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Dai romanzi, dai deserti e dai monasteri… in mezzo a noi

Dicembre 15
08:38 2016

Una volta, quando vivevo ancora coi miei genitori, decisi di frequentare un corso di inglese. Chiunque abbia una qualche pratica di corsi di lingua, sa bene che in essi accade – per ceri versi – quel che succede anche all’università. All’inizio, nei corsi di base, gli allievi sono parecchi; poi, gli anni successivi, a poco a poco la spinta motivazionale va viepiù scemando, e i partecipanti sono sempre meno. In sostanza, quando nella mia classe s’era arrivati ormai a un livello un po’ più avanzato, ci ritrovammo a essere solo in cinque.
A un certo punto, anche per noi arrivò il momento di dividerci (con la lingua d’Albione eravamo ormai abbastanza bravi). Negli ultimi tempi, tuttavia, ci incontravamo a volte dopo lezione, la sera, per andare a mangiarci una pizza.
Perché racconto questo? Perché vorrei parlare di uno dei miei compagni, che insieme a me era il più giovane. Ovviamente, non è il caso che io menzioni – per lui come per gli altri tre – i loro veri nomi, o le loro professioni. Lui, lo chiamerò Damiano: un nome che a me piace.
A differenza di noialtri (io bene o male un lavoro lo avevo, e altri tre, addirittura, erano fior di professionisti), Damiano non faceva nulla.
Egli leggeva, rifletteva; tutto il giorno meditava in profondità, osservava il mondo, scriveva poesie d’una bellezza intensa. Benché il quartiere in cui abitava – che grossomodo era anche il mio – non si potesse annoverare tra le zone della ‘Roma bene’, egli viveva con la madre in una casa piuttosto grande ereditata da alcune sue zie (il padre di Damiano era morto presto). E poiché fra i beni familiari eran compresi anche altri immobili, alla madre – e perciò anche a lui – non mancava certo di che vivere.
Ricordo quanto tutto ciò scandalizzasse Silvana (così voglio chiamare un’altra componente del gruppo). Lei, giovane donna quarantacinquenne in carriera, con un figlio già grandicello di cui parlava spesso, rimproverava a Damiano il fatto di non lavorare, proprio come se il nostro amico trascorresse la sua vita drogandosi, bisbocciando, divertendosi o dandosi al gioco… Figurarsi: quando in realtà lui era tutt’altro che uno spensierato!
Molto magro, nervoso, Damiano era tormentato da un disturbo da ansia cronica, che l’accompagnava da mattina a sera. Inoltre, gli era stato diagnosticato anche l’OCD (disturbo ossessivo-compulsivo), patologia che costringe chi ne è affetto a mettere in atto – per placare la propria angoscia – dei ‘rituali’ compulsivi. Se a ciò s’aggiunge che aveva ottenuto anche un punteggio abbastanza alto al test della sindrome di Asperger (altro disturbo che conduce chi ne è affetto a isolarsi dagli altri), si può capire come Damiano non fosse un giovane sereno. Difatti, ancora ricordo quanto dovemmo pregarlo, quelle sere dopo il corso, perché venisse a cenare con noi!
Ma se sapeste che poesie meravigliose è in grado di scrivere… Non avendo il suo consenso, non vi posso citare dei versi; ma ho a che fare col settore editoriale da abbastanza tempo per poter, con sicurezza, riconoscerne il valore. Fa anche piccole sculture – molto plastiche ed espressive –, e creandole sostiene di “riuscire a trovar la calma”. Lo stesso inglese, per dire, Damiano lo studiava non certo per partecipare a dei convegni internazionali fra professionisti… bensì per poter leggere in originale i suoi amati Samuel Beckett e T. S. Eliot.
In una certa occasione, poi, mi lasciò sbalordito.
Parlandomi della sua ansia – e di come sin dal mattino si sentisse attanagliato da un senso di angoscia opprimente –, confidò tuttavia che, nel pieno di quei momenti, spesso veniva come colpito da ‘fitte’ di consapevolezza. « Sei mai riuscito a ‘sentire’, » mi disse per esempio « osservando semplicemente un lampione a un angolo di strada, il ‘perché’ tanta gente, dentro tutte queste case, accetti di soffrire e tirare avanti con la propria vita? Per esempio, quel padre con il figlio handicappato; o quella donna rimasta vedova prima del tempo, e senza più nessuno?… In cosa sperano, quando guardano l’orizzonte; cosa li sostiene? ». Ecco. Lui queste cose, questi perché riusciva a ‘sentirli’. Non a capirli – come prova a far la gente, spesso senza molto successo –: ma qualcosa che va semplicemente oltre. « Se tu mi chiedi ‘che cosa’ sento, non so spiegarlo a parole » mi diceva; « ma in quegli attimi, riesco a comprendere le cose come neanche mille parole han mai saputo spiegarmi ».
Tutto ciò io lo trovavo bello, o comunque affascinante. Perché allora Silvana biasimava così tanto il modo di vivere del nostro amico, rinfacciandoglielo in più occasioni?
Pareva a volte che temesse – sgomentata solo dall’idea – che quel suo figlio adolescente di cui spesso ci parlava potesse, un giorno, rivelarsi come Damiano… Che disonore, per una madre! Che onta impresentabile!
Capii allora che Damiano faceva parte d’una specie antica – e tuttavia disconosciuta, quasi bandita dalla civiltà di oggi.
Parlo di quelli che per secoli si son chiamati “spiriti contemplativi”. I mistici, i cantori, gli anacoreti dei deserti. Gli ‘epilettici’ visionari come quelli raccontati da Dostoevskij nei suoi romanzi. I meditanti dentro i monasteri.
Questo capii. E mi ricordai di quei bei versi scritti nel libro “La Terra Santa” dalla poetessa Alda Merini (non a caso, anch’essa vissuta sotto il peso del disagio psichico, nonché di un’esacerbata sensibilità):

