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Clown Sorriso: a caccia di sorrisi

Ottobre 27
15:35 2010

Si sentivano per le vie della città rulli di tamburo e squilli di tromba. C’era una gran folla nella strada principale. D’un tratto apparve il corteo: era arrivato il circo.

Davanti a tutti stava Clown Sorriso, colorato e sorridente:
“Voglio regalarvi un sorriso!” prometteva ad adulti e piccini.
Intanto una carrozza trainata da quattro bei cavalli bianchi che scalpitavano, guidava la sfilata.

“Venite al grande spettacolo!” urlava un sorridente saltimbanco. Gli zoccoli dei cavalli producevano un forte rumore sulla pietra serena della strada, mentre giocolieri e mangiafuoco si vedevano caracollare baldi. Un serraglio d’animali procedeva sulla via: tutti dallo sguardo sereno e presi dalla voglia di far vedere quanto unita fosse la famiglia del circo, trotterellavano tronfi di sé e soddisfatti. C’erano zebre ed elefanti, pantere e leoni, cammelli e orsi: non mancava nessuno, pareva l’arca di Noè. Il buon Ben, l’anziano del circo, distribuiva zucchero filato ai bambini che accorrevano per offrire noccioline a Cita, la scimmiotta mascotte del gruppo di artisti.
Un uomo sui trampoli, intanto, attaccava manifesti.
C’era scritto:
“È arrivato il circo del grande Clown Sorriso!” e invitava tutti ad assistere alle sublimi, divertenti rappresentazioni.
I giovani si erano già appassionati. Qualcuno sventolava il cappello in segno di benvenuto in paese. Altri chiedevano e domandavano a che ora fosse aperta la biglietteria.
Un capannello di bambini si era fermato innanzi alla locandina, con raffigurata Bag, la pantera nera. Era quello un circo magico, il manifesto parlò e disse:
“Devono pagare solo i grandi, per i bambini con grande cuore l’ingresso è gratis, basta che sorridiate!”
Intanto passavano per il corso ballerine danzanti: …che fantasmagoria di colori! Un uomo in marsina e cravatta, con il cilindro in testa, sventolava una bandiera tempestata di stelle: era il presentatore.
“Vi aspettiamo al tendone!” annunciava.
Molti fanciulli avevano deciso di proseguire dietro alla banda del circo, cantavano e saltavano urlando di gioia.
Nella piazza principale della città, intanto si stava montando il palcoscenico del circo. I carri degli artisti viaggiatori erano stati disposti in cerchio.
C’erano bianchi, gialli e mori, gente del nord e del sud, dell’oriente e dell’occidente.
L’indiano, vicino al suo bel cavallo pezzato si esercitava per lo spettacolo quotidiano. Teneva in mano il suo arco dal quale, galoppando forte, avrebbe dovuto centrare un bersaglio colorato.
Ogni tanto si fermava e faceva dissudare il suo bel destriero che si chiamava Pinto.
L’esercitazione ebbe termine. L’indiano si apprestò a dirigersi dietro al suo piccolo carro. Lì aveva montato l’antica tenda della propria tribù. Gli serviva per compiere i riti magici. Prese una conchiglia incantata di wampum e cominciò a bruciare dell’incenso:
“È questa la conchiglia che rende la famiglia del circo più unita!” spiegò a Clara la ballerina.
Intanto i due si chiedevano dove mai li portasse il loro capo: il Clown Sorriso. L’indiano si tolse il fascio di penne che gli ornavano il capo e disse a Clara:
“Vaga senza una mèta precisa! Chissà chi o cosa lo guida?”
Clara era un’agile e giovanissima danzatrice. Lei era abituata a esprimere con le proprie armoniche mosse, quello che aveva nel cuore.
Piroettò sulle punte dei piedi tanto che sembrava levitare:
“A me non importa dove ci porta, basta che stiamo insieme!” commentò la ballerina.
Vicino alla conchiglia che bruciava, l’indiano aveva la fronte coperta di goccioline di sudore. Si deterse la fronte e gustò quell’odore un po’ acre che veniva dalla conchiglia mentre egli officiava al cielo. Invocava gli spiriti degli alberi e di Madre Natura, affinché la fratellanza vincesse su ogni cosa.
Parlava con lo spirito del bisonte, con quelli degli animali totemici, chiedeva protezione, ma intanto continuava a chiedersi cosa guidasse Clown Sorriso.
Pregò anche per il mondo:
“Prego affinché il mondo non sia imprigionato dalle ragnatele del male, affinché l’egoismo sia vinto, perché tutti imparino dalla famiglia del circo a vivere in armonia!”
In quel mentre era terminato il giro attraverso le vie della città. Il gran capo buono e amorevole, il Clown Sorriso, comparve alla tenda dell’indiano. Lo udì pregare per la loro grande famiglia e si unì a lui. Nella tradizione indiana ogni uomo è legato allo spirito di nove animali. Presso la tenda dell’indiano stavano nove statuette scolpite nel legno. Si vedevano uno scoiattolo, un bisonte, un ragno, un orso, una volpe, un colibrì, un falco, una civetta e un’aquila.
L’indiano prese l’aquila e la invocò:
“Tu che voli alta nel cielo, aiutaci a vedere sempre la strada!” disse. Clara stava guardando la scena. Vide il pellerossa un po’ timoroso chiedere a Clown Sorriso con quale criterio scegliesse la strada. Coi suoi occhioni belli e ridenti, velati da quel sentimento di tristezza in riferimento alle guerre nel mondo, Clown Sorriso rispose narrando una favola:

LA BUSSOLA MAGICA

Nella colombaia giunse anche quel giorno l’ora del pasto. Il meticoloso allevatore sceglieva con cura il mangime per i suoi piccioni viaggiatori, li aveva selezionati attentamente e contava molto sulle loro doti fisiche.
Tel era un giovane piccioncino, un po’ impaurito dal compito che lo aspettava.
L’allevatore gli aveva già insegnato ad allontanarsi un tantino dalla piccionaia e a farvi ritorno ma si domandava:
“Quando sarò portato lontano, oltre gli Appennini, come farò a ritrovare la strada per far ritorno a casa?” pensava al suo babbo, alla sua mamma e ai suoi fratelli, che per lui erano tutto.
Vicino alla piccionaia scorreva un ruscelletto. Da esso, l’allevatore attingeva l’acqua fresca per abbeverare i suoi uccelli. Anche quel dì l’uomo raccolse il liquido trasparente ed empì gli abbeveratoi. Tel si trovò a bere proprio accanto al padre, un bel piccione rosso, dotato di una potente muscolatura e ricco di tanta esperienza.
“Babbo! Ma come farò a ritrovare la strada di casa? Come farò a ritornare dalla mia adorata mammina e dai miei compagni?” disse Tel col magone in gola.
Il babbo alzò la sua ala poderosa e trasse fuori una bussola.
Tel la guardò. L’ago calamitato lo avrebbe guidato.
“Prendi questa bussola e mettitela sotto l’ala!” disse il padre.
Nel giro di pochi giorni arrivò il momento dei grandi viaggi.
Tel fu portato lontanissimo, ai piedi della penisola che costituisce il nostro Paese.
L’allevatore lo aveva trasportato in una piccola stia. Erano trascorse ore e ore, fino a quando non gli era stato legato un messaggio a una zampina ed era stato lasciato libero.
Tel fremette e pianse, poi si ricordò della bussola.
Alzò l’ala e se la mise davanti agli occhi.
Non c’erano segnati in essa i punti cardinali, ma le vie del cuore.
“Va dove ti porta il cuore!” disse una vocina dalla bussola.
Il cuore indicava proprio la strada degli affetti cari.
Tel si alzò in volo sicuro. Sapeva bene la via che lo avrebbe ricondotto dagli amici e dai familiari, era il sentimento ad indicarla. Si librò fiero in cielo. Sorvolò pianure e montagne. In un tempo da record vide, alla fine la sua colombaia apparire sul palcoscenico e fece rientro. Fu accolto con gioia dall’allevatore e dai suoi amici, dai fratelli e dai genitori, mentre il babbo gli strizzava l’occhio: aveva trovato la strada del cuore.

A quel punto la storia era conclusa. Clown Sorriso alzò la blusa colorata che aveva usato per la sfilata e mostrò il suo prezioso oggetto. Anche lui aveva la sua bussola del cuore. “Ecco dove vado! Dove l’animo mi dice che c’è bisogno di un po’ d’allegria!” disse all’indiano.

Ormai il tendone era stato montato; mancavano solo gli ultimi ritocchi. Aveva colori a strisce turchine e gialle, con un bel telone rosso carminio ad annunciare l’entrata. Avrebbe ospitato quel meraviglioso spettacolo, allestito da Clown Sorriso e dai suoi compagni, fatto con tutto il cuore e il sentimento. Alla preparazione collaboravano un po’ tutti, anche se nella grande famiglia circense c’erano operai addetti alle impalcature e ai ponteggi di sostegno ai lavori, tutti avevano pari dignità. Ognuno aveva un proprio importante ruolo, sia per le fattive opere, sia per quanto riguardava il lato morale della compagnia.
Alcuni inservienti preparavano la segatura nella pista esterna, dove avrebbero galoppato i cavalli, altri rastrellavano la pedana dei saltatori, altri ancora mettevano fiori sui sedili approntati per gli spettatori.
Ad assistere a quelle scene da sogno, durante le quali tutti lavoravano in concerto e buona armonia, stava Mirk, un povero fanciullo da poco rimasto orfano, con il cuore che gli batteva forte e un pensiero sempre rivolto in cielo verso il suo babbo e la sua mamma. Mirk teneva le mani in tasca, aveva poco meno di dieci anni, tanta angoscia in petto e bisogno d’amore.
Sulla destra vide gli elefanti con la loro enorme proboscide e le zampone, più in là c’erano le zebre e oltre ancora i cavalli. Lo stalliere stava servendo il fieno, si sentiva il buon profumo di erba secca.
Nel circo anche lo stalliere è assai considerato, anzi è uno degli elementi più stimati, perché insieme a fresca acqua e cibo, offre agli animali tanto affetto. Senza amore e tenerezza non si può ricavare niente da foche che debbono lanciare palle, cani che devono camminare su due zampe, o scimmie che hanno il compito di saltare e divertire i bambini con atteggiamenti quasi umani.
Lo stalliere notò Mirk guardarlo con aria angosciata e gli si avvicinò. Lo vide magro magro e pallido e gli offrì una caramella. Mirk sorrise, ringraziò e cominciò a gustare una grossa caramella alla frutta. Lo stalliere intanto lo portava a vedere alcuni elementi del circo. C’erano i giocolieri che con destrezza facevano volare in aria, durante l’allenamento, mezze dozzine di cerchi colorati; c’erano i nanetti che ballavano, c’era il mago che provava i suoi numeri.
“Salve!” salutavano tutti cordialmente e sorridendo al piccolo Mirk che teneva per mano lo stalliere.
“Come ti chiami?” chiese il fanciullo all’addetto alle lettiere degli animali e alle loro cure.
“Da quando sono nato tutti mi chiamano Patata, perché mi piacciono le patatine fritte e sono grande amico del nostro capo, il Clown Sorriso, che ama anche lui le stesse leccornie!”
In quell’unione di persone tanto affiatate, unite da una eccezionale armonia, Mirk chiese:
“Vorrei vedere Clown Sorriso!”
Patata prese in mano un palla bianca e rossa e la lanciò verso uno dei giocolieri, che mentre, sdraiato per terra, faceva rotolare dei cilindri azzurri e gialli sui piedi, colpì la palla con la testa e la restituì allo stalliere:
“Che destrezza!” disse Mirk ammirato.
“Ci vogliono tanto impegno e perseveranza e soprattutto voglia di svolgere con tutto il cuore il proprio ruolo!” rispose Patata mentre accompagnava il bimbo presso i magazzini dove sapeva, avrebbe trovato Clown Sorriso.
Intanto che camminavano, i due passarono davanti ad alcuni operai che preparavano l’impianto di luci allegre e variopinte, tutti davano il massimo. Un saltatore provava il suo numero insieme ai fratelli. Ogni tanto qualcuno sbagliava, ma non era redarguito da nessuno, si lavorava in grande concordia, per prepararsi al meglio allo spettacolo.
Mirk si appassionava sempre di più, lui che si sentiva tanto solo e abbandonato.
Giunsero ai magazzini dove Clown Sorriso inventariava il materiale per il trucco di tutti gli artisti. C’erano anche una serie di picchetti, materiali per adornare e rendere sicure le tribune. Clown Sorriso aveva in mano delle bandierine iridate.
“Le porgeremo a ogni bambino e bambina, come simbolo della pace!” disse Clown Sorriso ad altri pagliacci.
“Ti presento Mirk!” riferì Patata al grande capo.
Clown Sorriso aveva una capacità speciale di capire il cuore degli altri e le sensazioni. Comprese tosto che ci voleva tanto amore per Mirk: lo accarezzò e gli sorrise.
“Ma come fate, in un mondo di pregiudizi e divisioni, a essere tanto uniti? Come fate a essere tanto solidali, bianchi, neri e gialli?”
Clown Sorriso fece sedere Mirk su un cavallino a dondolo e gli narrò:

LA FAVOLA DELLE DIVERSITÀ

C’era una volta un bambino che vagava alla ricerca del mondo che non c’è, quel paradiso terrestre dove tutti si amano e si vogliono bene.
Nel suo paese tutti si odiavano.
“Andate via!” urlavano i ricchi ai poveri.
“Siete orribili!” dicevano i bianchi ai neri.
Tutti si muovevano con sospetto odiando e temendo il prossimo, non si ammettevano diversità nell’altro, non c’era tolleranza, non c’erano né i sentimenti di fratellanza, né la capacità di comprendere che bisogna cogliere per apprezzare la ricchezza dalla molteplicità.
“Io voglio cercare!” diceva il bambino.
Aveva in sé tuta la voglia possibile di giungere alla méta.
Salì la montagna. Più si avvicinava al cielo e più si sentiva chiamare da una voce divina. Il suo cuore si stava destando. Ecco che giunse in cima al monte:
“È tutto un fiore!” disse il fanciullo ammirando il prato. Ebbe voglia di gioire e saltare, sentiva profumi ed essenze sublimi.
Le corolle erano bellissime, lui ne accarezzò una: era vellutata e dava piacere sentirla tra le dita. Delicatamente si abbassò per baciare una viola e gli rimase un po’ di polline sul naso. Starnutì e sorrise. Era davvero speciale quel palcoscenico.
Felicità e diletto in quel luogo alto, vicino alla vetta, piacevano tanto al bimbo.
Vide una nuvola sorridere che gli disse:
“Vai a chiamare i tuoi amici e mostra loro il senso della vita!”
Il bambino corse a perdifiato verso valle e chiamò a sé tutti i fanciulli desiderosi di un mondo nuovo, senza cattiveria ed egoismo.
Tutti insieme salirono verso la cima del monte. Si ritrovarono ad ammirare il prato.
La nuvola era lì che li aspettava. Scintillò illuminata dal sole e poi disse:
“Nel grande prato, ogni stelo d’erba è diverso dall’altro, eppure in un tutto armonico e ordinato: non c’è d’aver paura delle diversità!”
I bambini avevano così capito quello che i grandi non capiranno mai.

