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Cellule staminali: contro l’infarto e le malattie

Settembre 14
09:14 2009

Curare l’infarto del miocardio utilizzando le cellule staminali: una valida alternativa offerta dalla medicina rigenerativa ai tradizionali metodi di cura. Se fino a poco tempo fa il trattamento farmacologico e quello chirurgico rappresentavano l’unica strategia terapeutica, oggi i risultati degli studi condotti dall’Istituto di Neurobiologia e Medicina Molecolare del Consiglio Nazionale delle ricerche di Roma mostrano che è possibile agire sulla crescita e sul differenziamento delle cellule attraverso opportune manipolazioni in vitro, esponendole a campi magnetici in grado di indurre variazioni intracellulari nella concentrazione dello ione calcio e senza dover far ricorso a trattamenti genetici, chimici e farmacologici. La tecnica consiste nel coltivare in vitro le cellule staminali cardiache endogene o adulte a partire da biopsie atriali o ventricolari, così da risolvere il problema legato al numero di cellule sufficienti per consentire un trapianto. Tale ricerca si è servita di un brevetto Ispels-Cnr . “Il vantaggio offerto da questo brevetto”, spiegano gli studiosi, “sta nel raggiungimento in un tempo breve di un aumento sia della proliferazione sia del differenziamento cellulare. È possibile ottenere, dopo pochi giorni di trattamento, un adeguato numero di cellule staminali che esprimono i marcatori del differenziamento cardiaco. Le cellule così differenziate, se trapiantate nel cuore danneggiato, possono ridurre i danni provocati dall’infarto. Inoltre il trapianto può essere anche di tipo autologo: in questo caso le cellule staminali possono essere prelevate direttamente dal paziente per poi reimpiantarle successivamente senza l’intervento di un donatore esterno, ovviando così alle problematiche legate al rigetto”. Gli atteggiamenti legati all’impiego delle staminali varia da paese a paese. In Germania l’estrazione di queste cellule da un embrione è ritenuta illegale mentre in Gran Bretagna è vincolata a leggi rigorose: è possibile impiegare embrioni umani a fini di ricerca fino a 14 giorni dopo la fecondazione dell’ovulo, momento in cui l’embrione si presenta come un insieme di cellule avente la grandezza di una testa di spillo (0,2 mm). In altri paesi manca una chiara regolamentazione a riguardo. Per far fronte alle questioni morali e alle barriere etiche sollevate dall’impiego di embrioni umani come fonti di cellule staminali, gli scienziati hanno spostato l’attenzione su ulteriori tecniche che permetterebbero di ottenere risultati analoghi. Una delle soluzioni alternative è il prelievo delle cellule staminali dal midollo osseo di un soggetto adulto consenziente che, non solo sarebbe accettabile da un punto di vista etico, ma potrebbe anche migliorare la vita di molti pazienti. Un’altra fonte alternativa è la raccolta sangue placentare proveniente dal cordone ombelicale e normalmente eliminato durante il parto. Alcune imprese si offrono di raccogliere il sangue della placenta e di conservarlo, a pagamento, nell’eventualità in cui il bambino si ammali. Tali imprese sostengono che le cellule staminali così raccolte possono essere utili per curare la leucemia, disturbi genetici e immunitari. Inoltre, il sangue proveniente dl cordone ombelicale, può essere utile come fonte di cellule staminali per familiari (sorelle, genitori e nonni).

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