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Califfato e miraggi

Califfato e miraggi
Dicembre 28
19:56 2014

23-Art-IsNera, con impressa la professione di fede coranica, la prima parte della ðahâda: la ilâha illâ Allâh, «non c’è altro dio che Iddio» e sotto la firma di Maometto «Iddio, Profeta, Maometto», resa in stile epigrafico in un cerchio bianco a simulare un sigillo. Si ostenta un dubbio reperto storico che sia stato in contatto con la mano del Profeta e lo si mette su una bandiera, presentata come la più autentica e quindi più radicale.

È il 2 giugno 2014 quando fa la sua prima comparsa la bandiera nera dell’Isil, Stato Islamico dell’Iraq e del Levante, poi denominatosi Is dall’acronimo arabo Dâ’ið. Siamo a Ma’lùla, la città cristiana distrutta dalle milizie islamiche sunnite e liberata dagli hizbullah, il movimento sciita libanese alleato del regime di Bassar al-Asad. Qualche giorno dopo arriva la conferma di accordi con i ribelli islamisti di Dayr al-Zawr per la manutenzione dei pozzi petroliferi passati sotto il controllo dell’Isil. I jihadisti sono diventati petrolieri ed esportano sul mercato iracheno. Da questo momento, sfruttando le risorse naturali prese a siriani e iracheni, i cassieri del ‘califfo’ sono in grado di accumulare centinaia di milioni di dollari al mercato nero dell’energia.

Il vicario dell’inviato di Dio
Lo Stato Islamico è stato descritto dai media internazionali e da leader di ogni parte, non solo occidentali, come un pericolo apocalittico. La novità principale attribuita al suo capo, Abu Bakr al-Bagdadi, al secolo Ibrahim ‘Awad al-Badri, sta nell’aver adottato un’etichetta senza confini (Stato Islamico) che segnala l’ambizione statuale in veste califfale, un territorio da governare senza riferimenti geografici e che si prospetta globale per mezzo del proselitismo e della guerra santa.
Nell’ortodossia musulmana califfo è il ‘Vicario dell’inviato di Dio’, ossia di Maometto. L’adozione del nome Abu Bakr ricorda il primo califfo, regnante dal 632 al 634, che con i suoi tre successori è ricordato come il quartetto dei ‘ben guidati’, eletti che non ereditano il titolo, come avverrà a partire da Mu’âwiya (661-680), fondatore della dinastia degli omayyadi e del relativo grande impero.
La situazione dello ‘Stato Islamico’ a fine novembre (fonte: Repubblica)Obiettivo dell’Is è liberare i Luoghi Santi, riportarli sotto il dominio della fede autentica e consegnarli al governo di un arbitro unico dell’applicazione della dottrina e supremo potere della dâr-al-islâm, la casa di tutti i musulmani, che non conosce confini né lealtà tribali, confessionali, etniche o nazionali, perché si regge sull’osservanza stretta della legge islamica (šarî’a). Edificare il nuovo Stato comporta offrire protezione e servizi alla popolazione: l’organigramma al servizio del califfo prevede strutture dedicate alla guerra nonché alla sicurezza e alla distribuzione di viveri; si riscuotono imposte, si istituiscono scuole coraniche, si allestiscono ospedali, nuclei di polizia religiosa, corti islamiche.
Eppure abilità strategica, ferocia fanatica dei combattenti, ricchezza di risorse finanziarie richiamo della sigla e organizzazione di un particolare welfare non bastano a fare dell’Is una potenza regionale. Anche se definito «Uomo più pericoloso del mondo» al-Bagdadi è un ‘califfo’ molto virtuale. Si presenta come successore di Maometto, ma non è né potrà diventare il definitivo ordinatore dell’universo musulmano. Gli analisti più attenti sono concordi nel definirlo un soggetto ben lontano dall’essere autonomo e in grado di alterare le equazioni di potenza in Medio Oriente.

Eccellente portavoce di se stesso
In effetti lo Stato Islamico non vale tanto per quel che vale sul terreno e per quanto sarà in grado di cambiare la storia o i rapporti di forza in quella parte del mondo, quanto per come si rappresenta e viene percepito, interpretato e usato dalle potenze locali, regionali e globali. Tuttavia nel disordine contemporaneo, le imprese del califfo sono in grado di produrre effetti molto gravi sul sistema, grazie alla fortissima ambiguità e confusione che regna nella sua area di operazioni, dalla crisi di legittimazione dei regimi scampati alla prima fase della primavera araba o da essa generati, dal vuoto strategico e di capacità di corretta analisi delle vicende locali da parte di ciò che residua dell’Occidente nella regione.
In questa prospettiva l’Is deve essere valutato sotto tre aspetti: come rivelatore geopolitico, per la sua incidenza sulle partite levantino-mediorientali e sull’umma islamica; come strumento di soggetti molto più ‘pesanti’, che agiscono per i propri fini in ragione delle ricchezze strategiche dei territori sui quali insiste e di quelli a cui mira; infine, invenzione semplice e geniale, con una grande capacità di attrazione nell’universo islamico e un fortissimo appeal sui musulmani che vivono in Occidente.
L’Is è un eccellente portavoce di se stesso. Astuto nell’utilizzare le nuovissime tecnologie e i più moderni strumenti della comunicazione, con messaggi creati sapientemente per ottenere il massimo di audience; abile nello strumentalizzare l’effetto della notizia che deforma e amplifica l’immagine del ‘mostro’ del giorno. Basti pensare all’esibizione enfatizzata delle modalità deliberatamente efferate delle sue azioni, che non sono poi così straordinarie in quel contesto. Le decapitazioni pubbliche, ad esempio, sono realtà corrente in Arabia Saudita, alleato decisivo nel fronte antiterroristico a guida americana. La novità è che l’Is ostenta gli ostaggi sgozzati, il massacro spietato dei prigionieri, delle minoranze cristiane e yazidee, e utilizza la pronta diffusione in internet dei video di tali imprese per infondere terrore tra i civili e i militari che tentano di contrastarli e per ingigantire la sua presenza sul palcoscenico mondiale.
Così che lo Stato Islamico, pur non essendo (ancora?) uno Stato, e per la maggioranza dei musulmani tantomeno islamico, conquista un rilievo decisamente sproporzionato alla sua importanza effettiva. Se non saremo capaci di comprenderne le caratteristiche salienti e gli obiettivi di più difficile lettura, daremo un valido contributo ad accrescerne la statura in Paesi che non hanno certo bisogno di ulteriori cause di destabilizzazione. Proprio quanto al-Bagdadi e soci si prefiggono, finora con successo.

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