Clown Sorriso aveva spiegato una delle magie del circo, quella di vincere i sentimenti brutti verso le dissomiglianze, rendendo anzi un pregio le caratteristiche distintive di ognuno.
Abbracciò forte Mirk e gli stampò un bacio affettuoso sulla fronte.
Ormai era quasi tutto pronto per il primo spettacolo. Le tre pedane erano a posto, la pista da ballo anche. I bambini del circo, figli di artisti e addetti alla manutenzione o alla cura degli animali, come ogni mattina si stavano recando al capannone dove si tenevano le lezioni. Anche i fanciulli della grande famiglia circense infatti vanno a scuola e imparano un sacco di cose. Per la precisione, oltre a seguire le lezioni mattiniere per la mente, compiono anche affascinanti e curiose esercitazioni fisiche, per un corpo sano in un’anima sana. Il pomeriggio infatti si riuniscono di nuovo, tentando ognuno di scoprire le personali qualità. C’è chi si dedica a conoscere i puledri, chi prova a camminare sui fili del funambolo, ognuno insomma cerca di addestrarsi in una disciplina.
Il maestro conosceva bene tutti, non c’era bisogno dell’appello. Amava i suoi discepoli e li chiamava per nome, a lui bastava un’occhiata. Alla lezione assistevano anche Paciocco, il cane del circo, e Mio Miao il gatto. I componenti il circo infatti sono persone parecchio speciali. Loro sono sensibili e hanno un cuore puro, così sono capaci di parlare con tutti gli animali, che li capiscono e gli rispondono, mostrando addirittura capacità di amare, comprendere e spiegarsi spesso e volentieri assai superiori a quelle umane. Prima di cominciare a esercitarsi con la grammatica, si parlò della venuta dell’orfano Mirk e del bell’accoglimento che gli aveva offerta Clown Sorriso:
“Il nostro capo ha sempre qualcosa da regalare al prossimo!” si diceva discutendo sulla fiaba che il Clown aveva narrato al bimbo.
Gli alunni elogiavano il loro Clown parlandone al maestro.. Mentre i giovani preparavano i loro quadernini sui banchi, anche Paciocco e Mio Miao seguivano i discorsi sulle caratteristiche di Clown Sorriso, essere tanto buono e comprensivo.
Clown Sorriso quella mattina avrebbe dovuto preoccuparsi di discutere dello spettacolo degli acrobati, ma prima di recarsi al trapezio passò, come ogni giorno, ad augurare buona lezione ai fanciulli.
“Buona giornata a tutti!” disse allegro Clown Sorriso entrando nel capannone pieno di banchi e con appesi alle pareti bei disegni degli animali del circo, che i ragazzi facevano via via e che a ogni tappa venivano staccati e riattaccati. Era un’aula itinerante ma sempre allestita in maniera accattivante: piena di colori e di gioia.
Clown Sorriso parlò della piramide umana che avrebbero fatto gli acrobati il giorno dello spettacolo, intanto aveva in mano una clava rossa, dei cerchi e delle palline che erano il nuovo materiale della famiglia dei giocolieri.
“Ma come fai Clown Sorriso a riuscire a capire e comprendere tutti, come fai ad avere una vista tanto acuta?”
Il nostro pagliaccio cominciò a raccontare:

IL ROSPO IN FONDO AL POZZO

C’era una volta, in un paese lontano lontano, un rospo che credeva di avere una completa conoscenza del mondo. Viveva in fondo a un pozzo e guardava fuori. Dal fondo del pozzo non vedeva che uno spicchio di cielo ma egli diceva:
“Conosco tutto e so di ogni cosa!”
Era un bel rospo, dal colore tendente al rosso mattone, che appariva macchiato da mille sfumature quando, avendo abitudini per natura notturne, si alzava a notte inoltrata per guardare dal fondo del pozzo e la luna lo illuminava.
Se viene avvicinato da un estraneo il rospo assume tutte pose particolari, pronto a secernere un liquido repellente dalle ghiandole cutanee. Sul bordo del pozzo si appostò l’aquila. Il rospo era pronto a difendersi, ma l’aquila non aveva intenzioni cattive. Voleva solo spiegargli quanto la sua vista fosse limitata a guardare solo dal fondo del pozzo.
“Io vedo tutto!” continuava a dire il rospo, giudicando ogni cosa da quel piccolo scorcio che vedeva. Credeva che la vastità del cielo fosse visibile da laggiù ed esprimeva opinioni sulla vita, sulla base di ciò che limitatamente osservava dal bordo di mattoni che vedeva. Nella tradizione spirituali, l’aquila simboleggia i valori fondamentali della vita. Per i greci era la capacità di vedere lontano, per i romani era l’emblema del vasto impero, per i cattolici rappresentava l’evangelista Giovanni con la sua facoltà di comprendere i cuori e l’essenza. Famosa per la sua particolare vista, l’aquila è insomma brava a guardare lontano.
“Il mo nido è in cima all’alta montagna, dovresti vedere il mondo di lassù!” disse l’aquila.
Il rospo continuava a esser convinto di conoscere già tutto.
L’aquila danzò un attimo in cielo e scese in picchiata nel pozzo.
Caricò il rospo sulle ali e spiccò il volo. Si librò in alto, piroettando nel firmamento. Il vento era caldo sebbene fosse tardi. Il rospo non aveva paura. L’aquila compì un volo panoramico e poi s’innalzò verso il nido. Sul fianco della montagna c’era un’infinità di alberi che il rospo non aveva mai visto. Dall’alto si vedeva il paesaggio in basso, vastissimo e piccolo piccolo. C’erano i campi coltivati, la pianura vasta, il fiume che scorreva placido, le tane del camoscio e la volpe che andava a caccia.
“Com’è vasto il mondo!” diceva il rospo.
Adesso che guardava oltre il suo piccolo orizzonte, aveva scoperto quanto grandi fossero le prospettive.

“Bisogna imparare a vedere le cose anche secondo il punto di vista degli altri!” disse Clown Sorriso agli scolari che annuivano.

Come a ogni primavera, capitava in quei giorni che mattine di sole si alternassero a pomeriggi piovosi. Nelle ore grigie le esercitazioni continuavano, magari al coperto. Gli operai allestivano ripari con le strutture adatte e gli artisti non cessavano di prepararsi. Particolare attenzione c’era naturalmente per tutti gli animali:
“Che non si bagnino!” raccomandava Clown Sorriso. Nel circo infatti tutto è basato sul rapporto uomo-animale. C’è grandissimo rispetto per gli elefanti, i cavalli, le otarie, i felini… per tutte le bestie insomma, dato che si richiede loro di collaborare e interagire con le persone.
Al seguito della carovana ci sono sempre veterinari specializzati e addetti al benessere di cammelli e foche, tigri e pappagalli. Gli animali che dovranno esibirsi, sono ospitati in comodi recinti o, quando essi hanno carattere per natura feroce, sono isolati in grandi gabbie, sempre nel rispetto delle loro necessità. Gli esercizi escludono stress eccessivo, non si fa assolutamente uso di violenza.
Si coccolano e si amano tutte le specie.
Nello zoo viaggiante, assai amato era Cam il cammello. Come abbiamo detto nel circo ogni artista, essendo persona particolare e dotata di animo speciale, riesce a parlare con tutti gli animali. Quel pomeriggio, mentre si allenava, il motociclista Brul si sfogava con il cammello Cam.
Il motociclista era un centauro unico al mondo, indossava il suo casco rosso e blu, montava sulla potente moto, pure essa rossa e blu e cominciava a girare a velocità impressionante in una sfera di ferro rilucente. La forza centrifuga che lo scaraventava ai margini del cerchio era tremenda, lui girava vorticosamente e poi saltava fuori dalla sfera compiendo tre giri della morte. Erano scene eccezionali, che richiedevano tanto coraggio e destrezza. Brul apriva e chiudeva la manopola del gas, scaldava il motore e poi partiva all’interno della palla di metallo. Come in un cartone animato si vedeva scorrere velocissimo, tanto che il suo vestito si confondeva con la stessa scia luminosa che l’illusione ottica creava.
Brul provò il numero svariate volte. Si fermò a parlare con Cam che lo guardava mentre fuori dal capannone di allenamento pioveva. La pioggia batteva sul tetto del fabbricato, ma gli animali erano tutti tranquilli, sapevano che gli uomini li avrebbero protetti.
Brul era assai mogio.
“Penso a quanto sarebbe bello vivere tra gli agi e le ricchezze!” disse a Cam. Chi vive in un circo infatti deve rinunciare a tante comodità. Per gli artisti che si esibiscano ciò che conta primariamente è il benessere degli animali, si devono fare tanti sacrifici.
Cam non aveva un ruolo particolarmente difficile, il suo compito era quello di mostrarsi, bardato da drappi orientali tipici di quella zona particolare che è la misteriosa Anatolia, con briglie decorate da belle medaglie istoriate e con un mantello rosso tra le gobbe. Cam mosse i labbroni e rispose:
“È vero, è dura per voi uomini vivere in questo modo, ma le soddisfazioni sono impagabili!” intanto nel capannone accanto si udiva il rumore della carrozza dei cavali che veniva spostata e pulita:
“Senti? Come al solito noi uomini siamo al lavoro e pensare che siamo nell’epoca del benessere, sogno di starmene sereno al calduccio su un morbido divano, tra lussi e soldi!” disse Brul togliendosi il casco e si scostò la folta zazzera dalla fronte, che lo caratterizzava tanto che era soprannominato ‘Brul dal ciuffo’.
Il motociclista bevve un sorso di aranciata mentre Cam commentava:
“Siamo una schiera di amici che si amano. Ognuno qui è importante, dall’operaio al mago. Ci sono musici, poeti, domatori e i pittori che preparano lo scenario. Qui ci sono persone di trenta nazionalità diverse: bulgari, canadesi, giapponesi, russi… ce n’è per tutti i gusti; eppure riusciamo a vivere in grande armonia. Cosa chiedi di più?”
Il cammello era un po’ buffo, con quei piedi strani, gli occhi grandi e le due gobbe, ma diceva cose assai sensate.
Una caratteristica parecchio notevole di Clown Sorriso, era quella di essere sempre al momento giusto dove servisse il suo incoraggiamento. Qualcosa disse al suo cuore che doveva andare dal motociclista. S’introdusse sotto al tendone dove Brul parlava con il cammello e lo udì:
“Vorrei tanto trovare la gioia nello sfarzo e nella fastosità!”
Allora il Clown, che non solo negli spettacoli, ma in tute le ore della sua vita voleva portare il sorriso sul volto del prossimo, si sedette su uno dei panchetti delle foche, che era lì per sbaglio e cominciò a narrare una favola, dopo aver fatto una pantomima scherzosa fingendo di avere un paio di chiavi per accendere la motocicletta di Brul. Il motociclista rise, poi si mise in ascolto della fiaba:

LA FELICITÀ

Il ricco barone se ne stava sul balcone del suo palazzo. Aveva di tutto nella sua casa: un focolare caldo, ori e gioielli, il letto a baldacchino, collane da donare alla baronessa e tanti soldi.
“Mi manca però la vera gioia!” diceva, pensando che chissà in quali ricchezze si potesse trovare la letizia.
Il barone decise di farsi aiutare dal mago del castello.
C’era infatti, oltre la landa, ove l’aria diveniva azzurrissima e fioriva l’erica, il maniero magico di un mago bravissimo e buonissimo. Il barone fece sellare il suo destriero nero e si recò dal mago.
“Voglio trovare ciò che mi darà vera gioia!” spiegò al mago, convinto che lui l’avrebbe aiutato a trovare quei tesori e quegli averi che davano la più grande beatitudine.
Il mago chiamò il suo fedele corvo e si fece portare la sfera magica. Insieme osservarono la palla di cristallo che indicava di procedere alla ricerca delle scarpe dell’uomo sereno.
“Dovrai trovare l’uomo sereno e farti dare le sue scarpe!” disse il mago.
Il barone allora riempì la bisaccia di dolci e buon passito, per andare alla ricerca dell’uomo sereno.
Trovò sulla sua strada un ricco mercante, gli chiese:
“Tu sei sereno?” il mercante mostrò i tanti dobloni che aveva.
Il barone pensò di aver trovato l’uomo sereno, ma poi lo vide tirare calci stizzito al proprio cane e capì che i dobloni non davano la serenità.
“Continuerò a cercare!” disse il barone. Rimontò a cavallo e oltrepassò il bosco.
Vide un uomo nuotare nell’oro:
“Sei sereno?” gli chiese.
“Guarda quanto oro!” gli rispose l’uomo.
Il barone pensò allora che quello fosse l’uomo sereno, ma tosto questi cominciò a picchiare la moglie e fu quindi chiaro che nemmeno l’oro dava la felicità.
Oltre la capitale c’erano le colline, dove abitava la gente più danarosa. Il barone vide un castello decorato da brillanti e zaffiri. Entrò in un giardino dove risplendevano diamanti. Chiese al proprietario se era sereno:
“Ho zaffiri, diamanti e brillanti!” disse il proprietario di tutte quelle pietre preziose; c’erano meraviglie d’ogni sorta in quanto a gemme e simili ma poi il barone lo vide piangere.
Il barone decise che l’uomo sereno era davvero difficile da trovare e disse:
“Farò ritorno a casa!”
Sul percorso incontrò a un certo punto un pastore. Se ne stava a custodire il suo bianco gregge, con due fili d’erba in bocca. Sorrideva e zufolava allegramente.
Si vedeva in quello sguardo che era un uomo davvero contento di vivere. Il barone l’osservò danzare, mentre assisteva allo spettacolo di un’ape che bottinava un fiore.
“Sei sereno?” gli chiese.
“Sono la persona più serena del mondo!” rispose il pecoraio.
Il barone era felice, avrebbe finalmente potuto prendere le scarpe dell’uomo sereno… ma gli guardò i piedi e scoprì che il pastore camminava scalzo: la felicità non sta nelle cose materiali!

Di solito ogni gruppo di artisti e ogni famiglia, mangiava nel proprio carrozzone, ma a ogni vigilia del primo spettacolo si celebrava tutti insieme l’evento con un pasto comune.
“Stasera ci sarà la grande cena di inizio spettacolo!” dicevano contenti operai e artisti, pensando al bell’evento. A maggio già si cominciavano a vedere, dopo il tramonto, le prime lucciole, con i loro lumini intermittenti a rallegrare l’atmosfera. I tavoli principali, ove sedevano Clown Sorriso e gli altri registi, erano riccamente illuminati. Via via le altre mense erano disposte a ferro di cavallo, verso i recinti degli animali. Vicino alla giraffa stavano i tavolini dei fanciulli, un po’ al buio ma colorati dalle rise e dagli schiamazzi. Proprio vicino ai fanciulli stavano le luccioline. I maschi accendevano e spengevano i loro lumini, mentre le femmine, ferme e senza ali, sincronizzavano la loro lanterna, con quella dei pretendenti alla loro mano. Qualche bambino correva dietro alle lucciole, tentando di acchiapparle. A volte ne prendevano una, ma poi la rilasciavano subito, per non farle del male.
Nel circo di Clown Sorriso era un’usanza importante, un po’ un rito, riunirsi tutti allo stesso desco la sera antecedente la prima.
Erano state preparate ghirlande colorate e rificolone, palloncini gonfiati con elio adornavano la scena.
In attesa del pasto alcuni cantavano, altri parlottavano e descrivono i propri esercizi.
L’aria era serena e amichevole. Con molta cura, alcune ragazze, facenti parte della carovana, portavano da mangiare, su piatti di plastica. Gli artisti consumano molto e hanno bisogno di tante proteine. Non mancò quindi la carne, ma le portate furono piuttosto semplici. Seguirono: pane abbrustolito con olio e per dessert tanta frutta.
La cosa più importante era stare insieme, quel condividere, abbracciati il cibo, era un gran simbolo di unione. C’era chi invitava gli amici a cantare, chi si alzava per aiutare le ragazze a servire, chi chiedeva al prossimo se gradiva mangiare ancora, chi si preoccupava di rallegrare i volti pensierosi. Una grande umanità viveva nella famiglia circense.
Preoccupazione di ognuno era quella di far sì che gli altri stessero bene. Naturalmente, prima di tutto, bisognava pensare agli animali, i veri re del circo, ma poi lo spirito di dedizione all’altro era la cosa più importante. Ciascuno si sentiva ricco nell’essere generoso e donava sé stesso con tanta gioia. A quei tavoli non ci si sentiva tristi. Fu una cena bellissima. Tutti erano coinvolti in quell’atmosfera fraterna. I bambini, alla fine del pasto si riunirono vicini al tavolo di Clown Sorriso, che li amava tanto. Giocavano con noccioli di pesca e sassolini, artisticamente dipinti dai pittori del circo. Si divertivano assai, qualcuno dei fanciulli però chiese a Clown Sorriso:
“Come mai nell’epoca dei video games e della tecnologia, noi giochiamo ancora con questi semplici trastulli?”
“Perché sono stati fatti e adornati dai vostri genitori e dai pittori del circo con tanto amore!” rispose il Clown e raccontò una favola:

LA BAMBOLA DI PEZZA

C’era in un bel palazzo la stanza della piccola Lory. Lory era una bambina sempre triste. Se ne stava tutto il giorno davanti ai suoi giocattoli, ma non trovava la maniera di divertirsi e di sorridere.
I suoi genitori erano sempre occupati e non avevano tempo da dedicarle.
“Sono stanco…!” diceva il babbo tornando da lavoro “…ma ho una bambola da regalarti!”.
Una bella bambola parlante fu messa sul tappeto di Lory. Si chiamava Belinda, aveva fattezze tanto simili a quelle umane che pareva confondersi con la bambina.
Lory la guardò, ma non riuscì a giocarci, non poteva quel giocattolo sostituire l’amore del quale aveva bisogno.
Anche la mamma non volle giocare con la figlia, tornata dalle sue cose.
Pure lei aveva una bambola da regalare, questa volta che camminava da sola. Era realizzata in bisquit e cera, come quelle antiche, dai tratti stupendi, ma era modernissima in quanto si muoveva come fosse vera.
“Che tristezza!” pensò Lory guardandola.
Era proprio sola quella bambina.
Continuarono a portarle pupazzi e bambole di ogni genere, ma non si riusciva a vedere il sorriso sul suo volto. Le bambole rimanevano sole sul tappeto, mentre Lory se ne stava in un angolo a piangere.
Un giorno venne a trovarla da lontano la nonna. La nonna le regalò tanto affetto e attenzioni. Lory cominciò a uscire da quel suo stato di torpore e angoscia.
“Vorrei regalarti un bel balocco…!” disse la nonna prima di partire per far ritorno a casa “…ma sono povera!”
La nonna fece una bambola di pezza con le sue mani. Ricucì per bene del tessuto vecchio ed elaborò una buffa bambolina. Era assai bruttina a confronto delle bellissime bambole parlanti e auto-moventi. Quando la nonna fu andata via, tutto tornò triste nella vita di Lory. I genitori la spiarono mentre lei era seduta sul tappeto rosso della sua camera. La videro a un certo punto cessare di lacrimare e prendere la bambola della nonna in braccio, cullarla e finalmente sorridere.
Scartava le bambole moderne e belle, preferendo quella artigianale fatta con amore.
“Perché preferisci quest’orrendo gioco?” chiesero stupiti babbo e mamma.
“Perché questa è una bambola speciale: è fatta con il cuore!”
I genitori uscirono dalla cameretta, poi una volta sul corridoio udirono dei rumori e delle voci provenire dalla stanza. Riaprirono piano l’uscio. Lory stava danzando e con lei la bambola di pezza che aveva aperto gli occhi, parlava e ballava… era divenuta viva.

