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Cinema: l’utopia nel XXI secolo sta nei sogni dei ragazzi

Cinema: l’utopia nel XXI secolo sta nei sogni dei ragazzi
Febbraio 19
14:55 2020

(Serena Grizi) Qualche volta la programmazione televisiva, oltre a portarci comodamente a casa qualche film recente che avevamo perso al cinema, sembra proporre titoli per argomento, quasi s’inserissero in una visione d’insieme, come nel caso della messa in onda di CafarnaoCaos e miracoli di Nadine Labaki e Lazzaro Felice (entrambi del 2018) di Alice Rohrwacher.(suoi i bellissimi Corpo celeste, Le meraviglie).

Nel film della Rohrwacher Lazzaro/Adriano Tardiolo, nemmeno a dirlo, è un contadino povero e felice tra altri contadini come lui, è giovane e più degli altri suoi coetanei pare sorridere al cielo e alla natura in quell’Eden che i nostri nonni non sapevano di abitare che era la campagna poco prima dell’avvento della produzione seriale, della eterna ricostruzione del dopoguerra, del turbocapitalismo, dei riti della società borghese e post, dell’ignoranza della terra….Solo che questo Eden è già frutto d’un inganno, in quanto la proprietaria del fondo, approfittando della distanza di questo da ogni via di comunicazione ha tenuto i suoi contadini in stato di mezzadria rapinandoli prontamente di quasi tutta la produzione agricola. I contadini dal canto loro sopravvivono come possono non vedendo, oltre tutto, altra soluzione. In mezzo a questi semplici Lazzaro è il più semplice di tutti essendo, essenzialmente, rapito dalla sua condizione d’osservatore della natura; ha trovato anche un rifugio tra gli armenti per ritagliarsi qualche ora di pace dal durissimo lavoro dei campi. Finché Tancredi, il figlio della nobile proprietaria/Nicoletta Braschi decide di ‘auto-rapirsi’ per chiedere un riscatto alla madre piuttosto tirata e Lazzaro, fra diverse vicissitudini, finisce in un dirupo. Al risveglio, dopo molto tempo, scoprirà d’essere rimasto solo in tutto il fondo; la casa padronale e le dipendenze costituite da poveri casolari ormai diruti e ricoperti di vegetazione. Non gli resta che prendere la via della città, che non ha mai visto, che teme, portandosi dietro il suo daimon, un lupo che simboleggia il suo essere libero e fiero (ma anche il suo essere braccato in una società che è l’antitesi della natura selvaggia). Incontrando per caso una delle mezzadre più giovani, Antonia/Alba Rohrwacher ormai donna, scopre d’essere l’unico a non essere invecchiato e in nome della amicizia stabilitasi un tempo col nobile possidente del fondo dove viveva, ormai anziano anche lui e decaduto, decide d’aiutarlo con i mezzi che conosce: spontaneità, sincerità, solidarietà, valori ai quali è rimasto fedele il gruppo di contadini ormai senza lavoro se non l’arte di arrangiarsi,  i quali vivono una vita da barboni appena riparati da una vecchia cisterna vuota. Ai loro valori, però, la città non è devota e cerca di ricacciare questi poveri da dove sono venuti (nel nulla a questo punto, non avendo più nemmeno la terra); fuori anche da una piissima chiesa dalla quale, questo il punto più alto del film, fugge anche la meravigliosa musica prodotta da un antico organo, musica che pare volerli consolare per le umiliazioni subite. Lazzari felici ancora con poco, ancora avvezzi all’educazione, al dono, alla parola data. Il peggio è che la vecchia tenuta che li ospitava ancora esiste, la terra non vale più nulla se non per l’edificabilità e Lazzaro lascerà scappare il suo spirito, il lupo, senza poter fare a meno di soccombere….Il film è stato ben accolto e candidato a molti premi.

Sorte diversa per Cafarnao – caos e miracoli della libanese Labaki, il quale è stato amato e pluri premiato ma anche molto criticato per il punto di vista piuttosto forte del protagonista, lo straordinario Zain al-Rafeea che interpreta il magnifico dodicenne Zain. Zain è critico coi suoi genitori che sfornano figli in continuazione facendo vivere tutti in estrema povertà e non lo mandano a scuola perché deve lavorare da un odioso fruttivendolo che insidia sua sorella di poco maggiore, da lui amatissima. La ragazzina andrà in sposa al fruttivendolo in cambio di qualche gallina e poco altro data l’estrema povertà della famiglia. Quando questo accade Zain scappa di casa e nel suo vagare finisce in un luna park al centro di Beirut dove fa le pulizie nei bagni la dolce e materna giovane etiope Rahil. Tra molte vicissitudini Zain finirà baby sitter di Yonas il piccolissimo figlio di Rahil e, una volta scomparsa questa, è un’immigrata senza documenti, se lo trascinerà dietro ovunque cercando cibo e occasioni per tutti e due, mettendo assieme decine di trovate ingegnose per risolvere ogni problema si presenti (Zain è un dodicenne grazioso e molto smilzo, Yonas un bambinone ben nutrito difficile anche da tenere in braccio…).