« Così, pazzo criminale qual sei/ tu detti versi all’umanità,/ i versi della riscossa/ e le bibliche profezie/ e sei fratello a Giona. »

Un giorno (lo ricordo ancora) Damiano mi disse di non capire perché la gente volesse tanto “sentirsi viva” – andando a ballare, correndo in auto, bevendo alcolici o quant’altro… Probabilmente – ne desumeva – nella vita di tutti i giorni non si sente tale, cioè viva; o almeno non abbastanza. Lui, al contrario, ‘vivo’ si sentiva fin troppo… Anzi, avrebbe voluto ogni tanto esserlo di meno: sentendo meno l’inquietudine, l’agitazione, la consapevolezza…
Ci sono, nell’Umanità, individui che soffrono un poco, e altri che soffrono molto di più – prendendo in carico il Dolore del mondo. Ecco, Damiano secondo me è uno di questi ultimi. Sono il suo male, la sua irrequietezza che lo portano a percepire le cose più in profondità – come diceva il protagonista de “Il monaco nero” di Anton Čechov [trad. di Bruno Osimo]:

« L’animazione, l’eccitazione, l’estasi: tutto quello che distingue i profeti, i poeti, chi soffre per un’idea, dagli uomini normali è l’opposto dell’aspetto animalesco dell’uomo, cioè della sua salute fisica. […]
Che fortunati Buddha e Maometto o Shakespeare, che i cari parenti e i dottori non li hanno curati dall’estasi e dall’ispirazione! […] Se Maometto per i nervi avesse preso bromuro di potassio, […] di quest’uomo notevole sarebbe rimasto poco quanto del suo cane. Se dottori e parenti cari continuano così [cioè a curare le persone dai nervi sensibili, N.d.A.], l’umanità diventerà ottusa, la mediocrità verrà considerata genio e la civiltà andrà in rovina. »

Ci pensino meglio, dunque, le persone come Silvana… O tutte quelle madri che quando incontrano qualcuno, si vergognano di dire che hanno un figlio come il mio amico.

Edoardo Monti

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