Finalmente giunse il primo spettacolo. Tanti erano gli spettatori accorsi ad assistere all’evento, soprattutto parecchi bambini. All’ingresso alcune ballerine offrivano pop corn, altre lecca lecca, ma i fanciulli erano tanto ammirati da luci e colori da non preoccuparsi di leccare e mangiare.
In marsina e cilindro, il presentatore diede il benvenuto a tutti:
“Siori e siore, fanciulli e fanciulle benvenuti al circo del Clown Sorriso!” disse. I tamburi rullarono, degli sbandieratori mossero i loro drappi e subito comparvero in scena dei cascatori comici, buffamente vestiti, con dei larghi pigiami colorati e il volto adornato dal classico naso rosso. Un pagliaccio con le scarpone gigantesche cadeva e scivolava, facendo pasticci e mostrando i suoi occhi stralunati. Intanto il pubblico rideva. Ormai era calata la sera, ma di lontano si vedevano le intermittenti luci dell’enorme tendone e si udivano musiche e suoni: non poteva essere una notte triste con il circo in città .
La gente cominciò ad applaudire all’ingresso di Ralf e dei suoi pappagalli. Erano are variamente colorate, prevalentemente verdi, con un collare di piume gialle e ali azzurre, mentre la coda presentava lunghe penne arancioni e celesti.
Ralf faceva salire e scendere i suoi animali da altalene e dondoli, poi i pappagalli parlavano e salutavano i bambini. Gli uccelli parevano adorare l’approvazione degli spettatori e più le persone sugli spalti si impegnavano in calorosi battimani, più loro svolazzavano e si rivolgevano con la loro voce buffesca e un po’ rauca al pubblico.
Dopo i giocolieri fu la volta degli esercizi equestri. Vi erano cavalli bianchi, morelli e sauri che si muovevano con la loro naturale nobiltà e poi mostravano esercizi di alta scuola di dressage. Si vedevano cavalli compiere impennate, spiccare salti e scalpitare a tempo di musica, mentre i loro cavalieri stavano ritti in piedi sulla sella.
“Ecco ora a voi il domatore di leoni!” annunciò il presentatore.
Intanto una soubrette passava tra gli spalti con un cucciolo di leoncino e tanti bambini si facevano scattare una foto ricordo con il felino in braccio.
Il domatore mostrò la sua familiarità con le feroci bestie. I leoni gli ubbidivano come cuccioletti. I piccoli spettatori erano estasiati, in quel mondo di luci e suoni, dove tutti mostravano tanto amore per ogni creatura vivente e ciascuno sorrideva, pareva d’essere in paradiso.
Dopo i giocolieri comparvero i cammelli e poi i cani calciatori, per preparare il pubblico ad assistere all’esecuzioni degli acrobati che tutti guardarono con il cuore in gola e con tanta ammirazione.
Lo spettacolo più bello era provare nelle vene quell’atmosfera magica che si respira nel circo, quella voglia di offrire la propria arte a chi ti assiste osservandoti dalle tribune.
Giocolieri dal gran talento si esibirono accompagnati da personaggi mascherati che suonavano la tromba, ed eccellenti atleti fecero la classica piramide umana, mentre la gente teneva il fiato sospeso, osservando gli equilibrismi e la prestanza fisica. Dopo i contorsionisti si presentò, in attesa dell’intervallo, Clown Sorriso con il primo dei suoi numeri.
Cominciò con il mimare l’uomo di oggi, tanto preso in cose futili, frenetiche e prive di senso. Bambini e adulti ridevano, mentre Clown Sorriso si dava da fare mostrando un figuro intento a fare le mille cose senza scopo della vita quotidiana. Era davvero comico osservarlo intanto che fingeva di trangugiare Yogurt pieno dei cosiddetti indispensabili fermenti lattici, mentre faceva messaggi al telefonino e si esibiva con versi da ridere, agitando le dita sulla tastiera. Mostrò chiaramente come all’uomo d’oggi, tra tv, automobili, impegni vari, rimangano ben poche ore per capire quanto invece si deve amare il vero senso della vita. Prima si muoveva serio mostrando come tutti si diano da fare per compiere cose che in realtà non servono a nulla, poi faceva divertire gli astanti accentuando i movimenti e creando pasticci. Tutta quella pantomima sarebbe servita per introdurre il numero finale, quello che nella seconda parte della serata avrebbe concluso l’intero spettacolo.
Finendo la scenetta Clown Sorriso, che faceva ridere ma dava vita a messaggi molto seri, lanciò in aria delle cioccolate, che caddero proprio presso le tribune ove esultavano i bambini.
Le luci si abbassarono e il tecnico del suolo cominciò a far ascoltare musiche allegre al pubblico, in occasione dell’intervallo.
Gli artisti si preparavano così alla seconda parte dell’esibizione. Clown Sorriso si recò al carrozzone di ristoro. Le cameriere del circo avevano acceso un’antica stufa e alla vecchia maniera avevano conservato la brace per riscaldare il caffè. Clown Sorriso, attendendo che i suoi artisti avessero ognuno bevuto la loro tazza, chiese gentilmente anche lui di avere un espresso. Mentre lo bevevo incoraggiava l’incantatore di serpenti, si preoccupava che i trapezisti fossero calmi ed ebbe da fare un complimento anche a Brul il motociclista.
Le luci si riaccesero e il presentatore aprì la seconda parte dello spettacolo. Sullo sfondo uno scenario con le stelle e la luna, fece da palcoscenico a un bel balletto. Un cigno bianco scivolava lievemente su un cuscino d’acqua, mentre fantastiche danzatrici si muovevano a ritmo di musica. Dopo quella parata iniziale entrarono in pista dei pony, cavalcati da simpatici nanetti coi pantaloni alla zuawa, che dettero vita a una spassosa corsa, poi con un’entrata musicale si esibì un mago.
Le coreografie erano stupende. Saltatori e funamboli apparvero sull’arena, si videro elefanti ballare e canguri fingere di boxare, il classico lanciatore di coltelli e l’uomo che sputava fuoco. Finalmente si giunse all’epilogo, quando Clown Sorriso cominciò a narrare la sua favola. Dopo aver descritto, con l’esibizione del primo atto, la frenesia della vita umana Clown Sorriso disse:
“Non dobbiamo pensare di dover compiere grandi imprese, ma dobbiamo fare alla grande le nostre piccole cose; compito di ogni bambino è quello d’imparare ad amare la vita!” ridendo e mostrando a tutti i suoi begli occhi allegri contornanti di candido cerone bianco, si avvicinò ai bambini. A quel punto cominciò la favola:

LA GIOIA DI VIVERE

C’era una volta un pulcino di nome Bik. Aveva ancora le piume tutte arruffate e razzolava per il pollaio. Correva e correva, pensava di dover fare una corsa per dover arrivar primo. Non capiva che lo scopo della vita è quello di apprezzare il dono di essere, con gioia e felicità.
Bik era tutto preso a inseguire i compagni per rubare loro il mais e il grano.
Non apprezzava i profumi, non ammirava i colori, non si commuoveva davanti alle scene d’amore.
“Non c’è proprio voglia di vivere nel mio pulcino!” disse mamma chioccia. La bella gallina era davvero preoccupata. Ogni mamma che ama con tutta sé stessa il proprio figlio, viene però in ogni occasione ascoltata dagli esseri magici. Proprio vicino al pollaio stava la casa sotterranea di un bravissimo gnomo di nome Far. Far a ogni crepuscolo, quando gli gnomi escono dalle loro tane per andare a vedere se c’è bisogno del loro aiuto, saliva sul segna-vento a forma di Gallo, sopra al fienile. La chioccia lo vide anche quella sera e lo salutò.
“Ciao Far!” disse la gallinella.
Far scese per ricambiare il saluto.
La gallinella era assai triste per via di Bik che si preoccupava di cose che hanno poco valore e non sapeva amare la vita.
“Ci penserò io!” rispose lo gnomo.
Far tornò in casa e si recò nella sua biblioteca a cercare il libro degli indirizzi delle fate. Annotava da una parte le fate che gli sarebbero potute servire, poi vide evidenziato in rosso il nome della fata ‘Voglia Di Essere’. Subito chiamò il piccione viaggiatore per convocare la fatina. Essa arrivò la mattina dopo, proprio al canto del gallo. Bik era già desto e beccava contro gli altri pulcini con fare aggressivo.
“Fermati un attimo!” gli disse la fatina.
“La vita è gioia d’amare! Scegli l’amore!” proferì ‘Voglia Di Essere’.
“La vita è un’essenza speciale: gustala! La vita è un gioco di colori: ammira l’arcobaleno! La vita è amicizia: godila!”
Bik respirò forte e sentì il profumo delle rose, guardò estasiato i colori del sole che nasceva, corse a giocare con gli altri pulcini cambiando modo di vivere e rispose alla fata:
“La vita è felicità: voglio essere felice!”

La favola era terminata e con esso era anche finito il primo spettacolo. L’applauso fu fragoroso. Il pubblico era davvero contento e anche Clown Sorriso soddisfatto. Il sorriso era sul volto di tanti bambini.

Clown Sorriso se ne stava nel suo carrozzone, dopo cena, a guardarsi allo specchio. Per ore e ore al giorno un pagliaccio si esercita in salti, capitomboli e numeri speciali ma deve anche trascorrere tanto tempo a mimare e fare versi allo specchio. Aveva il viso dipinto di bianco, i capelli sembravano una parrucca; lui ruotava gli occhi, cercava di assumere espressioni speciali. Fuori le stelle brillavano in cielo, Clown Sorriso si staccò dallo specchio e uscì un attimo sugli scalini del carrozzone. Udiva una chitarra suonare, come al solito la famiglia dei giocolieri cantava per salutare l’arrivo del sonno. Clown Sorriso si avviò verso il bivacco della famiglia canterina. La sorella maggiore di Frank, il ragazzo giocoliere, teneva la chitarra sulle ginocchia, mentre muoveva il plettro e batteva un piede per ritmare la musica. Il babbo e la mamma la guardavano contenti, attendendo il momento per attaccare lo stornello. Sul fuoco bolliva dell’acqua, che sarebbe servita per l’infuso di camomilla.
Era una bella famiglia, ma Frank se ne stava da una parte. Era un suo modo di comportarsi piuttosto brusco, non voleva scambiare emozioni, idee e parole, nemmeno coi propri cari. Ogni tanto la sorella si fermava e lo invitava ad aggregarsi al coro, al quale partecipavano anche i due fratellini piccoli, già in pigiama, col quadernino dei compiti in mano, preparato per la lezione del giorno dopo:
“Lasciami in pace!” diceva stizzito Frank, che era un giocoliere provetto ma assai scorbutico e asociale.
Il volto della suonatrice di chitarra era splendido mentre spiegava la voce con un inno rivolto al cielo, i familiari si stringevano nell’osanna allo spirito dell’amore e Clown Sorriso sentiva battere forte il cuore in petto.
La musica libera l’animo, è bello cantare uniti. Frank rimaneva per le sue. È un’arte antica quanto le tribù primitive quella dei cori. Cantare assieme riesce a scuoterti le vene.
La bocca dei cantori si apriva e si chiudeva dolcemente, il coro ispirava pace, come se una musa magica stesse a ispirare la sorella con la chitarra.
La ragazza impostava la voce cercando di renderla migliore.
Il canto s’ interruppe.
“La camomilla è pronta!” disse la mamma, servendo tazze fumanti. Stavano seduti su dei ciocchi, tutti insieme.
“Io non ho voglia di tisane e robe varie!” rifiutò Frank.
Mentre i piccoli bevevano piano piano la loro camomilla, la ragazza riprese lo strumento. Le sue dita si muovevano snelle lavorando sulle corde. La mano scorreva su e giù sul capotasto. Gli occhi dei familiari erano speciali, mentre l’ammiravano; l’intesa tra i cantori era magnifica. Solo le pupille di Frank erano vuote e lontane da quei momenti.
“Non voglio scambiare niente con nessuno!” disse Frank.
Clown Sorriso allora si avvicinò e disse:
“Permettimi di raccontarti una favola!”…e cominciò:

LO SCAMBIO

Il coniglio Pen era assai egoista. Se ne stava solo presso la sua tana e scambiava cose con gli altri, solo se poteva trarne vantaggio.
“Scambiamo idee e amore!” diceva la marmotta.
“Mai e poi mai!” rispondeva Pen.
Non aveva intenzione di mettere in comune emozioni e sentimenti. Il coniglio mirava solo ad accumulare e ad avere cose.
Nella sua tana c’erano monete e riserve di carote, tanto egoisticamente racimolate che erano andate a male. Si sentiva odore di muffa e tante formiche camminavano sugli arancioni ortaggi. Pen non pensava che tutto quell’accumulare cose non serviva a niente.
“Scambiamo idee!” continuò a proporgli la marmotta. Nonostante la marmotta sia un mammifero piuttosto pesante è capace di salti e acrobazie. Balzò sull’albero e disse ancora:
“Voglio darti amore!” ma il coniglio rifiutava.
“Se vuoi darmi qualcosa scambiamo qualche moneta!” rispose Pen.
Con il suo nasino chiaro la marmotta sorrise. Mosse la folta coda scura e pelosa e mostrò sotto alle felici labbra i suoi dentoni mentre rideva.
“Scambiamo pure le monete, ma se io do una moneta a te e tu una moneta a me, abbiamo sempre una moneta per uno; se invece io dono una mia idea a te e tu una a me, abbiamo entrambi due idee !”
Fu così che Pen il coniglio imparò a scambiare idee e sentimenti con gli altri: si tratta del solo scambio che fa chiaramente arricchire.
Da quel giorno la tana di Pen non fu più maleodorante di muffa, aveva smesso di accumulare cose che si sarebbero sciupate,

La mano della chitarrista si posò delicatamente sul manico e riprese a suonare. Clown Sorriso intonò il ritornello, la cassa armonica vibrava forte, ci fu un momento di forte emozione e commozione: Frank si alzò dal suo cantuccio e si unì al coro.
“Amore pane di vita…!” cantarono in coro.

