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Adiós Fidel!

Marzo 04
02:00 2008

Mio padre porta in casa il Granma come ogni mattina, non so perché lo compri, forse un’abitudine, forse è amico di quel mulatto all’angolo della panetteria di Toyo che lo vende, forse pensa a mia madre che di tanto in tanto ci rincarta roba. Non lo so. Fatto sta che lo compra. Oggi lo sventola a mo’ di bandiera, rosso in volto, emozionato come un ragazzino che racconta una prodezza, sputa fuori una notizia bomba, una cosa sensazionale che farà il giro del mondo.
“Fidel si è dimesso” dice.
“Dimesso da cosa?” domando. “Non vuol più fare il Presidente del Consiglio di Stato e neppure il Comandante in Capo. Dice che non è attaccato al potere…”
In fin dei conti ha governato soltanto per 49 anni, penso. “E adesso cosa succederà?” chiedo.
“Il Granma riporta una lettera di Fidel a Randy Alonso. Pare che stasera alla Mesa Redonda spiegheranno meglio”.
Sì, alla Mesa Retonta spiegheranno tutto. Non c’è alcun dubbio…
Mio padre è costernato. Legge attentamente i quattro fogli sgualciti del Granma. Non lo avevo mai visto tanto assorto nella lettura di un giornale così inutile. Di solito dà un’occhiata ai risultati di baseball, scorre i programmi televisivi, legge i titoli e scuote la testa, non c’è niente di nuovo, pare che dica, gli imperialisti sono lontani, stanno a casa loro, proprio non la vogliono questa fantastica rivoluzione. Oggi no, invece. Oggi si divora il Granma, non perde una frase, sottolinea, annota, rilegge, non crede ai suoi occhi.
“Cazzo, Alejandro. Siamo senza Fidel. Ti rendi conto?”
Povero papà, lui non è abituato ad alzarsi la mattina e sapere che non c’è babbo Fidel che provvede, non è facile metabolizzare l’idea, pure se dicono che siamo anestetizzati da cinquant’anni di regime.
“Ci resta Raúl, papà. Non ti basta?”.
“Non mi basta no, Alejandro. Vuoi mettere?”
Non ha tutti i torti. Fidel è invecchiato, non è mica lo stesso che prese a scapaccioni Batista, il meglio dei suoi rivoluzionari sono diventati controrivoluzionari e chi ce l’ha fatta è scappato a Miami, lui è rimasto sempre più solo, ma si è fatto nuovi amici. I tempi cambiano, i russi vanno a braccetto con gli statunitensi e i venezuelani governano Cuba a colpi di petrolio. Meo Porcello, detto Chávez, scopre complotti, libera prigionieri dai terroristi e a tempo perso attinge preziosi consigli per costruire il socialismo tropicale. Fidel non ce la fa più, povero vecchio, non c’ha il fisico per tenere in mano le sorti d’una rivoluzione sempre più solida e forte, ci vogliono i giovani. Meno male che Raúl è ancora un ragazzino, frequenta combattimenti di galli, scommette, qualche volta vince, s’è fatto amico dei cinesi, vuole il socialismo di mercato, c’ha pure qualche vizietto nascosto, un vero scavezzacollo. Siamo davvero in buone mani. Se poi non dovesse bastare c’è Roberto Alarcón, che non s’intende di economia, ma è un rivoluzionario duro e puro, tutto teoria e politica marxista, sacrifici a colpi di machete, zafra e canna da zucchero come se piovesse. Non gli parlate di pesos e dollari ché non se ne intende, mica può sapere tutto lui, che da piccolo nemmeno andava a Varadero, non viaggiava e non frequentava il Tropicana. Povero Alarcón, che a tempo debito gli è mancato un bel culo di mulatta e adesso parla coi giovani e non sa che dire. Per ora è Presidente del Parlamento, sostiene il voto unico, ché bisogna votare senza sapere chi si vota, tanto va sempre bene. Resta Abel Prieto, ministro della cultura per meriti letterari, ché tra lui e la letteratura c’è stata una bella lotta, ma alla fine ha perso la letteratura, poverina, finita nelle sue mani dopo aver frequentato Cabrera Infante e Virgilio Piñeira, non è un bel morire, credo. Abel Prieto dice che a Cuba si può dire e scrivere quello che vogliamo, magari anche pubblicarlo, dirlo in televisione, sostenere che c’è la censura è da stupidi reazionari. E allora la prossima volta, invece di pubblicare in Italia, mando un romanzo inedito a Letras Cubanas, anzi glielo porto a mano, così mi vedono bene in faccia, mi schedano e fanno prima a mettermi dentro.
“Babbo, mi sa che hai ragione” concludo.
“Ho ragione sì. Sono più vecchio di te. Lo so che ho ragione”.
La rivoluzione cubana in mano ai ragazzini mi fa un po’ paura, lo so che si metteranno a giocare con questa cosa messa su da Fidel in quarantanove anni di duro lavoro e la faranno a pezzi. Mi sembra già di vederli. Raúl che perde tempo con galli da combattimento e creoli dagli occhi castani, Alarcón che prende lezioni di economia e Abel Prieto riscrive Il volo del gatto e prova a fare il verso a Lezama. Tanto pure per loro ci sarà un Paradiso, credo. Ecco il grande cambiamento della nostra storia, che tutto cambi perché niente cambi, come ha già detto qualcuno. Adiós Fidel. Ci mancherai.

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