavoro, il diritto al lavoro, potrebbe essere un fulcro di questa unione. Stabilito che non se ne può fare a meno, per motivi non solo economici ma anche di pace sociale, questo lavoro dovrebbe servire veramente a qualcosa, soprattutto a far funzionare la vita in comune. I cittadini, in questi ultimissimi anni hanno compreso come, davvero, non sia lo stato a creare lavoro, di come non ne abbia contezza, di come non ne possa tirare le fila: l’impresa grande o piccola crea lavoro, lo stato può aiutare a creare le condizioni per operare meglio (anche se storicamente alcuni grandi industriali non sono stati compresi e lo stato centrale non ha impedito il diffondersi di prodotti di fattura non eccezionale a basso costo a soli fini consumistici…).

Sempre quest’anno, il Presidente del Consiglio Conte ha affermato, anche se la cosa è passata come banalità, di non avere soluzioni per l’occupazione, nello specifico per la ArcelorMittal. Sembra nulla ma mentre altri volevano far intendere d’avere risposte, lui ha ammesso di non averle perché effettivamente una multinazionale è capace di porsi anche sopra i governi degli stati che la ospitano. Pur potendo polemizzare per ore su questa affermazione, essa sottolinea ancora meglio che la soluzione al lavoro ce l’ha l’impresa, piccola, grande, stratosferica quanto volete, ma che parte della soluzione sta anche nelle mani, o nella visione d’insieme, del singolo cittadino e lavoratore e imprenditore. Occorre ridare valore a compiti che aiutino a vivere meglio, non restare schiavi di lavori alienanti che non porteranno da nessuna parte, sebbene sia diffusa una vulgata che ci vuole prossimi  abitanti di Marte o lavoratori del settore dell’immaginario e delle start up. Possiamo far ‘decollare’ qualsiasi nuova idea ma che sia utile a chiudere le buche per strada, a sfornare pane fresco da farine non contaminate, eliminare le microplastiche dal mare e di conseguenza dal pesce; piantare frutta e verdura badando a dove le piantiamo; trattare la spazzatura per non ammalarci tutti di tumore; ripensare il modo di muoverci sul pianeta, di impattare con la nostra presenza. Curare il territorio nel quale abitiamo, guardarlo, sorvegliarlo, perché è un pezzo anche nostro, il che significa non finire seppelliti sott’acqua o ingoiati dalle voragini e dal fango: ora che l’Appennino, che ospita un sesto della popolazione italiana, è in continuo spopolamento e le città sono sempre più grandi e più avide di territori per poterne sfruttare le risorse naturali e per stoccare i propri rifiuti. In tutto questo possono darci valido aiuto coloro che continueranno ad arrivare nel nostro paese in cerca di miglior fortuna, perché hanno voglia come gli altri di essere cittadini a tutti gli effetti.

Si potrebbe proseguire ancora per un bel po’ ma è già un programma politico nutrito, a partire da subito, per i prossimi anni. Può fare da guida, spesso se non sempre, la bellezza. Qualcosa che ci fa stare bene, che non è difficile da spiegare e che tutti capiscono. Ne eravamo circondati anche se rischiamo che del nostro Bel Paese, dopo i naturali sismi e l’innaturale trattamento degli ultimi cinquant’anni, di questa bellezza ne restino solo briciole.

In conclusione, con molto lavoro e una buona dose di ‘visione d’insieme’ ci si augura davvero un buon 2020. O no? (Serena Grizi)

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