Quella sera, durante lo spettacolo, un uomo sui trampoli distribuiva dolci ai bambini sugli spalti. Tutti sorridevano. A un certo punto cominciò l’emozionante numero dei trapezisti. Il circo aveva avuto un gran successo nei dì precedenti. In città si parlava dei due artisti che giocavano con il fuoco e del clamore del pubblico quando la coppia roteava in aria le torce, mentre le luci erano abbassate; si raccontava degli esercizi dei cavalli e dell’allegria del circo; ma proprio gli acrobati erano i più osannati. La regina del trapezio era Zara, una ragazza davvero ardita e piena di ardore. Il suo show era davvero temerario. Ella si lanciava da un attrezzo all’altro a grande altezza da terra. Pareva volare, sembrava un essere celestiale munito di ali. Quando cominciò il suo spettacolo la gente si ammutolì nell’ammirarla. Si dondolava sull’altissima altalena e compiva numeri ginnici nel vuoto. Non vi erano reti a proteggerla. Si lanciò da una lunga sbarra orizzontale sorreggendosi con una mano a una canna oscillante. Il suo abito argentato rifletteva illuminato dai fari. Sembrava librare nell’aria come una farfalla. Provò un salto doppio, poi uno triplo e uno quadruplo.
“Stai attenta!” urlavano gli spettatori.
Lei balzava e volava cogliendo di sorpresa il pubblico attonito.
Volò nel vuoto; per un attimo persino tutti i componenti la compagine del circo si fermarono, percependo che stava per accadere l’incidente… Avrebbe voluto spiccare un balzo difficilissimo da un’altalena all’altra.
“Non lo fare!” urlò Clown Sorriso… ma Zara si lanciò ugualmente. Si buttò dagli scalini della gradinata più alta del trapezio. Di lassù tutto doveva apparire minuscolo. Dagli spalti si vedeva il suo corpo snello ma muscolato. Alle gambe aveva un paio di collant fini, un corpetto d’argento, anch’esso attillato, le fasciava il busto. Zara sentì nelle orecchie il battimani della gente. Fu un vero volo, fino all’altro capo del trapezio. Tese le mani per aggrapparsi all’appoggio, ma il sostegno cedette per la troppa velocità. Venne giù in un attimo. Fu un vero miracolo che non avvenne la tragedia. Atterrò proprio sul materassino dei pagliacci, ma si vergognava tanto per aver fallito il numero.
Gli occhi di Zara si riempirono di lacrime. Aveva deluso il pubblico, aveva mancato la riuscita dell’esecuzione.
Intervenne allora Clown Sorriso che raccontò subito una storia mentre tendeva una mano a Zara per aiutarla a rialzarsi:

DOPO CHE SI È CADUTI

Nel bosco incantato, tra folletti e fate, vivevano le belle renne; sì proprio quelle speciali che trainano la slitta di Babbo Natale. Tra le otto renne magiche dell’eccezionale essere di rosso vestito, che reca doni a tutti i bambini buoni del mondo, c’era Dancer, che aveva avuto un bel figlioletto.
Il suo piccolo sognava un giorno di riuscire a portare anche lui la slitta magica di Babbo Natale, con al collo la campana fantastica, che solo i puri di cuore sanno udire tintinnare.
“Voglio crescere e imparare il tuo mestiere papà Dancer!” diceva la piccola renna. Provava a galoppare, ma cadeva sempre. Cadeva e si abbatteva, non voleva più rialzarsi.
Le renne di Babbo Natale sono davvero speciali, soprattutto perché sanno volare. Riescono a salire in cielo grazie alle stelle fatate che vengono loro donate dalle fate, quando sono particolarmente buone, generose e dedite a rendere felice il prossimo.
Il figlio da Dancer era parecchio buono. Le fate seguivano i suoi tentativi d’imparare a galoppare, volavano vicino a lui, ma egli non voleva prendere il coraggio a quattro zampe e trovare la forza di rialzarsi. Galoppò anche quella mattina, mentre la neve scintillava illuminata dal bel sole della Lapponia e gli scoiattoli lo guardavano esercitarsi.
Cascò.
“Rialzati!” gli dissero le fatine.
“Non trovo il coraggio!” disse il piccolo di renna.
Le fatine si fecero lui intorno. Cantavano e lo incitavano. Non c’era verso di farlo rialzare. Allora la regina delle fate prese il campanellino magico, quello che dava forza d’animo e risolutezza. Mise il campanello al collo del piccolo ed esso trovò quella decisione che ci vuole per riprendere il cammino.
“Bisogna sempre rialzarsi quando si cade!” disse la regina delle fate al cucciolo di renna.
Il piccolo si rialzò e da quel giorno imparò a galoppare… sarebbe diventato certamente una delle renne magiche di Babbo Natale.

La favola era conclusa, Zara si era rialzata.
“Non c’è vergogna a cadere, basta trovare sempre il coraggio di rialzarsi!” disse Clown Sorriso e tutti applaudirono.

Giunsero i giorni per preparare carri e bagagli e partire verso un nuovo luogo. La vita del circo è così, in continuo viaggio, a portare felicità e segni d’amore ovunque. Gli addetti stavano smontando i tralicci di ferro, le gabbie, i recinti. Gli artisti continuavano a esercitarsi, in vista della successiva tappa, sempre tesi a migliorare e affinare i propri numeri. Clown Sorriso, come al solito, dopo i salti e le capriole era davanti allo specchio, tentando di assumere nuove espressioni.
Le bandiere colorate, all’ingresso del tendone erano già state riavvolte, i cammelli pronti per salire sul camion la mattina dopo e le tigri pure. L’indiano stava officiando i propri totem di legno scolpito, chiedendo agli spiriti del bisonte e del grande albero protezione.
Nel piazzale antistante il recinto degli elefanti, i suonatori accompagnavano i lavori con melodie di flauti e trombe assai allegre.
Da una parte c’era Mirk l’orfanello che guardava le scene operose con attenzione. Vedeva tutta quell’unità, quell’armonia, quella capacità di vivere coesi.
“Che bello!” pensava il fanciullo, tenendo le mani in tasca e cercando in esse una monetina per comprare un pacchetto di pop corn al carro di ristoro che stava chiudendo. Come al solito non aveva nulla per acquistare qualcosa. Aveva i lucciconi agli occhi. Dai gradini del suo carrozzone Clown Sorriso lo aveva già visto. Intuì i suoi bisogni e gli offrì un sacchetto di pop corn.
Mirk lo abbracciò, bisognoso di affetto.
Degli operai riponevano nei cassoni i multicolori abiti dell’equilibrista e del mago, che sarebbero stati sfoggiati nel prossimo luogo di destinazione.
Alcuni artisti stavano informandosi:
“Dove andremo?”
Era bello poter conoscere nuovi siti e vedere nuova gente, così diversa eppure così simile allo stesso tempo.
Il domatore di leoni, nella grande gabbia provava ancora la sua scena. I criniti felini ruggivano ma lo amavano. I più giovani leoncini erano i più indisciplinati, non eseguivano subito gli ordini:
“Impareranno presto!” disse Clown Sorriso a Mirk che ammirava il domatore. Un inserviente aiutò il domatore a portare un leoncino su uno sgabello, per insegnar lui a sedersi come prevedeva l’esercizio. Non c’era bisogno di chiedere, nel circo tutti erano uniti e ognuno dava una mano all’altro. Un musichiere, con un gaio sorriso sul volto, passò un cerchio al domatore e un leone vi saltò attraverso.
“Ma come fate a essere così uniti?” chiese Mirk a Clown Sorriso.
Il pagliaccio lo abbracciò, percependo la sua necessità di sentirsi amato e poi gli narrò una favola:

UNIONE E DIALOGO

Zut camminava in solitudine lungo la riva del fiume. Era un fanciullo incapace di dialogare col prossimo e unirsi all’altro, così era sempre triste e mesto.
Mentre procedeva spostandosi lento, seguendo la corrente del corso d’acqua, vedeva i narcisi specchiarsi nel liquido trasparente, intanto che varie forme di pesci affioravano in superficie saltando gai e cantando alla natura.
Un lieve vento si alzò a smuovere le canne di bambù che crescevano sulla riva. Attraverso quella brezza Zut udì le parole del fiume. Il corso d’acqua parlava coi narcisi, invitava i castori a sguazzare felici mentre costruivano la diga. In un bel tutt’uno, anche le lontre nuotavano tra le fresche onde del fiume. Tutta la natura, intorno alle rive ciottolose, dialogava d’amore. Cantavano gli usignoli, crescevano le more e profumavano le rose selvatiche. Zut accennò un sorriso. Si sentiva meno solo in quell’armonico luogo di pace e unione. Un folletto colorato suonò un flauto magico, sulla sponda del torrente. Una trota d’oro saltò a vedere. Ridevano gli scoiattoli che saltavano da un albero all’altro. Il sole scaldava il palcoscenico. Era un sito di paradiso. Erano tutti intorno al fiume che procedeva verso il mare e continuava a parlare di pace.
“Come fai a dialogare con tutti?” chiese Zut al fiume.
“È così che imparo a vivere, capisco come si fa a essere parte di un tutto e saprò così dare il mio contributo, quando proverò la gioia, alla foce, di unirmi all’oceano! “
Il fiume proseguì il suo viaggio verso il mare e Zut rimase a bocca aperta, il fiume gli aveva insegnato nella maniera più esplicita cosa sono l’unione e la collaborazione.
“Anche io voglio imparare a dialogare coi compagni!” disse
Zut e si avviò verso il paese deciso a fare nuove amicizie.
Aveva il sorriso sul volto.

Mirk aveva ascoltato bene le parole del Clown.
“Che bello sarebbe far parte del circo!” pensava… ma intanto Clown Sorriso stava preparando una sorpresa per lui…

Bravi professionisti avevano caricato sui camion palchi e pedane. Anche il carro coi tendoni, i tavoli e le sedie erano apposto: personale altamente qualificato aveva lavorato con cura. Scese la notte. Già Clown Sorriso pensava al viaggio che sarebbe cominciato all’alba del nuovo giorno.
Il nostro pagliaccio stava levandosi la biacca dal viso, intanto mangiucchiava la sua buonissima cioccolata svizzera, fornita lui periodicamente da un carissimo amico del Canton Ticino.
Gli abiti di scena erano riposti in un baule, Clown Sorriso aveva già in mente il prossimo spettacolo, quando si avvide che parte della cioccolata era sparita. In un angolino, sul suo carro osservò una piccola figura nascondersi. Era Mirk: l’orfanello.
Il Clown posò le mani sui fianchi e lo guardò:
“Cosa ci fai sul mio carro?” disse fingendosi arrabbiato.
Il piccolo aveva la bocca sporca di cioccolata, evidente segno che rivelava chi era l’autore del furto.
Clown Sorriso ridacchiò e lo abbracciò. Quel fanciullo aveva davvero bisogno di tanto affetto.
C’erano, sul piccolo tavolo del Clown, le nuove locandine che sarebbero state affisse una volta giunti alla città di destinazione. Mirk guardò i manifesti, sognando di potersi aggregare a quella grande famiglia, ma non osava parlarne a Clown Sorriso, proprio ora che era stato scoperto. Il pagliaccio non lo rimproverò, anzi gli offrì ancora cioccolata. Mirk non ne voleva e Clown Sorriso, per farlo sorridere un poco, cominciò a narrargli una favola scherzosa.

IL FURTO DELLA CIOCCOLATA

Gino era un bambino assai goloso: gli piaceva tanto la cioccolata. Alla fine della partita, all’oratorio, sapeva che Padre Renzo offriva sempre ai fanciulli saporiti dolci e proprio cioccolata.
Nascoste nel cassone, dietro la sagrestia, stavano riposte ordinatamente tavolette di cacao fondente, al latte e con le nocciole.
“Le ruberò!” decise Gino.
Il prete si accorse tosto che mancava gran parte delle golosità.
Conosceva bene il vizio di Gino e furbescamente lo convocò al confessionale.
“Hai peccato?” domandò il prete al bimbo.
Gino diceva di essere puro come una colomba bianca.
Padre Renzo uscì da dietro la grata del confessionale.
Ho della buona cioccolata, disse traendo da un cofanetto tante tavolette di buon cacao.
“Adesso le distribuirò!” disse e continuò.
“Una a me… una a te… e una a chi ha rubato in sagrestia!”
Gino fremeva pensando a quel buono e gustoso cioccolato.
“Una a me… una a te… e una a chi ha rubato in sagrestia!” seguitava Padre Renzo.
Gino non ne poteva più.
“Una a me… una a te… e una ha chi ha rubato in sagrestia!”
A quel punto Gino si rivelò quale l’autore del furto.
“Sono stato io!” disse.
“Com’è giusto riceverai in premio la tua parte di cioccolata per aver confessato! Non lo fare più!” disse il prete e lo perdonò.

Mirk rideva di gusto.
“Anche io mi voglio confessare: sono l’autore del furto!”
Clown Sorriso accarezzò Mirk e gli offrì la cioccolata che questa volta accettò.
“Vorrei stare sempre con voi!” disse l’orfanello.
Il pagliaccio aveva conoscenze tali da poter ottenere l’affidamento del piccolo. Si sbrigò lesto a fare le apposite telefonate.
“Faremo in modo che tu ti possa aggregare alla nostra grande famiglia!” rispose al bambino.
Mirk sapeva di aver tanto bisogno d’amore, sapeva che nel circo avrebbe trovato un ambiente fantastico. Si mise a piangere di felicità, mentre il Clown preparava per lui un lettino e già pensava a quale ruolo gli avrebbe attribuito all’interno del circo.
Quella notte Mirk fece sogni fantastici. Finalmente aveva qualcuno che si occupava di lui e gli offriva su un piatto d’argento, quel pane di vita senza il quale non si può vivere: l’affetto.
Mirk si svegliò da stupendi sogni con il carrozzone già in viaggio. Ormai era parte integrante di quel meraviglioso gruppo di persone e animali. Clown Sorriso stava guidando il caravan ma aveva preparato una tazza di latte e delle fette biscottate farcite di burro e marmellata di ribes.
“Mangia che ti fa bene!” disse dal sedile di guida.
Erano in autostrada. La prossima tappa si avvicinava.
“Dovrai seguire la nostra scuola insieme agli altri bambini e dovrai imparare a fare la tua parte: ti affiderò la cura dei cammelli.”
Mirk sentì un brivido di soddisfazione passargli per la schiena. Aveva persino un lavoro, avevano fiducia in lui… che gioia!
Il bimbo guardava dal finestrino il paesaggio scorrere veloce. Stavano attraversando una vasta pianura, per dirigersi verso le colline toscane.

Il viaggio proseguì per una strada secondaria, attraverso le colline morbide e flessuose, di creta, tipiche del centro Italia. Sulle piccole alture centinaia di olivi e vigne foltissime.
Di lontano Rick vide tre poggi, sui quali sorgeva una fantastica cittadina medievale cinta da superbe mura:
“Questo è il nostro luogo di arrivo!” commentò Clown Sorriso al volante. Mirk osservava l’avvicinarsi della città, caratterizzata da bei mattoni antichi e con le strade in pietra serena. Il circo sarebbe stato montato in una grande piazza al limite del centro vecchio. Mentre animali e artisti scendevano dai carrozzoni, un capannello di curiosi ammirava la scena. Mirk incontrò i vari componenti la banda di circensi: l’indiano, lo stalliere Patata, il maestro, Brul il motociclista, Frank il ragazzo giocoliere, Zara la trapezista e gli altri. Per Zara, Mirk aveva un’ammirazione particolare. Era una ragazza di diversi anni più grande di lui, la vedeva un po’ come una sorella maggiore. Sperò che gli fosse attribuito un compito che non fosse troppo distante dal suo carro e Clown Sorriso lo incaricò proprio di occuparsi dei cammelli… dirimpetto al carrozzone dei trapezisti.
Anche il lavoro di colui che pulisce, fa la lettiera e governa i cammelli è molto importante. Tutti nel circo hanno una dignità. Mentre Mirk lavorava, con la coda dell’occhio osservava se Zara lo guardava. Mirk spazzolava bene i cammelli, gli lisciava con cura i crini che si allungavano sul collo, come una sorta di barba e puliva bene l’ispido pelo, diradato con l’avvicinarsi della bella stagione. Tra i cammelli c’era anche il buon Cam e Mirk aveva per lui una preferenza. Con la sua andatura lenta, Cam lo seguiva come un cagnolino; dalle sopracciglia folte lo guardava soddisfatto di essere accudito da lui. Mirk era l’aiutante di Bak, un anziano signore, che da anni e anni faceva il cammelliere. Nonostante le rughe sulla faccia e le mani callose, il cammelliere era pieno di brio e voglia di vivere. Bak scherzava sempre e rideva. I cammelli trascorrono molte ore a ruminare, il cibo dopo la prima masticazione e la deglutizione, torna successivamente dallo stomaco alla bocca per essere ulteriormente lavorato dai denti. Durante quelle ore, il lavoro del cammelliere non richiede troppo impegno. Bak e Mirk stavano seduti sulle presse di paglia a sorvegliare gli animali ruminare. Mirk si divertiva a toccare la paglia fresca e morbida. Per terra c’era un cumulo di stoppia, Mirk la calpestò divertito dal rumore che essa faceva sotto ai suoi piedi. Bak rideva.
“Ma come fai a essere così pieno di spirito e di verve nonostante l’età?” chiese il fanciullo al suo compagno.
Intervenne Clown Sorriso, già vestito da pagliaccio, mentre si esercitava in balzi e capriole. Anche Clown Sorriso si sedette sulle presse di paglia. Perfino Zara si concesse una pausa e si unì agli altri per ascoltare la favola che Clown Sorriso narrò:

LA GIOVINEZZA DEL CUORE

In una baita di montagna vivevano una volta tre pastori, parecchio amici tra loro. Pascolando le loro capre, ognuno su un colle diverso, i tre pastori incontrarono una mattina una stupenda fanciulla e s’innamorarono.
Tutti e tre gli amici volevano fidanzarsi con questo meraviglioso essere.
Il primo a proporsi fu Jhon, tipo rude e scorbutico, assai triste per gli anni che portava sul groppone.
“Voglio essere tuo fidanzato!” disse lui.
“Siamo già stati fidanzati!” rispose la bellissima ragazza.
Si presentò il secondo pastore, Mel, anch’egli assai angosciato per l’età.
“Siamo già stati fidanzati!” rispose ancora la meravigliosa fanciulla.
Aveva la pelle acqua e sapone, gli occhi ridenti e un sorriso fantastico.
L’anzianità accompagnava anche Bul, il terzo pastore.
Egli però era tanto innamorato che quando la bella ragazza gli disse:
“Siamo già stati fidanzati!” lui le domandò:
“Ma chi sei?” lei rispose:
“Sono la giovinezza!”
Bul allora sorrise, si tranquillizzò e non pensò più ai suoi anni. Cominciò a ridere e scherzare come un giovincello.
La ragazza Giovinezza allora, commossa da quello spirito lo toccò con la sua bacchetta fatata. Toccò anche Jhon e Mel:
“Vi dono la giovinezza dei cuori per premiare l’amore che Bul mi ha dimostrato!”
…E i tre pastori furono briosi e gai per sempre, correndo per i pascoli con le loro capre e osannando al cielo la voglia di vivere.