Tornando a casa per recuperare un documento d’identità così da poter realizzare il sogno di lasciare il Libano, così crede, scopre che sua sorella è morta avendo subito le conseguenze di una non riuscita gravidanza su un fisico ancora acerbo….

Zain a quel punto perde la ragione e tenta d’accoltellare il fruttivendolo e poi, arrestato, trascina i suoi genitori in tribunale accusandoli di averlo messo al mondo per fargli vivere un’esistenza di stenti. La sua non è una chiamata universale, facile comprenderlo guardando il film, ma nei confronti di genitori che giudica ignoranti e incapaci di vedere altra salvezza che non la riproduzione continua (sua madre andando a trovarlo in prigione gli rivela che presto un’altra benedizione arriverà sulla loro povera e disgraziata famiglia…un altro figlio). Zain sconta il carcere con coraggio, intelligenza, saper fare, volontà, amore nei confronti di chi gli ha dato davvero tutto ciò che poteva, come Rahil, e le consentirà attraverso una denuncia del trafficante d’esseri umani Aspro, da sempre interessato al piccolo Yonas, di farglielo ritrovare. Zain sorriderà davvero, come una volta quando attendeva il calare della sera con sua sorella sul tetto del loro palazzo, alla fine di questa incredibile pellicola, solo nel giorno in cui, dopo 13 anni, gli scatteranno la foto per il suo primo documento che sancisce il suo esistere nel mondo, la possibilità di lottare per avere diritto allo studio, ad un lavoro che non sia un espediente e se anche tutto questo non fosse vero, lo è almeno in quel momento per la sua giovane speranza (che non sfugga la parola ‘miracoli’ nel titolo).

Il film, secondo i suoi detrattori, manca di verosimiglianza, non tanto negli esterni d’una città che sembra l’inferno (un Cafarnao di caos appunto), nelle piccole solidarietà o ingiustizie che Zain e Yonas riceveranno verso le loro piccole persone, ma per la lucidità dell’accusa di Zain, forse interpretata da un familismo mal inteso come pretenziosa se non ingenerosa verso chi, gratuitamente, da la vita (e che poi, purtroppo, gratuitamente, ne dispone, o la rovina…). Pare che le favole, compreso Lazzaro felice, debbano essere vere solo se ambientate al passato, come se al presente non ci dovesse essere spazio per una libera speculazione sul tempo presente: che i risultati aberranti della nostra organizzazione sociale non possano criticarsi assieme all’aberrazione d’un pianeta stipato di persone che dovrebbero marciare verso un futuro già  interamente deciso da altri. Non più libere di pensare, creare, disegnare quale futuro vogliano: nel rispetto delle regole, ma anche nel rispetto della preziosa unicità che ogni esistenza che viene al mondo porta con sé.

Questi due film si inseriscono, a loro modo, in un filone realista senza disdegnare (a questo forse può tornare utile l’arte?) una ricerca di ‘soluzioni’, senza scartare la possibilità del sogno, della trasfigurazione simbolica, nel tentativo di costruire ‘ali’ alla pedanteria del ripetersi di cronache che stentano a cambiare… La ‘fine’ di Antonio e Bruno in Ladri di biciclette di Vittorio De Sica poteva essere sopportabile per un pubblico che nell’immediato dopoguerra intuiva altri orizzonti, così come quella del giovanissimo Antoine Doinel ne I 400 colpi di François Truffaut.

Oggi un film che rilegge un recente passato, gli anni ’80 del ‘900 e l’attualità delle città impoverite dalla guerra, può e deve lasciare un messaggio di speranza che lasci intuire l’esistenza d’un’altra possibilità…oltre quelle che non si sono colte….per altro queste due opere continuano a lavorare nell’immaginario per molto tempo dopo la loro visione.

Nelle immagini web: Il piccolissimo Boluwatife Treasure Bankole e Zain al-Rafeea in un fotogramma di Cafarnao e la locandina di Lazzaro felice

l’articolo è presente anche su: https://variazioni286450722.wordpress.com/

 

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