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Deja-vu’

Ottobre 31
08:47 2010

“Hai aperto il libro.

Ora ti chiedi se questa tua azione avrà conseguenze su ciò che pensi e sulla tua condotta; ma non farlo! Nel momento in cui hai aperto il libro hai già scelto, eri già pronto ad accogliere ciò che sarebbe stato, quindi non crucciarti; una volta che si è partiti non ci si preoccupa più della valigia da preparare; una volta che si è cambiato vestito non ci si preoccupa più di quello che si aveva il giorno prima. Cambia la prospettiva e cambierai anche il paesaggio.
Hai deciso di leggere, bene! Ma dimentica chi eri e cosa facevi prima di iniziare; te lo dice uno che dovrebbe insegnarti il passato e la storia.
Ma la vita non ha memoria; il posto in cui torni non è mai lo stesso, la tua acqua preferita è sempre diversa, chi sei stato non influenza chi sei.
La storia non esiste semplicemente perché è sempre morta.
Andando scoprendo cosa va riservando una lettura si capisce l’importanza di te che vai vivendo un’avventura che non smetterà mai di stupirti.”

“….Il mito dell’eterno ritorno afferma, per negazione, che la vita che scompare una volta per sempre, che non ritorna, è simile ad un’ombra, è priva di peso, è morta già in precedenza, e che, sia stata essa terribile, bella o splendida, quel terrore, quello splendore, quella bellezza non significano nulla.
Se ogni secondo della nostra vita si ripete un numero infinito di volte, siamo inchiodati all’eternità come Gesù Cristo alla croce.
Diciamo quindi che l’idea dell’eterno ritorno indica una prospettiva dalla quale le cose appaiono in maniera diversa da come noi le conosciamo: appaiono prive della circostanza attenuante della loro fugacità. Questa circostanza attenuante ci impedisce di pronunciare un qualsiasi verdetto. Si può condannare ciò che è effimero?…”

Massimo quel pomeriggio era stanco, continuava a domandarsi come mai avesse deciso di lasciarsi come ultimo esame proprio quello su Nietsche e sulla sua stramba teoria dell’eterno ritorno.
E anche se la prossima laurea in Filosofia non lo avrebbe reso ricco e non lo avrebbe favorito a trovare un buon impiego, ormai c’era ad un passo e non aveva voglia di mollare.
Il buen retiro nella casa delle vacanze era stata comunque un’ottima scelta; là avrebbe potuto trovare la concentrazione giusta e ricordare, perché no, qualche episodio divertente della sua adolescenza trascorsa in quei posti.
Rilesse quel passaggio e tentò di imprimerlo nella testa: ..se ogni secondo della nostra vita si ripete un numero infinito di volte, siamo inchiodati all’eternità.
Ripetè questo passo una, due, tre volte, era questo il punto fondamentale della teoria, pensò che avrebbe dovuto impararlo a memoria:
..se ogni secondo della nostra vita si ripete un numero infinito di volte, siamo inchiodati all’eternità.
..se ogni secondo della nostra vita si ripete un numero infinito di volte, siamo inchiodati all’eternità.
..se ogni secondo della nostra vita si ripete un numero infinito di volte, siamo inchiodati all’eternità.
Alla terza ripetizione ebbe paura, lo avvolse una sensazione stranissima; da una parte era obbligato a ripetere quella frase per impararla, dall’altra sentiva le parole di Nietsche come un malefico scherzo e più avrebbe ripetuto quella frase, più sarebbe stato impossibile per lui sfuggire poi all’eternità di quel momento.
La ripetè tuttavia un altro paio di volte, fino a quando non fu del tutto sicuro di averla imparata a memoria.
Uscì poi di casa Massimo, un po’ per sfuggire al fantasma di Nietsche, un po’ perché aveva sempre creduto che per prepararsi a puntino per un esame era necessario anche staccare un po’, piuttosto che immergersi completamente nello studio dei testi.
Eh sì che motivi per distrarsi ne aveva parecchi: l’ultimo esame da preparare, la discussione della tesi, la difficile ricerca del lavoro, l’estate da inventare e soprattutto Roberta, la sua ex fidanzata con la quale si era lasciato da poche settimane, della quale sentiva già la forte mancanza.
Si chiese se quella storia, la più bella che avesse mai vissuto in venticinque anni, fosse stata recuperabile; camminando per la strada sterrata si ripromise che, una volta rincasato l’avrebbe chiamata, ufficialmente per sapere come stava, in realtà per tentare di riallacciare quel rapporto di cui lui sentiva di non poter fare a meno.
Nella loro storia era stata pronunciata la parola “Fine”, ma lui era sicuro che non fosse così: “come era possibile?” si chiedeva lungo quella strada polverosa e sotto un sole che sembrava suggerirgli, quasi ce ne fosse bisogno, di far luce su quella rottura così traumatica.
Erano stati insieme quasi quattro anni, un tempo solo apparentemente lungo perché quel giorno d’estate Massimo si stava sentendo di nuovo fragile come lo era prima di conoscere lei, come quattro anni prima, come quando era ancora un universitario timido e insicuro; “tutto questo” pensò Massimo, poteva significare due cose: o che Roberta non era servita, o che non era bastata. Perché forse, a lui e al suo fragile amor proprio Roberta avrebbe dovuto stargli accanto ancora un altro po’ per guarirlo del tutto e renderlo forte come un leone. Come se lui fosse una batteria scarica da ricaricare: e quattro anni di Roberta non erano stati sufficienti a renderlo carico e combattivo.