Mirk aveva capito, anche Bak era una di quelle persone straordinarie alle quali fata Giovinezza aveva donato la capacità di avere spirito e cuore giovani per sempre.
Bak sorrideva e quando lo faceva le increspature della pelle, che gli contornavano gli occhi e la bocca, parevano per magia sparire.

Clown Sorriso stava studiando una scenografia e uno spettacolo, adatti per farsi accogliere nella città medievale. Ci sarebbero stati cavalieri vestiti da torneo, tamburi e alfieri con le loro bandiere. Intanto, mentre lavorava coi suoi cammelli, Mirk osservava l’unione tra gli artisti. Ancora una volta quella coesione lo colpì nel cuore, affascinato e anche un po’ invidioso di tanto candore e purezza. La trasmissione delle arti circensi avveniva di padre in figlio, con grande amore. Bastava uno sgabello, era pura arte e s’insegnava a saltare, fare capriole, assumere espressioni divertenti. I giovani imparavano così, a usare gli strumenti loro donati da madre natura, mentre ogni essere che cresceva, cercava di scoprire le personali potenzialità.
Intanto nella gabbia, con tanta dolcezza il domatore allenava tigri e leoni. Era un’arte speciale anche quella, non si faceva uso di punizioni o urla, ma si cercava di far leva sull’intelligenza dell’animale: i felini parevano apprendere bene come compiere i loro esercizi e venivano premiati con grossi bocconi di leccornie.
Mirk era ammaliato, ognuno nel circo per prima cosa si dedicava ad aiutare il prossimo. C’era tanta solidarietà. C’era spirito di dedizione all’altro. Insieme si montava il tendone, insieme ci si riuniva per discutere sulle variazioni da apportare allo spettacolo, armonia e familiarità imperavano.
Nel contenitore usuale di numeri, si erano inseriti vari spettacoli nuovi: gli elefanti ballerini, un’orchestra comica, dei cani capaci di suonare la tromba.
Cavallerizzi e trapezisti si aiutavano a vicenda, i primi assistendo gli atleti durante le loro acrobazie, i secondi proponendosi come palafrenieri quando c’era da far entrare i destrieri in pista.
“È molto bello vedere tanta comunione d’intenti!” disse Mirk a Clown Sorriso. Il pagliaccio andava fiero dello spirito fraterno della sua grande famiglia.
“A me non riesce di essere generoso, mi sento egoista!” ammise Mirk.
Clown Sorriso chiese a Mirk come si sentisse, nella nuova veste di addetto ai cammelli.
“Bene, mi dà tanta soddisfazione!” rispose il fanciullo.
Mirk aveva già fatto amicizia con gli altri giovani del circo, continuava però a capire, quanto loro fossero diversi da lui.
“Qui tutti amano il prossimo, i fiori e gli animali. Ma come si fa a diventare come voi?” chiese Mirk.
Il Clown salì sul soppalco di ferro che sormontava l’entrata al circo. Di lì si vedevano le luci colorate già montate per il primo spettacolo. Sotto, un formicolio di operai e artisti; erano impegnati a lavorare insieme.
“Darsi all’altro è la chiave della vita!” commentò Clown Sorriso e cominciò a raccontare una favola:

IL BORSELLO MAGICO

C’era una volta, tanto tempo fa, una buona mamma che aveva due figli. Il maggiore era egoista e cattivo, il minore buono e generoso.
Un brutto giorno il maggiore pensò:
“Porterò mio fratello nel bosco e lo farò perdere, così avrò carta bianca in casa e tutto per me!”
Accompagnò il minore nella selva, lo introdusse in un dedalo di sentieri assai intricati e fece in modo che si perdesse.
Il minore capì subito di esser stato ingannato, si mise a chiamare il fratello, ma questi era ormai scappato lontano, verso casa. Il più piccolo cominciò a errare, in cuor suo era parecchio triste, ma generoso come al solito aveva già perdonato l’altro. Il bosco era buio e tuttavia caldo. Le foglie macerando provocavano un piacevole tepore. Di colpo, sul suo cammino, il povero ragazzo disperso trovò una grotta. Era la grotta magica della fata del perdono e della generosità. Sotto a una nicchia, illuminato da dei cristalli fatati, stava un borsello di bella fattura. In esso il giovane trovò una manciata di monete d’oro e la mappa per uscire dalla selva. Sulla carta ingiallita era indicata la via per superare la faggeta, giungere al sottobosco e dirigersi verso casa. Tosto il ragazzo percorse i sentieri indicati dalla mappa e presto si ritrovò fuori dalla foresta. Si avviò a casa. Nel vederlo sopraggiungere, il fratello maggiore provò stizza e paura di essere accusato di averlo abbandonato. Il fratello minore invece entrò in casa sorridendo alla mamma e al fratello maggiore, poi donò loro le monete d’oro senza tenerne alcuna per sé. Immediatamente, dopo quel gesto di perdono e grandezza d’animo, apparve la fata della grotta.
“Premierò la tua elevatezza!” disse. Toccò il borsello con una piuma incantata. Il portamonete divenne adornato di zaffiri e brillanti: più si pescavano in esso monete d’oro e più soldi ne uscivano. Il ragazzo lo usò per dare benessere economico alla sua famiglia e per sfamare i poveri del paese, vivendo da quel momento più che mai felice e contento insieme alla mamma e al fratello maggiore, anch’esso convertito alla generosità.

Era proprio vero, come nella favola, essere generosi premia sempre e Mirk lo stava comprendendo, vivendo nel circo.

Per presentarsi al meglio, il primo spettacolo cominciò con una introduzione musicale adatta al sito. La rappresentazione era ispirata agli anni dell’età di mezzo, ovvero il medioevo, e precisamente nei secoli ‘200 e ‘300.
Una ragazza, vestita con una tunica bianca, appariva dietro una fumata finta. Portava un vassoio d’argento e dietro di lei sfilavano cavalli riccamente imbrigliati. La giovane donava il piatto argentato come premio al cavaliere più bello, a sottolineare la sua massima eleganza. I fantini indossavano spettacolari armature e recavano scudi colorati, mentre chiarine sonanti, squillavano marce dal tono importante. Gli artisti procedevano in fila, mostrando scene antiche. Giocarono alla quintana e alla Giostra del Saracino , colpendo un buratto con la lancia, indossando monture damascate e spettacolari. I cavalli galoppavano forte e gonfiavano il petto, mentre le narici respiravano, allargandosi potenti. Si sentiva acuto il rimbombare degli zoccoli sull’arena e il pubblico si emozionava assistendo a quelle scene. Ai vari numeri in programma, si alternarono nuovi giochi, sempre con tema medievale. Gli applausi scrosciarono a lungo. Lo spettacolo conclusivo fu un torneo. Il dominatore della giostra fu un cavaliere rosso, questi, una volta abbassato l’elmo si scontrò contro temibili avversari, si udirono i rumori delle lance scontrarsi, ma era tutto un gioco e lo spettacolo terminò con un giro della pista al gran galoppo, mentre il clamore della gente che impazziva di gioia soverchiava ogni altro rumore.
Quando le luci si abbassarono e il pubblico contento scese dai palchi per andare da Clown Sorriso e fare i complimenti per lo spettacolo, i vari artisti cominciarono a riordinare gli attrezzi. Tutto doveva essere già pronto per il giorno successivo e si lavorò a lungo. A tarda notte fu tutto terminato. Mentre si avviava nel suo carro vicino ai cammelli, per dormire, Mirk vide Clown Sorriso. Il buon pagliaccio pensò che il piccolo avesse occorrenza di un paio di buone parole e lo accompagnò a letto. Nella sua branda Mirk teneva una medaglietta con la foto della mamma.
“Mi manca molto! Ma parlami della magia del circo! Come fate voi artisti a fare cose così eccellenti, a preparare sempre spettacoli diversi, a far emozionare il pubblico?” chiese il fanciullo, mentre si era ormai giunti alle ore piccole della notte.
Clown Sorriso porse una tazza di latte a Mirk.
“Tieni, dormirai meglio! Noi artisti del circo siamo aiutati da un’energia unica e specialissima, si tratta dell’amore per il proprio lavoro. Quando si svolge con il massimo ardore e impegno il proprio ruolo, intervengono delle forze particolari che io sogno ci siano date dalle fate! Ti racconterò una fiaba!”
disse il Clown, e iniziò a narrare:

LA MAGIA DEL CONTADINO

In una valle nascosta agli occhi dei più, vivevano due contadini. Lavoravano la terra sperando in un buon raccolto. Aravano, passavano l’erpice, levavano l’erbacce sognando tanto grano. Ognuno dei due contadini aveva i suoi campi. Il primo, Ber, lavorava stanco e senza amore per il proprio compito:
“Odio la terra, i trattori e le vanghe!” diceva sempre.
Il secondo colono, Sim, invece amava tanto il mestiere di agricoltore. Curava con sentimento il suo grano, lo guardava crescere, era zelante e sempre impegnato:
“I miei campi sono la mia vita, li amo con tutto il mio animo!” commentava dando in pieno sé stesso.
C’erano adesso da concludere le opere di coltivazione. Il grano era pronto. Si doveva rimboccarsi le maniche e sudare.
Le messi biondeggiavano sotto al sole, mentre Ber e Sim calzavano i cappelli per proteggersi dal caldo, sotto quell’aria afosa e pesante.
Le fatine del lavoro, intanto, guardavano quanto era duro il mestiere del contadino. Scesero in gruppo dalle bianche nuvole per premiare Sim:
“Ami tanto il tuo mestiere e ti aiuteremo!” dissero le fatine colorate e belle, mentre lui le guardava attonito.
Le fate toccarono con la bacchetta magica il forcone di Sim.
Il contadino lavorò i covoni con la forca, una scintilla si accese e fece un gran fuoco. Si divise lo strame dalla paglia e in un men che non si dica il lavoro che avrebbe richieste giorni d’impegno era bell’e fatto, mentre le fate cantavano contente e il granaio veniva riempito. Una serie di colori brillò nel cielo azzurro dietro ai raggi del sole, si vide un bell’arcobaleno sprizzare scintille.
Il contadino Ber osservò che con quel fuoco il dirimpettaio aveva risolto ogni fatica.
“Anche io accenderò il fuoco!”
Prese un acciarino e diede fuoco al grano, ma un grande incendio bruciò tutto. Non intervengono le forze magiche quando manca l’amore per il proprio lavoro.

“Ho capito, ad aiutare voi del circo c’è l’amore intenso per il proprio lavoro!” disse Mirk,
“Bravo, in questo modo le fatine intervengono e ci aiutano!” rispose Clown Sorriso.
E Mirk si addormentò, sognando che amando il proprio ruolo, anche lui un giorno sarebbe stato fatto diventare dalle fate un artista. Le lenzuola erano fresche, le zanzare allontanate da una torcia alla citronella e il sonno fu pesante e ristoratore.

Mirk pensava a quando coi suoi poveri abiti, camminava per il corso della cittadina, intanto che gli altri lo scansavano e si sentiva solo; adesso aveva gli altri, quelli del circo, che lo trattavano come un fratello. Una persona speciale per il fanciullo era Zara, la trapezista. La sera, quando Mirk si ritrovava solo nel suo lettino, sul carro vicino ai cammelli, però, gli veniva in mente la sua mamma ed era triste. Cominciava a provare a tirarsi su di morale, sognando un giorno di divenire anche lui un artista, ma presto il castello in aria crollava, vinto dal bisogno di amore. Quella notte, mentre tutta l’anima del circo godeva del meritato riposo, Mirk era sveglio e piangeva. Zara dal suo carro lo udì. Si alzò e si diresse presso di lui. Zara era bellissima, con dei capelli talmente biondi da apparire bianchi. Non si vedevano dal basso quand’ella camminava sul filo del trapezio, ma a faccia a faccia era stupenda, con tutto il suo amore da sorella maggiore nei confronti di Mirk. Durante lo spettacolo teneva le chiome legate sotto a una cuffia colorata, affinché non creassero impaccio, adesso invece i capelli erano sciolti e le cadevano soavemente sulla camicia da notte. Zara bussò al carrozzone:
“Piccolo…!” chiamò il bimbo che subito riconobbe la voce.
“Posso entrare?” chiese la trapezista. Mirk si sentì assalire dalla timidezza, divenne rosso come un peperone e per fortuna l’oscurità celava il suo imbarazzo.
“Perché piangi?”
“Penso alla mia mamma!” rispose Mirk.
Zara si distese sotto le lenzuola insieme al piccolo e lo abbracciò.
“Tu sei il mio fratellino, noi del circo siamo tutti fratelli!” disse ella.
La ragazza lo coccolava e Mirk provava tanto piacere a sentirsi amato. Aveva bisogno di quel calore come del pane.
Zara diceva parole dolci che per il giovane furono tanto importanti. Mentre stavano insieme, il piccolo pensava alla sua mamma, la vedeva adesso sorridere in cielo.
“È bello essere tutti fratelli!” disse Mirk.
Nel mentre, avendo udito un po’ di rumori, Clown Sorriso si era avvicinato, un tantino preoccupato, al carro del giovane cammelliere.
Entrò e disse:
“Ti racconterò una favola sulla fratellanza!” e iniziò la sua storiella:

TUTTI FRATELLI

Questa favola la si può comprendere solo se si è capaci di percorrere con il pensiero il fantastico sentiero dell’amore, quello che porta a vedere colori incantati, a sentire fragranze stupende, dove i sogni prendono forma.
Un giorno… camminando per questo sentiero, il piccolo Buk, dal cuore semplice e pulito rise: la sua risata salì in cielo e si frantumò in migliaia di piccole minuscole stelle . Ogni stella divenne una fatina, ognuna contenta di quella gioia e felicità. Le fatine avevano alucce trasparenti e vestiti di sgargianti tinte.
“L’amore è la chiave della vita!” dicevano le fatine.
Buk aveva un po’ paura, ma il sorriso dolce di quelle belle fate lo rassicurò.
“Non si può andare avanti senza l’amore e la fratellanza!” continuarono a dire le fatine.
Il bosco pareva diventato incantato e di fatto lo era. Gli usignoli recitavano gorgheggiando poesie, le viole danzavano, le rose applaudivano.
“È bello ricevere ma è ancor più bello dare!” disse il gufo dall’albero cavo.
“Guidatemi sulla giusta via affinché possa attingere la forza e il coraggio per amare!” disse Buk.
La fratellanza è ciò che deve reggere la vita di ogni uomo secondo le leggi dei boschi incantati; le fate accolsero il fanciullo sotto la loro protezione e lo coronarono d’un serto formato da una ghirlanda d’orchidee.
“Dovrai chiamare tutti: fratello!” dissero le fate.
In ogni comunità dove c’è amore, c’è una grande famiglia di fratelli e sorelle, in essa s’impara e si gode sorridendo al prossimo.
“Dandoci all’altro si ha la possibilità di dar senso alla nostra esistenza!” commentò il cervo dalle corna d’oro, che bello e possente era intervenuto.
“Sarà completa realizzazione, se dispenseremo bene e affetto agli altri!” dissero le fate.
“Ma molti mi rideranno in faccia se chiamerò il mio vicino fratello!”
Le donne magiche risposero:
“Ma noi fate, dall’alto, sapremo delle tue azioni!” e Buk capì
il senso della vita, un unicorno bianco galoppò vicino a lui. Buk salì in groppa e cominciò a correre a briglia sciolta verso i compagni gridando a tutti: “Fratelli!”

