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AVREI VOLUTO ESSERE PANTANI

AVREI VOLUTO ESSERE PANTANI
Marzo 02
14:13 2016

 

Un pomeriggio grigio e carico di pioggia, tanta umidità in giro e la voglia di non uscire di casa è tanta: è domenica, mi rilasso un po’, non vale la pena andare fuori con questo tempo. Eppure, da quando a Rocca di Papa è stato riaperto il teatro, non riesco a perdermi neanche uno spettacolo: ho deciso, vado. Danno “Avrei voluto essere Pantani”, monologo   interamente dedicato alla vita dello scalatore di Cesenatico, scritto e interpretato da Davide Tassi con la regia di Francesca Rizzi. Un selezionato pubblico segue in silenzio, si emoziona, si lascia coinvolgere… Scarno il palcoscenico, arredato con l’essenziale: una bici, un tavolino con su una bottiglia di birra e qualche foglio. Lui l’attore, instancabile, convincente, coinvolgente. Un’ora e dieci minuti di spettacolo, dal quale emerge un ricordo onesto e rispettoso del grande ciclista. Lo stesso attore, dopo oltre un anno di ricerche, viaggi e interviste ha scritto il testo che risulta essere alla fine una riflessione sulla lotta al doping. Sul palcoscenico immagina di essere un gregario amico di Pantani e racconta del Pirata, della sua carica imbattibile soprattutto in salita, impresa capace di mandare in visibilio i fans, della sua ascesa e discesa anche nella vita e nella carriera sportiva. Un ragazzo intelligente Marco Pantani, coraggioso, molto carico e pieno di sé che non accetta di essere inquadrato e che sfrutta le sue capacità per portare avanti un percorso senza sottostare alle regole della società sportiva. Un personaggio che dà fastidio, che viene incastrato… questo pensava all’inizio Tassi, che prima di scrivere il copione si è documentato, giungendo poi alla conclusione che non di complotto si è trattato. Tutti sapevano negli anni ’90 che l’uso di sostanze dopanti era la regola, anche se nessuno ne parlava . Sul palcoscenico, proiettato sullo schermo, Sandro Donati, ex tecnico dell’atletica azzurra, consulente della Wada (World Anti-Doping Agency) interviene per parlare di lotta al doping ed è sua anche la collaborazione alla stesura del testo teatrale. Un uomo solo, Pantani, atleta diverso dagli altri corridori che, al suo posto, si sarebbero lasciati alle spalle l’episodio di Madonna di Campiglio e l’estromissione dal Giro d’Italia. Durante il monologo, sofferto, coinvolgente, ben interpretato emerge il lato umano dello sfortunato atleta, sempre più solo, spavaldo ma sensibile, fragile, incapace di riprendersi quando i tifosi e il mondo ciclistico gli voltano le spalle, lo lasciano solo. Il sistema che fino ad allora aveva chiuso un occhio sull’assunzione di sostanze dopanti viene messo a nudo: tutti sapevano, accettavano salvo poi scagliarsi contro chi veniva preso in flagrante. E Pantani è stato proprio il caso più clamoroso, vittima di un contesto ipocrita che a ogni folata di vento pare sia sempre pronto a lasciar precipitare l’eroe o il campione di turno dal meritato podio. Una denuncia, questo bel pezzo teatrale di Tassi contro quel mondo che guarda al successo, oltrepassando la persona, calpestando senza remore chi con le proprie forze dimostra di essere un grande. Proprio come lo è stato Marco Pantani.

Rita Gatta

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