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All’origine della pretesa cristiana

All’origine della pretesa cristiana
Agosto 01
02:00 2008

Dallo stupore alla convinzione. è questo l’itinerario teoretico, concettuale, ma soprattutto esperienziale che Don Luigi Giussani propone nel suo testo “ all’origine della pretesa cristiana”, secondo passo della trilogia di cui, dal mese scorso, ci stiamo occupando. Nel testo “il senso religioso avevamo visto come la domanda sul fatto religioso fosse intimamente connaturata con la condizione umana; in “ perchè la Chiesa” scopriremo come la pretesa cristiana di un Dio che divenga veramente uomo, possa permanere nella storia; ora ci soffermiamo sul fulcro di questo avvenimento. Stupore, fu questa la prima reazione delle persone che si imbatterono in Gesù senza chiedere qualche cosa per se stesse, ma essendo attente all’ incontro con lui: uno stupore che l’autore rievoca in alcuni incontri narrati nel quarto Vangelo come quelli con i primi discepoli e con la donna di Samaria. Lo stupore porta queste persone a fermarsi, a sospendere l’ordinarietà delle loro occupazioni e dei loro atteggiamenti, per comprendere più da vicino quella persona a prima vista tanto interessante. Solo così si può passare dalla meraviglia iniziale alla convinzione che quell’incontro sia denso di significati per me, che dica qualcosa alla mia esistenza. In questa nuova prospettiva esistenziale i Vangeli, soprattutto il quarto, non sono tanto una fedele cronaca dei fatti nella loro completezza, quanto la rievocazione di alcuni episodi emblematici che possano fornire al lettore gli strumenti per una esegesi anche Cristologica degli eventi: Tornata in città dopo l’incontro con Gesù la donna di Samaria dice ai suoi concittadini “Venite a vedere un uomo che mi ha detto tutto quello che ho fatto. Che sia forse il Messia?” Domanda cruciale che consente di passare dalla prospettiva del senso religioso a quella della fede, scommettendo sulla radicalità di un incontro che, come l’autore mostra mirabilmente, senza togliere nulla alla libertà dell’uomo, ne compie le attese più profonde. “È la grande inversione di metodo che segna il passaggio dal senso religioso alla fede: non è più un ricercare pieno di incognite ma la sorpresa di un evento accaduto nella storia degli uomini”. Un fatto certo imprevisto, ma non irragionevole, anzi profondamente irrazionale da parte dell’uomo è escludere aprioristicamente, come certa cultura anche contemporanea a quel fatto ha preteso di ritenere, la possibilità per un Dio di incarnarsi: possibilità gratuita che don Giussani esemplifica con una immagine suggestiva. “Immaginiamo il mondo come un’immensa pianura, in cui innumerevoli gruppi umani sotto la direzione dei loro ingegneri e architetti s’affannino con progetti di forme disparate a costruire ponti dalle migliaia di arcate che siano raccordo tra la terra e il cielo, fra il luogo effimero della loro dimora e la «stella» del destino. La pianura è affollata da uno sterminato numero di cantieri in cui si svolge il lavoro febbrile. Arriva a un determinato momento un uomo e con lo sguardo abbraccia tutto quell’intenso lavoro di costruzione e, a un certo punto, egli grida: «Fermatevi!». Tutti via via, a cominciare dai più vicini, sospendono il lavoro e lo guardano. Egli dice: «Siete grandi, e nobili, il vostro sforzo è sublime, ma triste, perché non è possibile che voi riusciate a costruire la strada che unisca la vostra terra al mistero ultimo. Abbandonate i vostri progetti, posate i vostri strumenti: il destino ha avuto pietà di voi; seguitemi, il ponte lo costruirò io: io infatti sono il destino». Proviamo a immaginare la reazione di tutta quella gente di fronte ad affermazioni simili. Gli architetti per primi, i capi-cantiere, gli artigiani migliori istintivamente troverebbero a dire ai loro operai: «Non fermate il lavoro, coraggio: rimettiamoci all’opera. Non vi rendete conto che quest’uomo è un pazzo?». «Certo, è pazzo» – echeggerebbe la gente -. «Si vede che è pazzo» – commenterebbe riprendendo il lavoro secondo l’ordine dei suoi capi -. Alcuni soltanto non distolgono da lui lo sguardo, ne sono profondamente colpiti, non obbediscono come la massa ai loro capi, gli si avvicinano, lo seguono. Ebbene, dentro questa forma fantastica, c’è quanto nella storia è accaduto, quanto nella storia accade ancora”. Accade ancora oggi, infatti che Gesù sia etimologicamente scandalo cioè inciampo: che costringa a scegliere, a schierarsi: o si accetta la sfida del incarnazione, o ci si rifugia nelle tante scappatoie che la ragione di ogni tempo si è costruita per depotenziare lo scandalo: dal docetismo dei primi secoli della storia della Chiesa, per cui la natura umana di Cristo era mera apparenza; al razionalismo di tutte le epoche, che pretende di segnare i limiti dell’azione di Dio. Altra caratteristica che emerge prepotentemente dalla ultima citazione è il primato del singolo: Cristo non parla alle masse, ad entità indifferenziate ed anonime, si rivolge a ciascuno nella sua singolare ed irripetibile unicità e da ciascuno, nell’assoluto rispetto della sua libertà, attende risposta. Una risposta che è in primo luogo radicale esodo da se stessi, dai propri progetti, è, continuando nel commento al nostro apologo, posare i nostri strumenti cioè le nostre priorità, i nostri parametri, per dare luogo alla autenticità di un incontro radicale. Quello che colpisce nella lettura che Giussani da del fatto cristiano, è proprio questo primato della dimensione dell’incontro, di menzione scelta da Dio nella sua pedagogia rivelativa. “Il Mistero ha scelto di entrare nella storia dell’uomo con una storia identica a quella di qualsiasi uomo: vi è entrato perciò in modo impercettibile, senza nessuno che lo potesse osservare e registrare. A un certo punto si è posto e per chi lo ha incontrato quello è stato il grande istante della sua vita e della storia tutta”.

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