Era stata una fiaba proprio bella:
“Adesso dormi!” sussurrarono Zara e il pagliaccio a Mirk.
Mirk chiuse gli occhi, la trapezista tornò al suo carro e pure il Clown salutò il piccolo. Mirk adesso era felice:
“Mi ha chiamato fratellino!” pensava. Sentì che le lenzuola erano ancora calde dove aveva giaciuto Zara, ma soprattutto Mirk aveva caldo il cuore… e si addormentò sereno sognando di diventare anche lui un artista.

Molto apprezzato, quella sera fu, durante lo spettacolo, l’incantatore di serpenti. Era un ragazzo indiano, che con un’ampia tunica bianca suonava un semplice flauto, di tanto in tanto accarezzava i suoi stupendi cobra reali ed essi parevano danzare lieti al suo suono. Gli applausi furono scroscianti. Quando i cobra si muovevano sinuosi, qualche donna urlava di terrore, ma non c’era da temere: l’incantatore e i suoi animali erano assai affiatati. Il cobra reale è serpente aggressivo. Il suo aspetto è assai imponente e l’essere dotato di potente veleno lo rende parecchio temibile, tuttavia il ragazzo indiano sorrideva e senza paura faceva ballare i suoi compagni di spettacolo che venivano su dalla bella cesta. Le loro livree erano varie: gialle, marroni, verdi oppure nere con bande biancastre. I più grandi arrivavano fino a cinque metri, anche se i più giovani raggiungevano lunghezze più modeste. Il cobra comunque, se non viene aggredito non ama il confronto, essendo il ragazzo indiano loro fraterno amico non aveva da temere. I serpenti erano bellissimi e affascinanti, varie luci illuminavano la scena, gli spettatori erano assai emozionati. Fu un’ovazione.
Anche Mirk aveva provato a trattare coi cobra, ma gli facevano impressione. Il nostro giovane aveva fatto vari tentativi per divenire un artista del circo. Si era avvicinato anche ai leoni, ma il solo udirne il ruggito lo aveva fatto desistere.
“Non so camminare sul filo, non so montare a cavallo: tutto mi va storto!” si lamentava Mirk. Aveva voglia di rinunciare. Gli pareva che ogni cosa fosse fosca con tutti quei fallimenti, non riusciva a comprendere che nella vita non può andare tutto liscio e perfetto. Anche gli errori sono esperienze importanti di crescita. Non bisogna buttarsi giù e darsi pena quando affrontiamo cose difficili e ci vogliono nuovi tentativi.
“Ho provato anche a fare il giocoliere!” disse Mirk sfogandosi con Clown Sorriso. Era come al solito una splendida giornata presso i capannoni del circo, tutti si esercitavano nella loro arte e provavano grande piacere nell’impegnarsi, affinare il proprio spettacolo, cercare di migliorarsi. Mirk era tristissimo.
Clown Sorriso raccontò una favola:

TUTTO PERFETTO

Mago Ciump era nel suo castello in cima al vulcano. Chiamò il corvo suo accolito e cominciò a lavorare nel pentolone.
“Farò un mondo perfetto!” disse mentre teneva tra le mani storte e ampolle. Aprì il grande libro ingiallito sopra alla tavola di legno di quercia e invocò lo spirito della sfera di cristallo per avere indicazioni sugli ingredienti necessari per far divenire il mondo perfetto.
“Serviranno coda di lucertola, crine di unicorno e artiglio d’aquila!” lesse nel grande tomo.
Una volta che si fu procurato i tre elementi, cominciò a lavorare nel calderone, mescolando con bava di lumaca.
Venne fuori una pozione magica. Pensava a un avvenire tutto liscio e senza problemi. Chiamò con un fischio l’avvoltoio stregato e si fece portare in cielo. Da sopra le nuvole lanciò sui territori intorno al suo maniero, la pozione che rendeva tutto perfetto.
Scomparvero montagne e divenne tutto pianura.
Le strade si fecero diritte e senza una curva. Anche la gente che fu irrorata dal liquido incantato diventò tutta uguale, chi aveva i riccioli ebbe i capelli dritti e lisci. Non c’erano più variazioni, non c’erano più colori differenti in quel mondo del perfetto: che monotonia!
Che tristezza senza montagne e con tutto piano. Che angoscia quelle strade lunghe lunghe e senza una curva.
Non c’erano variazioni, non c’erano diversità.
Quel mondo del tutto perfetto non era affatto bello.
Mago Ciump tornò al paiolo presso il focolare magico. Mise petali di rosa ed essenze profumate, aggiunse i colori dell’arcobaleno, un pizzico di amore e ottenne la soluzione per far tornare la vita con tutte le sue diversità, i suoi problemi e le difficoltà.
Tornò ad essere bella l’esistenza, anche coi problemi da affrontare e le piccole battaglie d’ogni giorno .

Mirk aveva capito. Non si potevano volere esperienze perfette. Era bello doversi impegnare per cercare la propria strada.
“Vedrai che ce la farai a diventare parte importante del circo!” gli disse il buon pagliaccio abbracciandolo e Mirk sorrise lieto e con nuova energia.

Le ombre calarono anche quella sera sulla città. Piano piano si accesero le luci colorate del circo, gli artisti si preparavano, mentre numeroso, il pubblico si dirigeva sorridente sugli spalti, avvolto da quell’atmosfera magica.
Lo spettacolo ebbe inizio. I vari numeri vennero svolti nel migliore dei modi, mentre Mirk ammirava e sognava appoggiato a uno dei pilastri che facevano da struttura portante al tendone.
I Fratelli Ballerini, cinque danzatori fantastici, tutti vestiti allo stesso modo, con la stessa altezza, il solito taglio di capelli mori a caschetto, volteggiavano in aria e ballavano. Era espressione pura del corpo, era maniera di comunicare attraverso gestualità e mosse. Gli strumenti erano le gambe, le braccia, il tronco, in movimenti eccezionali che trasmettevano messaggi e arte. I corpi in movimento tracciavano splendide figure. La coreografia prevedeva rappresentazioni classiche che richiamavano alla mente le gesta epiche degli eroi greci o le idee teatrali che raffiguravano animali: come l’uccello di fuoco. Era emozionante e coinvolgente, anche per i profani. Sinfonie varie accompagnavano lo spettacolo offrendo momenti irripetibili.
Mirk guardava con la bocca aperta. Provava sensazioni speciali nel vedere i Fratelli Ballerini, non riusciva a comprendere come gli artisti del circo riuscissero a ottenere simili risultati.
Il piccolo sentiva battergli forte il cuore in gola mentre sull’arena le danze continuavano.
Osservava ogni ballerino. Prima ne fissava uno cercando di cogliere quale forza eccelsa gli desse energia; poi fissava gli occhi su un altro e quindi li ammirava tutti insieme.
Era eccitante vedere quella scena.
Clown Sorriso era già pronto a entrare in pista.
Il prossimo numero sarebbe stato il suo.
Mise una mano sulla spalla di Mirk.
“Ma cosa è che rende così unica la gente del circo?” chiese il fanciullo.
“È la passione!” rispose il pagliaccio, e narrò:

L’AQUILONE

C’era una volta un aquilone costruito con amore dal piccolo Mon.
Mon aveva messo insieme carta velina colorata di giallo e rosso. La figura della sua costruzione era romboidale, due nappe facevano da coda, piuttosto lunga; a tenere il tutto un lunghissimo filo per controllare e pilotare. Erano duecento metri di cavo.
“Chissà se riuscirà a salire tanto in alto?” si chiedeva Mon.
Aveva lavorato con molta cura e con impegno. Aveva messo tutto sé stesso. Attraverso quell’aquilone si sarebbe sentito in cielo anche lui.
Altri bambini avevano provato a costruire un aquilone, a loro però era mancata la passione nel lavoro.
I loro aquiloni non volarono.
Mon si mise a correre tenendo il filo nella manina.
Procedeva all’indietro guardando in alto. Piano piano il suo aquilone giallo e rosso si alzò. Cominciò a descrivere stupende figure. Volteggiava mentre Mon gli faceva compiere acrobazie. I compagni guardavano quelle meravigliose esecuzioni.
“Ma com’è possibile?” chiedevano.
Il cielo era azzurrissimo, si notarono una serie di luci magiche che sostenevano l’aquilone.
Da una nuvola di fumo uscì fuori un Jinn , creatura fantastica che sorrise ai fanciulli.
“Imparate!” disse loro “È la passione di Mon a far volare il suo aquilone. La passione equivale infatti a volare, è un movimento celeste verso il cielo “

Ecco cosa era a rendere tanto fantastica la vita circense: la passione con la quale tutti si applicavano. Mirk stava comprendendo che in ogni piccola cosa che facciamo dobbiamo metterci l’anima, per svolgere bene le nostre attività.
Accompagnati da un rullo di tamburi, i Fratelli Ballerini uscirono dalla pista e scese nell’arena Clown Sorriso che mentre si accingeva a entrare in scena strizzò l’occhio sorridendo a Mirk.
“Ci metterò tutta la passione possibile!” pensò tra sé il fanciullo.

L’indiano parlò degli Irochesi e dei Cherooke, di molte delle tribù delle sue terre a Mirk. Il piccolo ascoltava pensando ai bisonti e alle praterie. L’indiano portava i suoi abiti tipici: calzature morbidissime, i famosi mocassini; il copricapo piumato modellato dalle sue stesse mani; una casacca rossa con disegnata la ruota della medicina e un gilet in cuoio.
L’indiano parlò del rispetto della natura e del vicino.
“I bianchi non ci hanno rispettato! Penetrarono nei nostri territori facendo stragi dei nostri animali e ingiustamente cominciarono a massacrare il nostro popolo… noi che amiamo l’amicizia e la pace!”
Il pellerossa mostrò la sua bandiera: essa recava su campo vermiglio un’aquila bicipite.
“L’aquila è sinonimo di forza per vincere la paura!” disse egli.
Nel drappo figuravano anche la luna e il sole e in basso si vedeva una minuscola formica.
“La formica è animale che si preoccupa della comunità, essa lavora per il bene comune: ecco cosa è importante nella vita, darsi all’altro ed essere amico del prossimo!”
Era anche la chiave della vita del circo, quella di dedicarsi a collaborare con i compagni.
“Ringrazio sempre lo spirito del mio totem per gli amici che mi ha dato!”
I due si misero a fare colazione davanti allo spiazzo che dava sul campo di carrozzoni. Presso ogni carrozzone c’erano ombrelloni colorati e capannini mobili. Era una visione allegra. In ogni struttura i vari artisti si riunivano per desinare insieme, o passare le serate libere dagli spettacoli: lo spirito di fratellanza e l’amicizia erano i tesori di quella comunità di persone e Mirk lo stava sempre più comprendendo.
“Non siamo ricchi!” commentò Mirk “Ma l’amicizia mi fa sentire come se non mi mancasse nulla!”
C’erano i figli dell’incantatore di serpenti che giocavano sempre con lui, c’era il saggio Burk che gli faceva leggere i suoi libri, la mamma dei saltatori che gli preparava abbondanti piatti di pastasciutta . Mirk aveva davvero tanti amici.
“Chi trova un amico trova un tesoro. Tu hai tanti amici e tanti tesori: quindi sei ricchissimo!” intervenne Clown Sorriso prima di raccontare:

ALLA RICERCA DELLA RICCHEZZA

Fap e Liq partirono alla ricerca della ricchezza. Percorsero le strette e tortuose vie che portavano alle miniere d’oro. Speravano di trovare ricchi filoni. Una febbrile attività vedeva uomini e uomini prodigarsi in spostamenti e ricerche. Non c’era rispetto né per il territorio né per gli altri: tutto era lecito e permesso.
Ci si entusiasmava solo quando si trovava un giacimento.
Fap e Liq non riuscivano a rinvenire nulla di copioso e ricco.
Erano assai tristi. Osservavano quella sera il loro bagaglio. Non era colmo di ori né di alcunché. C’erano solo alcuni barattoli di fagioli e il loro diario di viaggio.
“Non abbiamo trovato niente!” disse Fap togliendosi il cappello.
Liq scacciava le zanzare, si levò il fazzoletto che teneva durante il giorno sulla bocca per evitare che la polvere lo soffocasse. Liq aprì il diario e cominciò a leggere a bassa voce. In esso si narrava dei bivacchi fatti col compagno durante il loro viaggio, delle serate passate insieme; delle giornate trascorse a lottare e faticare con le difficoltà del percorso.
La febbre dell’oro era una gran brutta bestia, si faticava e ci si sacrificava spesso per non trovare nulla.
Quella notte Liq e Fap avevano come al solito acceso un bel fuoco, per tenere lontani i coyote e i puma.
Dal fuoco si levò una fumata di luce.
Era la luce della loro amicizia.
“Non cercate oltre la vostra ricchezza, fermatevi a gustare l’intensità della vostra amicizia. È essa il vostro tesoro!” disse una voce dalla fumata
I due compagni si abbracciarono forte: si sentivano davvero ricchi.

Era proprio vero: l’amicizia è gran dovizia. Nel circo non c’erano molti soldi, ma tutti si sentivano mancanti di nulla. Anche l’indiano e Mirk si abbracciarono. Mirk strinse forte pure Clown Sorriso che sorrideva. Il pagliaccio cominciò a esibirsi nel suo tipico spettacolo, con una danza un po’ comica un po’ fantastica. Agitò un palloncino e una bandierina multicolore, chiamò la sua capretta ammaestrata, sua compagna di spettacolo e insieme a lei si esibì in uno sketch. Il fanciullo rideva contento. Avere degli amici cari era davvero la cosa più bella del mondo.

I cammelli erano pronti per lo spettacolo. Avevano bardature stupende, di tipo orientale e con nappe colorate. Mirk era fiero del suo lavoro, ma nel cuore sognava ancora di divenire un vero artista. In pista, mentre il giovane cammelliere teneva Cam per le briglie, c’era Clown Sorriso.
La gente sugli spalti rideva di gusto e con quelle risate riusciva a dimenticare tante delle tristezze dell’esistenza. Era quella la gioia del pagliaccio, riuscire a donare un po’ di serenità a bambini e adulti.
Con un cappello colorato, il naso e gli zigomi rossi, Clown Sorriso si esibiva in salti e mimi, proponendosi con tutta la sua esperienze, ora nelle vesti di un finto direttore d’orchestra che agitava le mani e dirigeva a bacchetta, ora con performance rappresentanti vari mestieri. La scenografia era semplice ma interessantissima. Festoni variegati erano appesi da un capo all’altro della pista, mentre altri pagliacci lanciavano stelle filanti. Dal suo repertorio Clown Sorriso tirò fuori l’imitazione del giornalista, quella dell’avvocato e mosse l’andatura goffa dell’orso. I bambini si sbellicavano tenendosi la pancia, gli adulti applaudivano. Era fantastico: un po’ comico e un po’ drammatico. Non era la solita dozzinale animazione, era qualcosa che veniva dal cuore. Tutti i colleghi erano lì a guardarlo. Il circo era davvero una famiglia. Ognuno metteva l’anima affinché le rappresentazioni fossero perfette.
Colombe bianche aiutavano il Clown a recitare, c’erano anche buffi coniglietti nani, porcellini d’India e una capretta ammaestrata. Clown Sorriso agitava dei piatti sonanti, mentre un sottofondo audio accompagnava le sue gesta. Il pagliaccio aveva un eterno sorriso sulle labbra, quel sorriso che dovrebbe aiutare anche nell’affrontare le situazioni più difficili della vita .
Quell’artista sorridente e colorato coinvolgeva gli spettatori, le sue pantomime ed espressioni facciali erano superbe.
A lungo i tamburi rullarono, mentre Clown Sorriso salutava con grandi inchini e dava spazio allo spettacolo orientale dei cammelli.
Intanto che usciva di scena, il pagliaccio ricevette i complimenti del mangiafuoco, la pacca sulla spalla dell’acrobata, i festeggiamenti del guidatore di elefanti.
A illuminare il circo c’era quel sentimento di unione e solidarietà che ci aiuta a percorrere anche le strade più impegnative.
“Siamo una famiglia unita!” disse il piccolo Mirk al suo Clown e il pagliaccio cominciò a raccontare la sua favoletta:

LA LUCE DELLA FRATELLANZA

C’erano tanto buio e umido, si procedeva a stento tentando di non inciampare. Era un gruppo di compagni in cerca della strada che portava alla vera essenza della vita, ma non si riusciva ad andare avanti.
Bef però non aveva paura. Si mise a cantare felice.
“Ma cosa fai? Canti?” gli chiesero gli altri.
“Io so come far luce sul buio!” rispose il giovane.
“La vita di ogni persona dev’essere illuminata dalla luce della fratellanza!” disse Bef.
Il gruppo di amici si diede la mano. Tra i palmi di ognuno nacquero magicamente zaffiri rilucenti, diamanti, rubini e opali. Le pietre preziose fecero gran luce. Il buio delle tenebre sparì. Non c’erano più umido e freddo. Il calore dell’unione scaldava tutto. Il gruppo non era più al buio, in ognuno ardeva l’amore che conduce ai passi giusti.
Donandosi al prossimo si esce sempre dall’oscurità. Le pietre preziose brillavano forte. C’erano luce, speranza e coraggio.
Bef e gli altri non ebbero più esitazioni né paure. L’oscurità era rotta per sempre, i mali del mondo erano lontani.
Si strinsero ancora più forte i palmi delle piccole mani da fanciulli. Provavano gioia e sicurezza e andarono lontani assaporando la gioia dello stare insieme.

