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Chi non crede ai miracoli ?

Settembre 25
11:40 2010

 Sono passati esattamente 70 anni da quando “l’impari lotta”ebbe inizio, la prima a dover subire le prime, tremende, sconfitte fu la nostra marina.

Chi ha raccontato questa storia ormai non c’è più, ma sono convinto che ancora oggi, se potesse, la narrerebbe con la stessa tragica precisione, nei fatti, nelle persone, nel dolore di chi nella guerra non vede niente di eroico, niente di esaltante, specialmente se la lotta è fra un peso piuma con otto milioni di baionette e un peso massimo che può contare su otto milioni di fucili e altrettanti cannoni,aerei, navi, che ha la coscenza insomma, di essere un sicuro perdente, anche se sostenuta da una fede incrollabile. La dichiarazione di guerra era stata consegnata agli ambasciatori di Francia e Inghilterra da pochi giorni…
Una fiammata usci alta dai fumaioli, il cacciatorpediniere sbando sulla destra, a dritta, come dicono in marina e si inabbisso in un mare che chiamavamo nostrum, all’orizzonte in un cielo arrossato dal crepuscolo, le sagome delle cinque navi nemiche che lo avevano tempestato di colpi.
La squadriglia italiana composta dai cacciatorpediniere, Espero,Ostro e Zeffiro erano partiti da Taranto diretti a Tobruk, a bordo 2 batterie contraeree, cannoni anticarro, munizioni e oltre 150 militi di artiglieria.
La ricognizione aerea Inglese aveva individuato immediatamente il convoglio, una formazione di incrociatori iniziò la caccia delle navi Italiane.
L’unità caposquadriglia, Espero, comandata dal capitano di vascello Enrico Baroni, diede l’ordine all’Ostro e allo Zeffiro di disempegnarsi e proseguire la rotta verso la costa Africana, offrendosi come bersaglio con l’intento di ritardare le manovre nemiche, rimasto solo combattè per due ore.
Dopo aver cercato invano, con il fuoco dei suoi cannoni e il lancio di sei siluri di infliggere danno al nemico e tenerlo impegnato più tempo possibile, tra una selva di fontane d’acqua, una ridda di colpi a mezzaria non potè risparmiarla a lungo, uno di questi si infilò nel locale caldaia e la nave incominciò a imbarcare acqua, poi fu la volta della seconda caldaia; altri fendenti si infilarono nel deposito munizioni di poppa, uno cadde sotto la plancia comando, incendiando un fusto di benzina.
Il nostro cacciatorpediniere, ormai fermo, venne ancora colpito ripetutamente, il direttore di tiro e il sottordini erano morti, i pezzi sparavano inutilmente a punteria diretta, il comandante, che fino allora era rimasto in plancia incitando l’equipaggio, scese in coperta, in quel preciso istante un proiettile infilò la sala nautica esplodendo, due ufficiali rimasero uccisi, uno di essi, il sottotenente di vascello Giussani, in ginocchio con un braccio sul tavolo e il capo poggiato sopra, sembrava pregare.
La situazione non permetteva di perdere tempo, furono calate in acqua il battellaccio e tre zattere, la motolancia non potè essere messa in acqua per un guasto ai paranchi.
Qualcuno gridò: Comandante venite, Baroni scosse la testa, il capitano medico Lotti rimase con lui.
Il comandante in seconda si buttò in acqua quando le zattere erano ormai lontane, due marinai lo raggiunserò più tardi raccontando di aver visto il comandante salire in plancia e nel buio della notte, di aver udito due colpi di pistola.
Un icrociatore Inglese giro un fascio di luce da destra a sinistra, poi lo spense, le zattere rimasero sole, nella notte, in mezzo al mediterraneo.
Cosa sia avvenuto di tanti uomini, non lo sapremo mai, fu raccolto solo il racconto degli unici sei superstiti di una zattera ritrovata in circostanze incredibili, dodici giorni dopo, in una zona di mare tempestoso dal sommergibile Topazio a quasi 50 miglia dalla costa della Cirenaica.
Su quella zattera avevano trovato speranza di salvezza trentasei uomini di cui parecchi feriti, questi rimanevano sempre a bordo, mentre gli altri, a turno, scendevano in mare e si aggrappavano intorno.
Ogni volta che avvenivano questi cambi, nel buio e la concitazione del momento ma anche a causa degli scossoni dati dalle onde, i feriti più gravi, privi di forza, scivolavano in mare e sparivano.
