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Continuano i gravi abusi istituzionali contro i Rom della capitale

Marzo 11
12:47 2010

Continuano i gravi abusi istituzionali contro i Rom della capitale. Tocca a Tor de” Cenci

Roma,10 marzo 2010. La città di Roma, nonostante gli interventi allarmati dell’Alto Commissario per i Diritti Umani Navi Pillay, della Commissione europea e di tutta la società civile, prosegue la politica degli sgomberi di tutti gli insediamenti Rom di fortuna, senza offrire alcuna alternativa abitativa né sociale, e i trasferimenti delle famiglia che abitavano da tanti anni in campi storici all’interno di veri e propri ghetti videosorvegliati e soggetti a leggi speciali. I piccoli insediamenti lungo il Tevere e dislocati in varie zone della capitale sono stati evacuati e distrutti. Solo negli ultimi dodici mesi, 6 mila Rom, di cui la metà in età infantile, sono stati messi in mezzo alla strada. con segnalazioni di lutti causati dalla precarietà e dalle intemperie nonché gravi drammi umanitari e aggressioni da parte di razzisti. Il Casilino 900, che esisteva a Roma da più di 40 anni, è stato annientato e i suoi abitanti sono stati trasferiti in altri campi-ghetto, dove sono soggetti a continui controlli, pagano l’affitto per le condizioni di semi-detenzione, vivono a contato con nuclei caratterizzati da differenti tradizioni e sono destinati ad essere evacuati entro 20 mesi, senza alcuna alternativa ancora predisposta. Unica speranza, l’impegno del dottor Marco Squicciarini della Croce Rossa Italiana, Responsabile nazionale per i Rom, che insieme a noi sta tentando di realizzare alcune fattorie biologiche (progetto “Romasia”) nel Lazio, dove accogliere le famiglie, garantendo loro attività lavorative tradizionali (agricoltura e allevamento biologici), scolarizzazione dei minori e un serio piano di integrazione nel tessuto sociale circostante. Ci si chiede che fine faranno le famiglie del Casilino 900, tuttavia, se i nostri sforzi non dessero il frutto sperato. Intanto in data odierna i portavoce Rom di Tor de’ Cenci sono stati convocati dalle autorità del comune di Roma. Quando si parla di “portavoce”, bisogna considerare che si tratta di persone vulnerabili, minacciate di sgombero come tutte le altre, terrorizzate di fronte alle autorità e spesso disposte a firmare qualsiasi accordo pur di evitare la tragedia di un’evacuazione senza alternative. Dialogando con i “portavoce” dei ghetti, i nazisti riuscirono – temporaneamente – a giustificare agli occhi del mondo le deportazioni nei lager, la mortalità elevatissima, le condizioni di vita inumane degli internati. Per ora i Rom di Tor de’ Cenci resistono. Hanno rifiutato di sottoscrivere patti leonini e chiesto di non essere trasferiti né a Castel Romano né alla Barbuta, ma di rimanere nel loro attuale insediamento, attuando le opportune migliorie, dove si sentono integrati, lavorano e hanno la possibilità di mandare a scuola i bambini.
I rappresentanti di Istituzioni e autorità di sicurezza hanno invece confermato che chiuderanno il campo. Secondo quanto riferisce l’attivista Stefano Montesi, è stato chiesto ai portavoce di convincere le famiglie “a tutti i costi”.
“Intanto,” avrebbero aggiunto le figure istituzionali, “faremo lavorare la vostra cooperativa e la vostra associazione alla gestione di Tor de’ Cenci finché non lo chiudiamo”. Lunedì 15 marzo inizieranno le operazioni di fotosegnalamento della polizia.
Alle famiglie di Tor de’ Cenci è stato chiesto entro il 19 un elenco di 600 persone che saranno trasferite nei campi-ghetto, mentre le restanti 400 saranno rimpatriate a spese del comune (rimpatriate dove, visto che nessuna condizione di sopravvivenza li attende nei Paesi da cui fuggirono, spesso anni fa, cercando rifugio in Italia). Le autorità hanno spiegato che nel XII municipio ci devono essere massimo 600 Rom, che per 10 municipi fa 6000 Rom: il numero massimo che la giunta Alemanno ha deciso di “accogliere” nella Roma Capitale. Questo “numero chiuso” si pone quale violazione delle norme internazionali che proteggono individui e popoli, mentre l’espulsione di circa 3/4 mila Rom rientra nel crimine contro l’umanità che si chiama “espulsione di massa”. Sempre violando gli accordi internazionali, le Istituzioni escludono la presenza delle associazioni e degli operatori umanitari dalle fasi attuative di ogni politica anti-Rom. “Ritornati al campo,” scrive nella sua nota Stefano Montesi, “i Rom hanno chiesto aiuto, sollecitano la presenza delle associazioni, dei giornalisti e soprattutto di avvocati che li garantiscano da eventuali – e annunciate – procedure sommarie”.

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