“È fantastico sentirsi ognuno legato all’altro!” disse Mirk a Clown Sorriso e gli mise una mano tra le sue.
“Mentre eri sull’arena una parte del mio cuore era con te a esibirsi!” aggiunse il piccolo.
“Un giorno anche tu sarai sulla scena, troverai qual è la tua arte e noi tutti saremo col cuore insieme a te!” commentò il pagliaccio… Mirk lo sperava con tutto il sentimento.

Cominciava a fare davvero caldo, ormai era giunta l’estate, tuttavia, indefessi gli elementi del circo si esercitavano per ore e ore ogni giorno.
Mirk osservava i cavallerizzi volteggiare sulle selle dei bei cavalli bianchi, ammirava il mangiafuoco sputare fiammate, cercava di comprendere le difficoltà degli spettacoli degli acrobati. Assai notevole era vedere quanto tempo veniva usato per addestrare gli elefanti nel loro numero che prevedeva che ogni pachiderma camminasse con le zampe anteriori poggiate sui posteriori dell’altro.
“Io non sarei mai capace di simili destrezze: ho troppa paura di sbagliare!” disse il fanciullo a Clown Sorriso. Il buon Pagliaccio stava provando dei mimi.
Insieme a lui avrebbero aperto lo spettacolo quindici giovani ragazzi, che lo avrebbero aiutato a rappresentare una scena notturna, nella quale lui fingeva di essere un allocco. Tra i virtuosismi ginnici dei ragazzi, che rappresentavano ora la civetta, ora il gufo, il Clown si sarebbe esibito in giocoleria e salti.
“Abbiamo provato a lunga: sbagliare è umano!” spiegò Clown Sorriso.
Era davvero suggestivo lo spettacolo programmato dal pagliaccio e da quei giovani, si vedeva tutta la complessa arte che stava dietro alla rappresentazione.
“Non ci dev’ esser tema di errare!”
Il pagliaccio portò Mirk a vedere i danzatori fare le loro prove. Anche loro tentavano varie volte, prima di riuscire nella loro sorprendente esibizione che era una poesia del corpo.
“Ho terrore di sbagliare!” seguitava a dire il bimbo.
Clown Sorriso mosse le arcate sopraccigliari come quando era pensieroso.
“Per poter diventare un vero artista, dovrai sbagliare molte volte. Gli sbagli non sono negativi ma esperienze per crescere e migliorarsi. Bisogna accettare di sbagliare… ti racconterò una favola!” disse il Clown e cominciò a narrare:

IL PIRATA CHE AVEVA PAURA DI SBAGLIARE

Nei mari azzurri dei Carabi, viveva sul suo vascello il pirata Beg. Mentre tutti gli altri corsari e bucanieri trovavano ori e forzieri pieni di monete d’oro, lui non riusciva mai a decidersi a cominciare la ricerca.
“Ho paura di sbagliare!” diceva. Faceva mille calcoli ma non si risolveva mai a salpare l’ancora e a partire alla volta dell’isola al centro dell’oceano.
“Potrei sbagliare!” diceva sempre.
Era un’isola a forma ovale, sotto una grande palma si sarebbe potuta trovare una pala d’oro, per scovare il più grande forziere di tutti i tempi che avrebbe regalato al trovatore ricchezza per sempre.
“Io non provo!” affermava Beg.
S’impegnava tutti i giorni nella manutenzione della sua nave, la tirava a lucido e puliva il ponte. Tutto era sempre perfetto, ma la paura di sbagliare rendeva ogni lavoro inutile. Un giorno una sirena bellissima, metà pesce e metà donna, emerse dalle acque vicine al vascello di Beg.
Cantò una melodia magica che infuse coraggio al pirata.
“Troverai la forza per non aver paura di sbagliare!” disse la stupenda figura a Beg.
Beg si decise finalmente a partire per l’isola. La tempesta si avvicinava ma lui, senza più paure continuava convinto a tenere in mano la barra del timone. Presto giunse all’isola. Fermò la nave in una darsena e si diresse sotto alla palma, al centro dell’isola. Scavò e scavò con il badile d’oro. Non ebbe paura di sbagliare e scoprì che solo cercando e tentando si poteva trovare il tesoro. Dopo più prove trovò il cunicolo giusto. Aveva levato sette strati di terra dalla zona dirimpetto alla palma, ma alla fine recuperò un tesoro di preziosità indicibile.
Aveva vinto, aveva superato la paura degli errori. Caricò sul vascello ori e rubini trovati nel forziere e siccome era un pirata buono usò quelle ricchezze per aiutare i bambini poveri.

Mirk aveva ascoltato con attenzione la favola del pirata. Stava comprendendo che non doveva aver paura di sbagliare. Provò a imitare le capriole di Clown Sorriso e tentò una piroetta, cascò più volte ma non desistette.
“Ritenterò domani!” disse e Clown Sorriso lo accompagnò a mangiare insieme a lui un bel ghiacciolo.
Ci stava proprio bene qualcosa di fresco in quella mattinata calda.
“A me un ghiacciolo alla menta!” disse Mirk sorridendo e deciso a non temere più gli errori.

Clown Sorriso aveva sistemato l’impianto stereo e lo stava provando. Mentre un’allegra melodia sovrastava il suo palco di collaudo egli saltava, correva, ballava e scherzava o faceva finta di piangere, con l’intento di mostrare come bisogna rimanere sempre bimbi nel cuore.
“Il mio scopo è donar un po’ di felicità!” disse il pagliaccio a Mirk che l’osservava.
Anche il fanciullo provò ad accompagnar le sue mosse. Si mise un naso rosso e una camicia color dell’arcobaleno che gli stava grandissima. Clown Sorriso gli sistemò anche una cravattona arancione: era proprio buffo. Iniziò un piccolo show. Mirk teneva un palloncino e il compagno faceva finta di inseguirlo.
“Devi muoverti più agilmente!” redarguì Clown Sorriso. Mirk provò a fare espressioni diverse, ma senza convinzione.
“Ci devi mettere sicurezza!” fu il rimbrotto.
Il pagliaccio condusse il giovane davanti a uno specchio. Gli decorò le guance di biacca e gli fece alzare un sopracciglio.
“Di più!” brontolava per correggerlo il Clown.
“Bisogna provare e riprovare, migliorare sempre! Tenta di isolarti dal mondo, concentrati sui lineamenti del tuo viso, non deve trasparire ciò che hai dentro, devi trasmettere solo gaiezza!”
Il Clown mise una candela in mano a Mirk.
“Prova a spengerla!” era una candela truccata, di quelle che si riaccendono sempre dopo il soffio. Le mosse buffesche, dovevano essere quelle di provare ad abbassare la fiamma del moccolo senza riuscirvi.
“Devi partecipare con più impegno!” brontolò Clown Sorriso.
Mirk con tutte quelle osservazioni ci rimase male.
“Ma perché mi correggi così tanto, perché mi rimproveri di continuo?” domandò il bimbo.
“È così che si educa alla riuscita delle cose nel circo. Non ci dev’essere tema di correggere! Lo faccio per migliorarti, con tanto amore. Troppe volte l’iper-protezione crea problemi, io faccio per renderti forte e pronto a crescere. Ti racconterò la fiaba dei canarini, per farti capire che non si deve tendere a preservare dai rimproveri e dagli errori:

IL CANARINO IMPARO’ A CANTARE

Nel Nido fatto di muschio, mamma canarino curava il suo piccolo. Aveva tanta paura che suo figlio facesse cattive esperienze e lo teneva sotto le ali.
“Mamma, io voglio andare sul ramo e provare a cinguettare come fanno i miei coetanei!” diceva il figlio.
“Io ti devo proteggere, non voglio che tu sbagli e poi con gli errori tu cresca impaurito!” rispondeva la gialla genitrice.
Tutti i piccoli canarini avevano già imparato a cantare.
“Non provare, non voglio che tu sbagli!” diceva la mamma.
Il figlio era uno dei più belli. Giallo-luminoso sul petto e sulla gola, con il ventre più chiaro e le ali e la coda ornati di piume simili al color dell’oro: ma non sapeva cinguettare.
Il canarino è un tipo di uccello assai bravo nel cantare, ma il nostro piccolo proprio non poteva imparare a farlo, tanto la madre evitava di farlo provare e di correggerlo.
Gli altri si esibivano cantando alla luce, al sole, ai profumi, mentre lui stava triste ad ascoltare. Vedeva le altre mamme educare la prole al cinguettio. Intorno pareva ci fosse una vera e propria scuola di canto. Gli adulti provavano i loro repertori e i giovani dovevano imitarli. Tante erano le correzioni, ma lo si doveva fare per insegnare bene. La piacevolezza del canto degli altri era soave.
“Solo io non posso imparare a cantare!” disse il giovane alla mamma.
Il coro di cantori era bellissimo, tutti saltellavano da una parte all’altra ritmando il tempo, coi batuffoli di piume arancioni che si gonfiavano insieme al petto impegnato in do di petto o passaggi musicali.
“Anch’io voglio partecipare al concerto!” disse il piccolo.
Finalmente la mamma si decise, cominciò a farlo cantare e a correggerlo nell’esecuzione. Era sciocco proteggerlo dagli eventuali errori, sbagliando si fanno esperienze per imparare: …e il canarino divenne un ottimo cantore.
Proprio grazie agli errori e alle correzioni riuscì a comprendere come cinguettare. Fu felice e allegro per sempre.

Mirk stava capendo le intenzioni di Clown Sorriso, le sue correzioni erano solo un segno di grande amore. La danza, accompagnati dallo stereo riprese, con il piccolo ben determinato, mentre la grande camicia svolazzava e lui sorrideva impegnatissimo. Clown Sorriso intanto correggeva.

L’arte di Clown Sorriso era superba, mezzo di pace, gaiezza e felicità. La sua comicità aveva radici che venivano sia dal cuore sia da studiate pose. Mirk si appassionava con tutto sé stesso per imparare ad imitarlo. A rimetterci erano i cammelli. Il fanciullo li trascurava, quando lavorava con loro, adesso lo faceva abulicamente, con pigrizia e svogliatezza.
I cammelli, animali che in natura devono affrontare il deserto, si accontentano di pasti molto frugali: piante coriacee e salate, anche arbusti secchi o erbe immangiabili da altri. Mirk aveva a disposizione ottimo fieno e tavolette di sale da far loro leccare, ma non aveva voglia di distribuire questo ben di Dio. Operava senza impegno e senza amore.
“È importantissimo il ruolo di ognuno, anche quello del cammelliere! Sei apatico e agisci senza applicarti.” disse Clown Sorriso.
“Io non riesco a mettere amore nel mio ruolo!” rispose Mirk.
“Ci vuole sempre amore nelle cose che facciamo!” ribatté il pagliaccio.
“La chioccia alleva la sua nidiata con amore e i pulcini crescono belli e vispi. Il pittore pennella con ardore e dà vita a opere d’arte. Il muratore s’impegna con dedizione e costruisce accoglienti case. Il maestro ama i suoi allievi e fa nascere negli scolari la voglia di studiare! Niente si può fare senza amore. Lo stesso Creatore ci ha dato la vita per amore! L’amore è pane di vita!”
Era vero. Nel circo tutti operavano con amore. Liza amava il trapezio, il mago i suoi giuochi di prestigio, gli acrobati i loro esercizi di equilibrismo, il domatore le sue tigri.
“Solo tu non metti amore nelle tue cose!” osservò severo Clown Sorriso.
Il sole picchiava forte. Ormai era quasi mezzogiorno. Tutti avevano lavorato abbastanza e i vari artisti si stavano concedendo una meritata sosta, presso gli ombrelloni montati nella parte antistante i recinti degli animali.
Dopo aver svolto i personali compiti e allenamenti con tutto l’impegno possibile, potevano ora ristorarsi con soddisfazione e meritata frescura. L’indiano portò delle granite alla menta ai compagni.
Mirk osservava gli alacri lavoratori gustare quel momento di pace. Lui non riusciva mai a sentirsi soddisfatto del suo operato da cammelliere, proprio perché gli mancava l’amore nel lavoro.
“Con l’amore si può tutto! Ogni cosa va fatta con amore!” disse Clown Sorriso e raccontò una favola:

IL VIOLINO MAGICO

Il violinista non riusciva a cavare una nota dal suo strumento.
Provava con il sol, il do, il mi e il re ma non c’era niente da fare.
“Andrò da mastro liutaio!” disse il musicista e si diresse alla bottega del costruttore di violini.
Mastro liutaio fece accomodare il cliente e osservò ben bene lo strumento.
Lo tastò e lo prese con amore e sentimento nelle mani. Lo sfiorò con un panno per non fargli del male.
“Vedi? Questo violino è stato costruito senza amore! La cassa armonica è di ottimo legno, ci sono abete rosso e un fondo in acero montano , le sagome sono perfette, ma è mancata la passione del costruttore!” disse il liutaio.
Mastro liutaio ornò i bordi del violino con tre strati di legno di ciliegio per renderlo più bello. Mise tutto il sentimento in quell’opera e già il violino assunse un colore più splendente. Con cura e dedizione, sulla fascia superiore del manico applicò decorazioni e spalmò una vernice speciale, da lui stesso creata a base di olio e alcool .
Tutto ciò lo fece con la massima dolcezza.
Dopo ore di lavoro pose il violino in mano al violinista che prese il suo arco e provò a suonare. Impugnò con tanto amore lo strumento. Le corde iniziarono a vibrare da sole. Sonate stupende di Brahms e Bela Bartok uscivano da quel pezzo di legno adesso che erano subentrati amore e passione. Era divenuto un violino magico, emetteva melodie meravigliose , si potevano ascoltare Beethoven e Bach, Vivaldi o Cesar Frank.
Solo con l’amore si può creare vera arte, in ogni cosa che facciamo.

Mirk aveva capito. Prese il secchio per abbeverare i suoi animali e aprì le presse di fieno, cominciando da quel momento a svolgere le sue mansioni con la massima passione.