Ripercorreva quella stessa strada, la stessa strada che aveva percorso una volta con Roberta, mano nella mano, e lui che si sentiva sospeso, in un mondo a parte. Camminavano sorridenti e complici all’imbrunire in quella stradina di campagna, consapevoli che nessuno, né una macchina, né un ostacolo, né tantomeno un passante avrebbe spezzato la loro unione. Se le loro mani si fossero staccate sarebbe stato un atto di volontà di uno dei due e non per necessità.
Sorrise Massimo ripensando a quell’episodio: sorrise perché ricordò che lui era sicuro che non avrebbe mai allentato la presa, avrebbe tenuto la mano di Roberta per sempre, per lui quel momento sarebbe tranquillamente potuto continuare in eterno.
Non appena riconobbe l’odore di muschio bagnato provenire da una grossa quercia lì vicino però ebbe un fremito; avvertì la mano di Roberta muoversi, l’espressione del suo viso cambiò impercettibilmente, per un secondo pieno temette che la sua innamorata avesse deciso, volontariamente, di sciogliere simbolicamente la loro unione d’amore mollando la sua mano.
In lontananza Massimo riconobbe una cascina e, seduto sull’uscio, un vecchietto con la barba che lo fissava con grande stupore, come se anch’egli fosse sorpreso di quella rottura. Lo stupore di Massimo però durò poco: la sua Roberta non aveva alcuna intenzione di mollare la sua mano, semplicemente ruotò il palmo in modo da poter accarezzare contemporaneamente con il pollice il dorso della mano di lui. A Massimo questa cosa fece una tenerezza infinita; non solo lei non aveva allentato la presa anzi, con quel piccolo gesto l’aveva resa ancora più intima e complice.
Il vecchio invece continuava a mantenere la sua espressione stupita e, quando i due innamorati gli passarono davanti, si alzò in piedi e gli urlò contro qualcosa di incomprensibile.

“Perché continui a tormentarti?
Perché pur leggendo continui a pensare ad altro, a ciò che ormai non è più?
Quello che hai fatto prima non torna più; il babilonese che un pomeriggio del trecentododici avanti cristo prese un sasso e lo lasciò cadere da un dirupo non c’è più e nessuno ricorda lui o il suo gesto. E tu perché continui a preoccuparti dei tuoi crucci? Non ti permetterò più di rivivere ciò che è stato, ciò che credi di aver già visto è un’altra cosa, credici!
Guai ad abbandonare il presente, perché ogni secondo perduto, pensando magari al passato, è perduto per l’eternità.
La prossima volta che ti sentirò usare parole come memoria, storia e cose già viste, ti punirò.”

Massimo continuò a camminare lungo la strada, il sole era ancora alto, si sentì stanco e confuso e non seppe se la colpa del suo disagio fosse da attribuire al caldo oppure ai tanti ricordi che la sua mente continuava a intasargli la memoria: l’esame su Nietsche, la fine della storia con Roberta, una passeggiata estiva di anni e anni prima.
Oltrepassato un albero secolare pensò di distrarsi ricominciando a ripetere la teoria dell’eterno ritorno, “in fondo” si disse “è l’unica cosa che può tornarmi utile”.
“..se ogni secondo della nostra vita si ripete un numero infinito di volte, siamo inchiodati all’eternità.”
Non appena riafferrò il concetto base di quella teoria gli tornò in mente Roberta e lui ebbe paura, credette di non riuscire a dimenticarla più oppure di ricordarla per sempre e di fare così un torto a chi lo aveva messo in guardia, a chi lo aveva ammonito a dimenticare per sempre parole come storia, memoria e passato.
Intanto il sole era calato, la sera stava mostrando le prime zone oscure in alcuni passaggi all’interno della tundra: Massimo raccolse un pezzo di stoffa bianca strappata, se la rigirò un po’ tra le mani e poi la tenne stretta nella destra, lasciandola svolazzare sola al vento e al movimento del suo corpo.
Non sapeva più cosa pensare: la teoria dell’eterno ritorno lo avrebbe incatenato all’eternità, il pensiero di Roberta anche, mentre esercitare la memoria per ricordare un passo dell’esame sarebbe stato troppo rischioso se poi il pensiero di Roberta avesse tirato un brutto tiro alla sua stessa memoria e lo avesse accompagnato nel ricordo di lei che però, forse, non era più al suo fianco.

