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Andavamo in vacanza ai Castelli, di Maurizio Bocci

Andavamo in vacanza ai Castelli, di Maurizio Bocci
Novembre 14
11:45 2017

PREFAZIONE di Aldo Onorati È vero: i Castelli erano luogo di villeggiatura specie per i romani, ma non solo. Chi ha la mia età, prossima agli ottanta, nato prima della guerra, ricorda che dalla Capitale salivano famiglie a Frascati, Grottaferrata, Castel Gandolfo, Albano soprattutto per la sua posizione centrale nel cono vulcanico, e Genzano, Ariccia, Lanuvio, Nemi. Però, come scrive nell’introduzione Maurizio Bocci, Rocca di Papa, alta sul mare, fresca di castagni e ricca di dolci caserecci (oltre che di vino rosso), è stato un luogo privilegiato, dato anche il coreografico aspetto della funicolare, la quale sollecitava una sorta di irraggiungibilità a quella altura, seconda, credo, per altitudine, solo a Rocca Priora che slarga il suo panorama su tutt’altri versanti che il mar Tirreno e l’Urbe. I rarissimi corredi qui registrati da Maurizio Bocci mi esentano dal prolungarmi sulle bellezze dei nostri territori, bellezze che forse noi non apprezziamo nel modo giusto, abituati come siamo a panorami che tolgono il respiro. Fatto sta che, nel lontano 1962, un pomeriggio di dicembre, lucido di sole, mio padre e il poeta peruviano Francisco Bendezù Prieto, col sottoscritto, salimmo a Monte Cavo, là dove si vedono i due laghi e la digradante sponda delle colline fino al lucente mare di Tor Vajanica. A un certo momento, il poeta iniziò a piangere, dicendo, con evidente invidia: “Dio ha dato tutto a voi, a noi niente”. E Han Hyeong Kon, della Corea del Sud, il primo traduttore della “Divina Commedia” in lingua coreana direttamente dall’italiano (prima la versione avveniva dal francese), passeggiando con me nelle vie di Albano, proferì: “Aldo, capisco perché vai poco in villeggiatura: qui avete ogni cosa e vivete infitti nella storia”. Se tutti capissimo questa fortuna, non distruggeremmo i nostri luoghi “sacri” con la furia edilizia, con l’intasamento delle strade, con i parcheggi che hanno mutato il volto delle strade, sulle quali crebbero generazioni libere e indisturbate, vocianti bambini, insieme alle rondini che oggi non ci sono più … Il mondo intero è afflitto da tali problemi, ma molti luoghi non lasciano le cose all’incuria degli abitanti, bensì reagiscono opponendo qualche forma di bellezza alla disordinata logica dell’utilità e del guadagno! Maurizio Bocci è un uomo che ama Albano, i Castelli, i Colli. E noto che cresce il numero di chi prende coscienza della situazione, non per tornare ai tempi passati, il che è impossibile, ma per arginare l’avanzare sconsiderato del cemento, della nafta, delle industrie in aree agricole millenarie. Dobbiamo collaborare tutti, per quel che possiamo, al ritorno della bellezza, poiché ciò è possibile, mentre gli anni rimangono sepolti nel passato e unicamente vivi nella memoria. Anche questo è un libro della “memoria”. Quando qualche critico bolla le azioni di recupero come nostalgie fuori luogo, puntando al presente e, anzi, al domani che non esiste (o che – purtroppo – si può già prevedere se non aggiustiamo il tiro), rispondo con la celebre frase riportata a titolo di un libro di Carlo Levi: “Il futuro ha un cuore antico”. La storia è simile a un grande albero, il cui trascorso è la radice poderosa, il tronco, ed il presente sono le foglie e i frutti. Se tagliamo alla base questo edificio naturale, non avremo più nulla: né l’ieri, né l’oggi, né il giorno a venire. La vita è realtà, sogno e memoria. Basta che salti una di queste tre qualità, per azzerare tutto, o, al minimo, squilibrare le cose. Noi passiamo in fretta: la seconda metà del Novecento sembra ieri, e i ricordi dell’Ottocento fanno parte già di un passato quasi mitico. Però – e questo è indubbio – solo all’uomo è dato di fissare le memorie con mezzi che l’ingegno umano ha inventato: la scrittura, la scultura, il disegno, oggi la fotografia. Usiamoli, con grande rispetto per chi ci ha preceduto, affinché quelli che verranno (e questo tempo chiameranno antico), abbiano attenzione per noi che porgiamo loro il nostro presente, il nostro breve passato, cioè quello che i posteri considereranno Storia.

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