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Domenica 14 maggio: dibattito sul ’77, a 40 anni dall’omicidio di Giorgiana Masi

Maggio 12
20:59 2017
Lo scorso 12 marzo abbiamo iniziato una riflessione sui fatti e la portata politica del 1977, confrontandola con la situazione attuale.
Il confronto ci è sembrato interessante e partecipato.

Nel quarantennale dell'uccisione di Giorgiana Masi, tentiamo di dare continuità a quella riflessione.
Già dieci anni fa avevamo letto il '77 come frutto del lavoro di massa sviluppato ininterrottamente dal 68/69.
Il '77 dunque, come mobilitazione forte di autodifesa contro le pratiche antipopolari dei governi dell'epoca, contro le provocazioni fasciste, 
ma anche contro il tentativo di chiudere la fase sul terreno della socialdemocrazia repressiva.
Le organizzazioni sindacali con i congressi dell'EUR della fine del '76, sposano definitivamente la politica dei redditi mettendo una pietra tombale 
sul protagonismo operaio del decennio trascorso.
Il PCI di Berlinguer viene assunto nell'area di governo portando in dote la sconfitta dei movimenti antagonisti.
Nel '77 il movimento non fece scoperte particolari, ma confermò con forza ed evidenza gli assunti del decennio precedente: rifiuto della delega, 
autonomia di classe, rigetto della divisione tra lotta sindacale e lotta politica, aspirazione anticapitalistica senza mediazioni, anche accettando il 
confronto con lo stato sul terreno della forza evitando il pozzo nero della clandestinità. 

Il 12 marzo 1977 ha rappresentato in strada questi passaggi; la cacciata di Lama confermò la definitiva perdita di autorità del sindacalismo ufficiale
 rispetto al movimento; il 12 maggio è stata la conferma tragica di quella fase.
Le assemblee  avevano deciso di scendere in piazza utilizzando la scadenza radicale proprio per rompere i divieti di Kossiga, contro il divieto di 
manifestare istituito dopo gli scontri del 21 aprile e la morte dell'agente Passamonti.
La polizia di Kossiga ha segnato quella giornata non solo perchè ha ucciso una studente diciottenne, ma perchè riuscì a provocare una degna 
risposta popolare anche prima dell'uscita del movimento dalle proprie sedi avvenuta solo al tramonto. 

Dalle ore 14.00 alle 19.00 i pistoleri di Kossiga rimasero inchiodati su corso Vittorio da un aggregato sostanzialmente inerme e disomogeneo.
Allora ci chiediamo se quelle dinamiche e quelle proposizioni politiche non siano più riproponibili;  se vada accettato il comportamento prevalente
oggi che affida al sindacalismo di base tutto ciò che si muove nei posti di lavoro (se si muove); se va accettato di delegare l'aspetto “politico” ad 
un ibrido fatto di centri sociali “accreditati” e poche vertenze reali strutturalmente incapaci di investire la condizione popolare nel suo complesso;
di stabilizzarsi nei territori e ricadendo sempre più spesso nello scadenzismo rituale.

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