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Ai confini della storia

Ai confini della storia
Giugno 01
02:00 2008

Ancora per la rassegna I filmissimi proposta dal Goethe-Institut nel mese di aprile varrà la pena di ricordare la curiosa favola noir costruita dal regista Andreas Kleinert nel 1995 sulla realtà di quelle regioni della Germania che la riunificazione ha relegato ‘ai confini del tempo’ (Neben der Zeit appunto) della storia, escludendoli dal suo flusso. A Nedlitz, cittadina del Brandeburgo, uno dei ‘nuovi Laender’, si vive in un’atmosfera limbica, non più DDR e non ancora Germania. Nessun treno della nuova generazione dell’alta velocità ferma più qui, e la giovane capostazione Sophie sembra incarnare uno strano ‘genius loci’, custode del luogo e della vita che qui una volta si svolgeva e ora si va man mano spegnendo. La stessa atmosfera sospesa investe anche la vita familiare di Sophie e i suoi membri: il fratello Georg, legato con un morboso, infantile attaccamento alla madre, e quest’ultima, che di giorno si dà da fare aiutando una parrucchiera con sempre meno clienti, mentre le notti le trascorre cucendo freneticamente a macchina per soffocare l’angoscia del segreto che custodisce. Il marito, infatti, a causa della sua relazione con un soldato delle truppe russe di occupazione, si è tolto la vita impiccandosi. Ma ecco che, nel paesaggio fermo di questa attesa senza oggetto, dove nulla accade ma i presagi si addensano, si va disegnando la catastrofe nella forma più classica, degna della ‘Nemesi’ di una tragedia greca. A entrare in scena nella monotona vita e nei delicatissimi equilibri della famiglia di Sophie è infatti ancora un soldato russo, rimasto nascosto in una caserma abbandonata con l’obiettivo di restare definitivamente in Germania. Sergej, fingendosi ferito per attirare l’attenzione di Sophie, non fatica molto a conquistarla, fino al punto di indurla a presentarlo alla sua famiglia. Giovane, bello, rivestito (letteralmente) con i panni del padre della ragazza, ne occupa la stanza e ne ‘eredita’ le donne. Perché anche la madre inconsciamente ne è presa, nel ricordo dell’altro, che Sergej senza saperlo reincarna. Ma il Fato in agguato disegna con precisione la risoluzione tragica della storia. Oscura sacerdotessa la madre, che, nell’attesa delle nozze dei giovani, una sera di allegria ed ebbrezza, ne inscena l’abbigliamento ed il rituale. Al momento della foto degli sposi, però, ecco Georg andare a posizionarsi tra i due, con un esplicito quanto scontato segnale di riaffermazione del proprio ruolo ed esistenza. Mentre poi i promessi ballano, Georg ubriaco trascina l’unica partner rimastagli, la madre, in una sorta di espressionistica danza macabra, dai gesti violenti e scomposti. Scena che in qualche modo ci ricorda l’esplodere dell’Edipo dolente e mortificato di Martin nella viscontiana Caduta degli dei. Quando infatti, conclusa la serata, tutti si ritirano nelle camere, Georg, insonne ed esaltato, si rende conto che la madre ha raggiunto quella di Sergej e assiste non visto al loro bacio. La violenza allusa e sottesa per tutto il film può ora esplodere e Georg uccide Sergej proprio nel letto del padre, il talamo violato dell’antica vittima, con la perfetta simmetria della tragedia greca. Si chiude così il cerchio della sconfitta di Georg e della ‘salvazione’ di Sophie che, spezzato il vincolo degli ambigui rapporti familiari e dell’immobilismo storico, potrà finalmente uscire dal mito e rientrare nella storia, trasferendosi a Berlino. Questo quanto la regia suggerisce, con soluzioni formali per la verità piuttosto rozze, saltando nessi e sfumature necessari alla lettura e alla verosimiglianza del prodotto, che finisce col non superare i limiti della ricerca, e della testimonianza di un momento storico segnato ancora dall’ambiguità e dalla difficoltà del farsi strada di una nuova coscienza unitaria in un paese fortemente segnato dall’incisione violenta operata sul suo territorio.

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