Nella confusione più totale Massimo riconobbe l’odore di muschio bagnato provenire da una grossa quercia lì vicino ed ebbe un fremito; avvertì la mano di Roberta muoversi, l’espressione del suo viso cambiò impercettibilmente, per un secondo pieno temette che la sua innamorata avesse deciso, volontariamente, di sciogliere simbolicamente la loro unione d’amore mollando la sua mano.
In lontananza riconobbe una cascina e, seduto sull’uscio, un vecchietto con la barba che lo fissava con grande stupore, come se anch’egli fosse sorpreso di quella rottura. Lo stupore di Massimo però durò poco: la sua Roberta non aveva alcuna intenzione di mollare la sua mano, semplicemente ruotò il palmo in modo da poter accarezzare con il pollice il dorso della mano di lui. A Massimo questa cosa fece una tenerezza infinita; non solo lei non aveva allentato la presa anzi, con quel piccolo gesto l’aveva resa ancora più intima e complice.
Il vecchio invece continuava a mantenere la sua espressione stupita e, quando i due innamorati gli passarono davanti, lui si alzò in piedi e gli urlò contro qualcosa di incomprensibile.

A quel punto Massimo si bloccò; aveva appena provato la classica e rara esperienza del deja-vù; per un secondo che gli sembrò ripetersi un numero infinito di volte rimase quasi paralizzato dallo stupore. Poi osservò la sua mano con il pezzo di stoffa di cui si era ormai dimenticato e tornò a pensare nuovamente a Roberta, alla sua ex, alla ex sua..Roberta.

Il ritorno alla realtà gli fece ricordare anche in maniera più nitida quei suggerimenti del suo ex professore di Storia del ginnasio, quello che lo esortava sempre a dimenticare il passato e a vivere il presente. Ricordò quelle stesse invettive che poco prima gli erano apparse improvvisamente, come fossero flashback; il suo professore lo aveva preso in simpatia e un’estate l’avevano trascorsa insieme, il professore facendogli leggere libri e dandogli consigli di vita, e Massimo insegnandogli i primi rudimenti dell’uso del computer.
Era stata un’esperienza importante anche quella pensò Massimo quando decise di imboccare un’altra stradina e tornarsene a casa. All’inizio quelle esortazioni gli erano apparse paradossali: “ma come? Un professore di storia che ammonisce chi pensa troppo al passato e a ciò che è stato?”
Piano piano però aveva cominciato a capire la personalità del suo professore, tanto da rimanerne stregato e continuare a frequentarlo per imparare più cose possibili sul modo giusto per affrontare la vita.
Rincuorato da quella “visione” ci ripensò su, allungò oltre il ponte e, anziché tornare a casa, percorse un altro paio di chilometri e si diresse verso il centro del paese raffigurandosi mentalmente come il suo vecchio professore fosse cambiato in quella decina d’anni e su come avrebbe reagito nel rivederlo.
Affacciata al balconcino c’era una vecchia pensierosa che guardava il poco traffico sottostante. Massimo la riconobbe immediatamente, era la moglie del professore, quella che nelle reciproche assistenze estive tra il marito e il piccolo Massimo preparava ottime merende con crostate deliziose e rinfrescanti frullati alla frutta.
“Salve signora, si ricorda di me? Sono Massimo”
La vecchietta sembrò entusiasta di quella visita; “Ciao Massimo, come sei cresciuto!”
Massimo sorrise, il fatto di essere trattato ancora come il bambino che era non gli dispiacque anzi, raccolse l’invito della signora e salì in casa.
A nulla valsero “i complimenti” di Massimo, la vecchietta volle per forza preparargli la solita crostata con la marmellata che tanto gli piaceva.
Si raccontarono le vicende degli ultimi anni, Massimo le disse che era ormai prossimo alla laurea in filosofia e che passeggiando gli erano tornati in mente i lunghi pomeriggi insieme al marito e soprattutto le sue convincenti esortazioni a dimenticare il passato e a vivere il presente.
Dopo circa un’ora la signora non riuscì più a eludere le domande di Massimo che continuava a domandarle dove fosse “il Professore” come ancora lui lo chiamava.
“E’ morto tre anni fa” rispose la vedova.
Massimo fece un lungo sospiro, era visibilmente provato da quella notizia. Pensò tuttavia che il modo migliore per rendergli onore fosse quello di dimostrare alla signora che avesse compreso gli insegnamenti di vita del marito e per questo non fece alcun accenno al passato, alla memoria, ai ricordi e anzi, continuò a parlare ancora un po’ con la signora delle vacanze, degli amici, del futuro.

