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Dal Surrealismo alla Croce. Giovanni Testori e la sua poetica problematica

Dal Surrealismo alla Croce. Giovanni Testori e la sua poetica problematica
Agosto 18
19:46 2017

Nella letteratura italiana del Novecento vi sono alcuni pilastri fondamentali per quanto riguarda la sperimentazione e l’innovazione del linguaggio e delle tematiche: i ‘controversi’ e tormentati Pasolini e Testori, e i più canonici Gadda e Montale. Montale, quello del “Non chiederci la parola che squadri da ogni lato”, ha un suo riconosciuto trono per la poesia. Giovanni Testori, il più grande in assoluto come scrittore, è il meno noto dei quattro. Colpa della sua capacità di amare senza riserve e calcolo (esisteva anche negli anni ’50-’70 una sorta di circuito mediatico sul quale ‘supportarsi’) la scrittura, la pittura e la critica dell’arte – laurea in Lettere con tesi sull’estetica del surrealismo – il teatro e la poesia, nonché l’organizzazione di rassegne d’arte al servizio della stessa e degli artisti di valore, trascurando per scelta etica le mode del momento. A Guttuso scriveva che non era importante giungere alla realtà, ma partire dalla realtà “non tanto per dipingere, quanto per vivere”. E la realtà aspra della vita l’ha raccontata magistralmente nei suoi testi nei quali con un rivoluzionario linguaggio di rara potenza espressiva dà vita, “prima di altri”, al mondo delle periferie, in particolare quelle milanesi dove era nato nel 1923 da una famiglia cattolicissima che darà una impronta molto forte alle contraddizioni della sua psiche. Già nel suo romanzo d’esordio, “Il dio di Roserio”, aggredisce la pagina con immagini e dialoghi senza preamboli e i personaggi balzano a rilievo come scolpiti. Sarà così per tutta la sua vasta produzione, dalla ‘saga’ de “I segreti di Milano”, con “Il ponte della Ghisolfa” (dal cui soggetto Visconti realizzò “Rocco e i suoi fratelli”), “La Gilda del Mac Mahon” e “Il Fabbricone”, ai dirompenti testi teatrali “La Maria Brasca” e “L’Arialda” che lo coinvolse,unitamente al regista Visconti, e agli attori Morelli, Stoppa e Orsini, in problemi di censura poi risolti. Ma per capire a fondo la personalità di Giovanni Testori e la sua prorompente voglia di trasmettere ai lettori-spettatori le laceranti scelte a cui la vita obbliga ogni persona sensibile che si confronta con il suo spirito critico e le sedimentazioni e convenzioni della cultura acquisita, si deve leggere (come capita per molti artisti) le sue, ingiustamente trascurate, raccolte di poesie. Esse grondano dolore e disperazione in una lotta infinita tra il bene e il male. I seguenti pochi versi aprono la luce anche sul testo teatrale, anch’esso ingiustamente obliato, “Tentazione nel convento” nel quale Suor Marta è schiacciata dalla ‘bestia’ che le invade l’anima e circondata dal pavido conformismo e dalla complice indifferenza degli altri: “se è bestemmia / pensarti inesistente / non Ti chiedo pietà. / Davanti a Te / che ritenevo Dio, / alzo come un pugno / la mia idiota realtà … sono caduto sotto il mio stesso peso / non avevo su di me nessuna croce”. La rabbia, la lotta e la solitudine, in definitiva la sconfitta, sono sempre incombenti sui personaggi, vivi e perciò dolenti, dell’uomo e scrittore Testori.

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