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Cipro: ingarbuglio internazionale

Aprile 19
20:17 2013

In questi giorni stiamo assistendo a un’ulteriore dimostrazione di quanto possa essere confusa l’organizzazione all’interno della Comunità europea. Il caso cipriota esploso di recente ci dice che quando si tratta di intervenire su uno degli stati membri scatta un meccanismo burocratico che difficilmente conduce a soluzioni veloci. Abbiamo da tempo sottolineato due importanti elementi caratterizzanti l’Unione Europea: la lentezza nel prendere decisioni e l’incomprensione negli Stati membri: ora ne vediamo gli effetti. Ma cerchiamo di comprendere meglio proprio alla luce di quanto sta accadendo a Cipro. Quando siamo di fronte a una emergenza (vedi ad esempio la necessità di intervento con un prestito ad uno Stato membro), l’eurogruppo decide la soluzione tecnica meno ostica per i governi, i capi di governo la comunicano ai loro cittadini sottolineando che la responsabilità è di Bruxelles, infine la Commissione UE e la BCE eseguono gli ordini, talvolta sanzionano i Paesi e quasi sempre si prendono le colpe. E qui scatta l’antieuropeismo perché il livello in cui si prende la decisione non è mai quello in cui avviene la scelta democratica.

Infatti i problemi insorgono non appena si interpella un Parlamento nazionale, proprio come è successo a Cipro. E diventa così facile anche nascondere le responsabilità nazionali, basta infatti dare la colpa a Bruxelles. Contrariamente a quanto si dice, la confisca sui depositi ciprioti è una misura fiscale di quella nazione, è cioè una tassa che fa parte integrante degli accordi intercorsi al momento del prestito da parte dell’Europa, ma che deve essere ratificata a livello nazionale, cosa che non è avvenuta e che ha reso quindi facile il respingimento da parte del governo e del parlamento cipriota, tacciandola come un errore commesso da altri. Le responsabilità fra Cipro e i paesi dell’area euro sono difficili da chiarire ai cittadini perché c’è poca trasparenza nel processo decisionale europeo: non esistono verbali degli incontri dell’eurogruppo e il suo ultimo capo parla anche molto poco. I capi di governo poi si accordano bilateralmente al telefono e non esiste un vero confronto pubblico, ma esistono solo quelli a livello nazionale. L’unica cosa comune è lo scaricabarile che puntualmente scatta alla fine. Se non fosse tragico, sarebbe proprio comico. Proviamo a seguire la dinamica dei fatti: da qualche giorno tutti accusano il ministro tedesco Schauble per la proposta di prelievo forzoso, ma lui si difende dicendo di essersi opposto, insieme al Fondo monetario, al prelievo sui piccoli risparmiatori ciprioti. La Germania, infatti, scarica la responsabilità sul governo di Nicosia che, per paura di una fuga di capitali, non voleva un prelievo troppo elevato sui ricchi, ma accusa anche la Commissione UE e il membro tedesco della BCE, il quale aveva osservato che una fuga di capitali era già in atto e che bisognava congelare i conti. Il presidente cipriota ribatte di essere stato ricattato da Berlino e dalla BCE che avrebbero tagliato i fondi che tengono in vita le banche del paese. La Commissione e la BCE negano categoricamente e addossano la responsabilità alle trattative politiche svoltesi a Bruxelles. Tutti però concordano di aver imposto a Cipro il limite di 10 miliardi, ufficialmente per non far salire il debito pubblico cipriota oltre il 140% del PIL, ma in realtà per compiacere i governi creditori e limitare il loro esborso. C’è da perdersi nel seguire queste sequenze. Ma siamo lontani dalla soluzione del garbuglio, ce ne sono infatti, dietro la trattativa con Cipro, altre molto più complesse. La più importante riguarda i rapporti con la Russia, che detiene circa 25 miliardi di depositi a Cipro, diventata una delle piazze finanziarie più oscure d’Europa, un serbatoio dove nascondersi. Per non toccare i soldi dei piccoli depositanti ciprioti, bisognava prelevare il 15% circa dai grandi depositi (russi), ma Mosca aveva appena prestato 2,6 miliardi a Nicosia che ora, premuta dai partner europei, ne avrebbe dovuti trattenere altrettanti come tassa sui depositi russi. La relazione europea con la Russia si basa su grandi interessi (vedi la fornitura di gas) e su grandissimi sospetti e la Germania in primis vorrebbe imporre a Cipro la chiusura dei canali finanziari con Mosca, ma ciò implica il coinvolgimento di capi di governo o ministri degli esteri le cui implicazioni sarebbero molto serie. Il rischio è che Cipro possa finire per dipendere così tanto dalla Russia che finirebbe per staccarsi dall’area euro aprendo il varco alla prima uscita di un paese dall’euro. Alcuni la definiscono devastante, forse solo perché potrebbe essere seguita da altri, ma se pensiamo che Cipro conta meno di un milione di abitanti, che politicamente è da sempre conflittualmente divisa in due fra le componenti greca e turca e che si presta ad operazioni finanziarie che non possono certo dirsi ortodosse, forse non è poi un grande danno perderla. Non sarebbe stato difficile per l’Unione combattere dall’inizio la connivenza delle banche cipriote ad operazioni off-shore, raccogliendo sicuro consenso sia tra i cittadini europei che ciprioti, difendendo questi ultimi dagli abusi delle loro banche. Questo dimostra che la coesione europea è ancora molto labile e lacunosa, anche se negli ultimi tempi bisogna riconoscere un’accelerazione verso una convergenza sulla vigilanza bancaria e sul raggiungimento dei parametri di Basilea. Certo, se cominciassimo a non temere più tanto le reazioni alla presa di posizione verso le responsabilità e qualcuno un po’ più coraggioso cominciasse ad assumerle, probabilmente sparirebbero anche i dubbi che ancora aleggiano sulla costruzione di quella casa comune necessaria e auspicabile.

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