Quando uscì di casa per riaffrontare la passeggiata di ritorno che all’andata tanto lo aveva fatto sbandare, era già notte.
Il ricordo del professore sembrò accompagnarlo fin dai primi passi; ebbe paura Massimo.
Se all’andata era stato il ricordo di Roberta a sconvolgerlo, a fargli rivivere una passeggiata di molti anni prima, a fargli scambiare uno straccio di stoffa per la mano di lei, adesso era preoccupato che fosse il fantasma del suo ex professore a seguirlo fino a casa e a fargli rivivere chissà quali ricordi, quale passato, quali deja-vù.
Ebbe paura di ricordare tutto ancora una volta: la teoria dell’eterno ritorno, la passeggiata con Roberta, le conversazioni estive col professore di Storia ormai morto.
“..se ogni secondo della nostra vita si ripete un numero infinito di volte, siamo inchiodati all’eternità.”; questa frase gli venne in mente senza alcuno sforzo, l’aveva assimilata, sorrise pensando che ormai l’aveva imparata a memoria e che l’avrebbe ricordata per sempre.
Pensò che anche Roberta forse sarebbe tornata, “ma se tornasse per l’eternità sarebbe una condanna, non certo un bel ricordo”.
A quell’ora l’umidità dell’aria si era fatta più forte e Massimo fu sicuro che da quel momento in poi avrebbe affrontato il resto del suo cammino da solo: non c’era più il pensiero dell’ultimo esame perché tanto ormai era sicuro di passarlo, non c’era più alcun passato perché come era solito ripetergli il professore “la storia non esiste semplicemente perché è sempre morta.”, e lo stesso professore morto ne era la dimostrazione…vivente.
In quella passeggiata di ritorno ci sarebbe stato solo lui, lui e il presente. E con quello Massimo aveva voglia di camminare, un presente che aveva già perduto all’andata andando a ricordare e a vivere di nuovo cose che già aveva vissuto.
Con questo comportamento aveva irrimediabilmente perduto, invece, il presente.
“..se ogni secondo della nostra vita si ripete un numero infinito di volte, siamo inchiodati all’eternità”.
E Massimo quella passeggiata voleva viverla una volta sola, perché se ogni secondo della sua vita si ripete una sola volta, vuol dire che la vita è in movimento e non è inchiodata per sempre.
Ancora una volta però il paesaggio sembrava uguale a prima, uguale a prima, come quella volta che riconobbe l’odore di muschio bagnato provenire da una grossa quercia lì vicino ed ebbe un fremito; avvertì la mano di Roberta muoversi, l’espressione del suo viso cambiò impercettibilmente, per un secondo pieno temette che la sua innamorata avesse deciso, volontariamente, di sciogliere simbolicamente la loro unione d’amore mollando la sua mano.
In lontananza riconobbe una cascina e, seduto sull’uscio, un vecchietto con la barba che lo fissava con grande stupore, come se anch’egli fosse sorpreso di quella rottura……………………………..
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Fu invece Massimo, volontariamente, a riappropriarsi del presente e del paesaggio che, a ben guardarlo era diverso, diverso da come gli era sempre apparso, tanto diverso da sembrare nuovo.
La quercia era alta, quelle radici tanto ingorde spaccavano il terreno e mostravano così tutta la loro forza ma anche la loro immobilità; un albero che metteva paura ma Massimo era sicuro che nel momento in cui avesse deciso di rincorrere il canto di una civetta in lontananza, il ricordo possente e presente di quella quercia non avrebbe potuto trattenerlo..mai.
Quando poi passò davanti alla cascina vide che il vecchietto aveva acceso una lampara e si sorprese nel sentire che ora, per la prima volta dopo le tante altre volte vissute, ri-vissute o solo immaginate, intendeva perfettamente le parole di quel vecchio: “Quando ritorni? Quando ritorni? Quando ritorni?”.
Il vecchietto non ce l’aveva mai avuta con lui, né con Roberta e neanche col fantasma della sua ex. Semplicemente era piacevolmente sorpreso che qualcuno avesse rotto la sua eterna solitudine e continuò ad urlare al Massimo che ormai correva verso casa le sue solite parole, quasi fossero un ritornello ripetuto all’infinito: “Quando ritorni? Quando ritorni? Quando ritorni?”

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