Nei giorni a seguire, altri trovarono sepoltura tra i flutti, morire di sete, con tanta acqua intorno è una strana sorte, bere acqua di mare porta a stati di allucinazione, qualcuno gridò di avere intravisto la terra, gli altri, in quell’esile speranza, videro un profilo di montagna verso ‘orizzonte, nitido, chiaro, ma disegnato solo nelle loro menti sconvolte.
La prima vittima di questo stato di eccitazione e tormento fu il comandante in seconda; chiese acqua, chiamò l’ordinanza, si arrabbiò, disse di voler scendere nel suo camerino, che lo lasciassero andare, laggiù aveva ancora dell’acqua minerale, riuscirono a calmarlo, sembrò tornare in sè, incito i vogatori ad un ultimo sforzo verso la terra ormai vicina, poi, quando più non lo sorvegliavano, si butto fuori e scomparve nell’acqua cupa.
Quella notte, un forte vento, distaccò la zattera dal suo miraggio e la porto verso occidente, parecchi morirono, gli altri si abbandonaro sul fondo, senza speranza, aspettando la fine.
L’indomani, i pochi superstiti, credettero ad una nuova allucinazione collettiva; il sole era già alto, in mezzo al mare, irreale ma linda come in un sogno, una lancia di salvataggio.
Remarono con l’unico remo rimasto, agitarono nell’acqua le braccia scarne, la barca sembrava muoversi con la forza di volontà e solo quando toccarono, ancora increduli, quel legno levigato dalla vernice, constatarono che il miraggio questa volta era realtà. Chi non crede ai miracoli ?
Si spinserò sopra l’un l’altro, si trattava di una grossa barca con dodici remi, simile ad una baleniera, di chi era quella barca da dove veniva? si capivano i segni di un’altro naufragio, rovistando ogni angolo trovarono 4 barilotti di acqua da 50 litri, un proiettore Donath, una bussola a sospenzione cardanica, un fanale a candela, tre impermeabili con in tasca fiammiferi e sciarpe, elmetti di tipo Francese, una pistola Very con 30 fuochi, bucce di banana, stagnola con residui di marmellata e della cera d’api, divorarono tutto ciò che sembrava commestibile, Chi non crede ai miracoli?
Lo Mastro, che era il più alto in grado rimasto, ristabilì la disciplina, razionò l’acqua e fece alzare due remi con un camisaccio e un paio di mutande,perchè la barca fosse visibile a maggior distanza, cibo non ce n’era ma l’acqua cosi abbondante dava sicurezza per parecchio tempo.
Erano trascorsi 10 giorni dall’affondamento dell’ Espero, e finalmente un idrovolante apparve all’orizzonte, lo Mastro sparo un razzo, l’aereo si abbasso per meglio vedere, era italiano, gli trasmisero col Donath: Siamo italiani, naufraghi dell’Espero, l’idrovolante rispose: ricevuto, poi sconparve.
La fame attanagliava i naufraghi, dopo i segnali scambiati con l’idrovolante era più forte e decisa la volontà di resistere, la disperazione non lascia nulla di intentato, uno degli uomini spara un colpo di lanciarazzi nel mezzo ad un branco di gabbiani che vola in formazione sparsa, un uccello precipita in mare.
Pulito, cercarono di cucinarlo accendendo un fuoco all’interno di un elmetto, combustibile, il legno di un remo scorticato con un coltellino, rimase in gran parte crudo e un pò bruciacchiato, si tentò di pescare del pesce, con l’ausilio dell’asta di bandiera e del filo di ferro inprovvisarono un amo, i risultati furono scarsi, un piccolo pesce, minuscole razioni crude.
La barca era in balia di se stessa, senza guida, senza volontà; un relitto sul quale dopo tanti giorni di angoscia, tutti erano prossimi alla morte, sotto un sole infuocato.
Chi non crede ai miracoli?.. Si levò una violenta tempesta, il mare si agitò furibondo e il rumore di una immenza fontana raggiunse la mente stordita dei naufraghi, un rombo, uno strano miscuglio di minaccia e dolcezza, la torretta di un sommeregibile emerse causalmente a pochi metri dalla barca, tendendo le braccia della salvezza.
Sul giornale di bordo, il comandante del sommergibile, Topazio, comandante di corvetta Berangan, scrisse semplicemente: Raccolti naufraghi, lasciata barca.
Hanno creduto nei miracoli: il secondo capo cannoniere Franco lo Mastro, il sottocapo cannoniere Antonio Spagnolo, il cannoniere Giuseppe la Tella, il sottocapo fuochista Giuseppe Palumbo, il cannoniere Lorenzo Raneo, la camicia nera Alessio de Luca.
Mare nostrum, Luglio 1940.

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