Era bellissimo vedere ogni sera decine e decine di bambini entrare ad assistere lo spettacolo del circo. Quello dei bambini è un mondo magico, un universo d’amore e fantasia, di purezza e candore. I piccoli sorridevano, si spellavano le mani ad applaudire Frank il giocoliere, Brul il motociclista, Cam il cammello, Zara la trapezista e tutti gli altri.
Mirk continuava a sognare di divenire un giorno anche lui un Clown. Mentre gli altri erano in pista, il bimbo si portava davanti allo specchio e si esercitava. Faceva smorfie e mimi. Si immaginava in buffe evoluzioni sui pattini, progettava numeri spettacolari e comici. Si rendeva conto di quanto fosse difficile la strada dell’artista. C’era da dare il massimo, da lavorare e faticare. Bisognava mettere anima e corpo in quel mestiere.
Mirk, mentre lo spettacolo procedeva si mise quella sera a giocare con due marionette. Si sognava ormai clown affermato e provò a muovere il fili del teatrino che aveva nel suo carrozzone. Inscenò un capitolo dei Promessi Sposi. C’erano don Abbondio e l’avvocato Azzecca Garbugli. Inventava tante cose, ma tutto era arduo e impegnativo. Si doveva scovare nel cuore e nel cervello, pensare e operare con tutto il sentimento.
Mirk tornò ai bordi dell’arena. I cavallerizzi si esibivano nei loro volteggi sulla sella. Dietro alla preparazione di quel numero c’erano ore e ore, giornate di lavoro. Per addestrare gli elefanti ci volevano anni di pazienza, per domare le tigri occorrevano amore e cautela in ogni atto o movimento. Persino ogni espressione del pagliaccio richiedeva attenta cura ed esercizio. Niente poteva essere fatto senza lavoro e da una parte ci voleva anche quell’estro creativo e naturale che solo ritornando bambini nel cuore si poteva avere.
“È difficilissima la strada dell’artista!” si sfogò Mirk con Clown Sorriso quando il pagliaccio uscì di scena per rinfrescarsi e preparare il trucco per il numero del secondo tempo.
“Per raggiungere buoni esiti non si può aspettare che i risultati arrivino da soli!” rispose Clown Sorriso; ergo raccontò una favola:

LA STRADA STRETTA E DIFFICILE

C’era una volta, agli antipodi da qui, un uomo che camminava con un sacco in spalla e una borraccia legata alla cintura. Cercava di dare un senso al suo cammino e sceglieva bene il percorso. Per trovare un itinerario che portasse alla serenità e alla soddisfazione ci metteva il cuore e ragionava attentamente.
Si trovò davanti a un bivio. All’incrocio stavano due strade. La prima era colorata e con una porta larga.
“Entra dall’uscio grande e facile!” disse una voce.
L’uomo si lasciò convincere.
La carreggiata nella quale s’incamminò, presto condusse alle fiamme dell’inferno e della tristezza. La via facile portava solo alla perdizione e all’infelicità.
L’uomo si sedette presso una quercia. Bevve l’acqua dalla sua borraccia e trovò nella purezza di quel liquido fresco, ristoro e chiarezza.
Decise di tornare indietro. Si ritrovò di nuovo al bivio. Vide la seconda strada. Una porta stretta era all’inizio di essa. Era un tragitto difficile e in salita. L’uomo vinse ogni timore e s’instradò per quella via.
Affrontò tornanti e s’inerpicò per la china. I suoi piedi facevano grandi sforzi per sollevarsi da quel terreno pesante e zuppo d’acqua. Il rumore delle scarpe che scricchiolavano sulle parti sassose, lo accompagnò fino a che egli giunse in cima. Sulla vetta c’era la felicità. C’erano la gioia e un mondo nuovo e sereno. La strada difficile era quella che portava alla gaiezza e alla soddisfazione. Non si deve aver paura della via ardua. Il cammino che richiede impegno e alacrità conduce alla felicità del cuore e all’appagamento.

Mirk aveva ben compreso.
“Non mi fa paura la strada difficile!” disse a Clown Sorriso. Si mise un buffo cappello e riprese a esercitarsi davanti allo specchio.
“Anche io diventerò un pagliaccio!” diceva convinto e serrando i denti, pensando alla soddisfazione che lo avrebbe ripagato poter un dì esibirsi sulla scena.
Clown Sorriso lo guardava soddisfatto. Il suo allievo stava davvero crescendo bene. Il Clown già sapeva che presto lo avrebbe fatto recitare insieme a lui.

Il circo stava per spostarsi verso una nuova città:
“Andremo verso il mare!” annunciò Clown Sorriso alla sua truppa. Ogni volta era un’esperienza nuova, dolce, piena di voglia di conoscere, con tanta allegria e gioia, sognando di poter portare momenti di serenità in altri ambienti e presso città diverse.
Gli artisti avevano preparato tutte le loro cose e il viaggio di trasferimento era iniziato. Mirk se ne stava appoggiato al vetro del finestrino, seduto accanto a Clown Sorriso. Percorsero la strada litoranea che si affacciava sul mare. La vasta distesa d’acqua salata pareva infinita e permetteva di fantasticare. Alla sua sinistra Mirk vedeva la macchia: stupenda! Fustaie di pino dominavano l’ambiente. Si sentivano le cicale frinire, si scorgevano ginepri e arbusti e vicino scorreva un ampio fiume che presto si sarebbe gettato alla foce; il tutto era accompagnato dalla vegetazione palustre a giunchi e silicornie . Nella gariga soleggiata, a est della selva c’erano arbusti sempre verdi: si trattava di mirto. Clown Sorriso si accostò col suo caravan al ciglio della strada e portò il piccolo ad odorare la fragranza intensa dell’essenza del ginepro e del mirto. Era un profumo incantevole.
Il pagliaccio parlò a Mirk della gente di mare, che tanto ama la natura. Narrò delle belle serate che avrebbero passato a recitare e esibirsi vicino alla spiaggia.
“Monteremo il nostro tendone proprio in un piazzale di rimpetto al lido! Sentirai il sapore dell’aria iodata che viene dal mare! Ci sarà un’atmosfera particolare!”
“È bello, è straordinario!” rispose il fanciullo “…io però m’impegno tanto ma ancora non riesco a imitare i tuoi salti, le tue espressioni, i tuoi spettacoli!” continuò Mirk.
“Ci vuole tanta Volontà: con la volontà si può tutto. Bisogna lavorare, costruire, prepararsi la strada e operare attivamente con alacrità. Piano piano la volontà mette su dei mattoncini che ci portano poi a erigere e a innalzare la nostra torre, quella che ci porta a comprendere la vita! Ti racconterò una fiaba!” e il Clown Cominciò a narrare:

LA TORRE VERSO IL CIELO

C’era una volta un bambino che viveva presso un fiume.
Pensava sempre di voler riuscire a capire come comprendere la sua esistenza e per ciò sognava di salire in alto e vedere tutto da una torre.
Un giorno, mentre sulle rive del fiume ammirava l’acqua che lentamente scorreva, udì un pesciolino chiamarlo dallo specchio di liquido chiaro, pieno di ninfee, canneti e piccoli girini che compivano la loro fase di sviluppo.
Era un pesce magico, con squame dorate che lo rendevano bellissimo:
“Buongiorno!” disse il pesciolino al fanciullo.
Un sole tiepido rendeva la scena assai particolare. Il bambino guardava il pesce a bocca aperta.
“So cosa stai cercando. Vuoi riuscire a comprendere la vita. Ci vuole tanta volontà!” disse il pesciolino magico.
Il pesce scomparve sott’acqua. Il fanciullo aveva afferrato in pieno quel messaggio. Si mise a camminare costeggiando il fiume.
L’acqua parlò.
“Lasciati guidare dalla corrente e continua a lavorare e impegnarti!” disse il fiume.
Il piccolo capì che doveva solo aspettare che gli eventi si sviluppassero, ci voleva solo la sua volontà per procedere . La corrente andava avanti con calma ma senza mai fermarsi. Il bimbo camminò a lungo. Dopo l’ansa trovò dei mattoni consistenti e robusti, conci di tutte le forme e le forge.
“Questi sono i risultati, dopo l’opera della tua volontà!” disse il fiume.
Il bambino mise piano piano ogni mattoncino sopra l’altro. Costruì una torre altissima e di lassù comprese, vedendo il mondo da quella prospettiva, che con la volontà si può davvero arrivare lontani.

Mirk strinse i denti.
“Ci metterò tutta la volontà che posso!” promise a Clown Sorriso.
Appena furono giunti alla nuova cittadina, il piccolo era già su una bicicletta da spettacolo, che si esercitava in spassose evoluzioni, progettando un nuovo divertente spettacolo insieme al pagliaccio suo pigmalione.

Era bello respirare l’aria marina. Si sentiva il profumo di resina dei pini marittimi provenire dall’entroterra e il vento piacevole che si levava dalla spiaggia, come per portare via la stanchezza e i pensieri spiacevoli.
Mirk trascorreva ore e ore sulla bicicletta. Era una bici speciale, con due pedali grandi che erano direttamente applicati ai pignoni della ruota anteriore. Mirk stringeva i denti: provava e riprovava. Prima doveva salire con il suo ciclo su una duna di sabbia, poi alzarsi in piedi sul piccolo sellino e fingere buffi atteggiamenti. Doveva quindi scendere veloce da un cumulo di rena e saltare a terra. Qui entrava in scena Clown Sorriso che lo faceva volteggiare in aria, con esercizi ginnici assai importanti e difficili. Mirk era impegnato a fare mille tentativi. Più volte gli accadeva di scivolare, scendere male dalla cunetta, sbagliare il volteggio. Erano necessarie svariate prove: quanti sforzi, quanto sacrificio!
“Devo sperimentare un sacco di brutte cose!” si lamentò Mirk. Anche nelle prove usava gli abiti di scena. Aveva una bella maglietta iridata, come se fosse il campione del mondo di ciclismo e portava in testa un cappellone comico. Il Clown gli mise una mano sul grosso cappello e gli disse:
“Non sono brutte cose ma importanti esperienze. Anche gli eventi difficili, anche ciò che ci pare negativo è importante per farci crescere!
Tu devi metterci tutto te stesso e fare tesoro degli accadimenti, positivi o meno positivi che siano!”
Ormai era caldo. Gli artisti cominciarono a cessare i loro esercizi, si sarebbero riposati sino a quando il sole non avrebbe diminuito il suo calore. Nel mentre c’era da riposare le membra e la psiche ma anche da preparare il pasto serale, curare gli animali, occuparsi dei manifesti e dei biglietti.
Mirk era con Clown Sorriso nel loro carrozzone. Il bambino preparava grosse fette di cocomero, mentre il pagliaccio tirava fuori dal frigorifero un riso freddo. Il bambino era ancora triste e Clown Sorriso posò l’insalatiera di riso e cominciò a narrare una storiella.

LA CORSA DELLA VITA

Tutti i partecipanti alla gara della vita si prodigavano per ottenere risultati. C’erano alti e bassi, biondi e mori, grassi e magri. Ognuno credeva di dover mettere insieme bei risultati per poter vincere l’agone.
Nessuno sapeva però come sarebbe stato deciso l’ordine d’arrivo.
Bon andava avanti collezionando successi e vittorie. Bik invece metteva insieme sforzi e difficoltà da superare.
“Non vincerò certo!” diceva sconsolato Bik che aveva dovuto sperimentare momenti ardui e duri.
Bon invece era convinto di aver messo insieme quanto servisse per vincere. Si sentiva sicuro dei suoi trionfi. Niente aveva invece esito positivo per Bik.
“È difficile lottare, devo trovare in me forze e risorse sempre nuove!”
La gara continuò a lungo. Bon giunse alla fine della competizione baldanzoso e sicuro di essere premiato. Il Grande Giudice di gara attese l’arrivo di tutti gli altri. Stanco ed esausto tagliò il traguardo anche Bik, ricco solo di pesanti vissuti, tutti irti di malagevoli percorsi.
Ognuno attendeva la consegna dei premi.
Il giudice aveva sul palco una grande bilancia. Si mise a porre sui piatti della stadera i bagagli di ognuno. Pesava il bagaglio di esperienze accumulate:
“Ognuno di voi ha raccolto esperienze. Ogni evento della vita e specialmente quelli difficili, è un importante test per imparare a fare e ad agire. I momenti più bui sono quelli che maggiormente ci fanno crescere. Non esistono accadimenti infausti, tutto serve per arricchire il nostro patrimonio di saperi e conoscenze!” disse il giudice.
Il bagaglio più ricco e pieno di esperienze lo aveva proprio Bik. Le sue vicissitudini lo avevano fatto crescere assai. Fu Bik, inaspettatamente, a vincere la gara. Gli venne consegnata un’enorme coppa e una bella coccarda gli fu appuntata sul cuore.
Le esperienze negative non sono da odiare, sono proprio esse che ci aiutano a diventare consapevoli e coscienti.

Mirk abbracciò Clown Sorriso, stava capendo che tutte le volte che sbagliava una piroetta, cascava di bici o falliva un tentativo, aumentava il patrimonio di saperi e conoscenze del bagaglio personale.

Era una sera stellata di piena estate. Gli spettatori si avviavano lieti al tendone, sicuri di poter trascorrere qualche momento di gaiezza e serenità. I bambini tenevano le mamme per mano e le tiravano avanti, ansiosi di vedere l’arena. Non faceva freddo, nonostante l’aria salmastra soffiasse dalla vicina distesa salata. Solo i più piccoli avevano una felpa a coprir loro le spalle. C’era anche qualche carrozzina: chissà quali emozioni provavano i neonati che come sappiamo hanno la capacità di assorbire e fare esperienze sin dalla più tenera età, persino durante la gestazione? Sicuramente Mirk, quando era un bebé, doveva aver avuto qualche esperienza presso le luci di un circo. Aveva inspiegabilmente un ricordo di colori e melodie allegre. Lo spettacolo ebbe inizio, dopo l’introduzione comica di Jok, cominciarono a sonare le trombe.. Seguirono la cavalleria e le acrobazie; animali esotici e non; gli elefanti e i cammelli. Tra i giochi spericolati di Brul il motociclista e l’esibizione del mago, apparve in pista Clown Sorriso. Inaspettatamente il Clown fece portare sulla scena un materasso grande e colorato. Un inserviente mise vicino al materasso la bici di Mirk. Il pagliaccio iniziò a saltare sul materasso elastico e Mirk venne chiamato a mostrare la sua destrezza pedalando. Il bimbo era emozionantissimo ma la trepidazione non lo disturbava, anzi lo aiutava a dare il meglio di sé stesso. Con la voglia di riuscire stava offrendo una rappresentazione davvero bella. Il piccolo ciclista saliva e scendeva, facendo impennare il ciclo sul materasso. I bimbi ridevano, gli adulti s’intenerivano nell’ammirare quel giovanissimo artista. Clown Sorriso, portando ad esempio la forza di volontà, parlò delle ore di allenamento e della voglia di ottenere risultati del bimbo, poi cominciò una favola:

LA VOGLIA DI RIUSCIRE

Zok voleva arrivare in cima al monte. Guardava la vetta dal basso e sognava di vedere tutto di lassù, di sentirsi dominatore del paesaggio, di guardare gli uomini piccoli piccoli, sui loro trattori, mentre lavoravano i campi o si accingevano a recare gli armenti su per i tratturi che portavano ai pascoli alpini.
L’alta montagna si stagliava poderosa verso le nuvole. Gli alberi via via che il versante diveniva più ripido, lasciavano posto agli arbusti e diventavano di un verde scurissimo.
Zok non aveva in cuore sufficiente voglia per riuscire nell’impresa. Provò a incamminarsi più volte, ma ogni volta che s’immetteva sul primo tornante desisteva.
“Mi siederò sotto alla quercia in cerca di forze!” disse Zok dopo l’ennesimo tentativo. Un vento debole parve portare nuova linfa vitale alle sue membra. Un’aquila bellissima e robusta scese dal suo altissimo nido, dalla cima della giogaia sino a incontrare Zok:
“Ti serve la voglia di riuscire!” disse l’uccello stringendo forte il suo rostro mentre si pronunciava. Si tolse una delle splendide piume che parevano tinte d’aurea materia. Zok prese la piuma e se la appuntò al petto.
“La mia penna ti darà la voglia di andare sempre avanti! Con la volontà si può arrivare in vetta a qualsiasi strada!”
Con rinnovato vigore e tanta convinzione Zok tornò sulla via. Salì e salì, forte dell’energia che gli avevano dato le parole dell’aquila. Fu difficile e arduo ma la costanza non mancò. Quando ormai le ombre calavano sul monte, Zok si ritrovò al culmine del rilievo. Come aveva sognato, di lassù imperava sul mondo sottostante. Mentre all’occaso, fratello sole andava a dormire e sorella luna si destava, Zok preparò un comodo giaciglio per la notte. Non faceva affatto freddo e avrebbe potuto passare una notte, sentendosi pago della propria impresa:
Con la volontà si può ottenere ogni cosa.

Dopo la favola Mirk mostrò con quanta perizia e abilità sapeva comicamente muoversi sui pedali. Fu un tripudio. Tutti si spellavano le mani ad applaudire.
Alla fine i due artisti s’inchinarono a salutare il proprio pubblico.
“Siamo due impegnati artisti!” disse Clown Sorriso “…e facciamo collezione di sorrisi !”
Era davvero bello poter regalare alle persone quella capacità di sentirsi sereni e divertirsi davanti a un pagliaccio. Questa è la magia del circo, quella di far tornare tutti un po’ bambini, con tanta felicità e purezza nel cuore.

Fine…
…ma continua nei vostri cuori.

 

Roberto Bianchi

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